Cambiamenti climatici Clima Energia

Presentato a Roma il 27 aprile 2016: “Italy Climate Report 2016”

Italy Climate Report 2016

In occasione dell’annuale “Meeting di primavera” degli Stati generali della Green Economy, dal tema “La svolta dopo l’Accordo di Parigi”, è stato presentato il Rapporto che fa il punto sugli impegni derivanti a livello mondiale, europeo e nazionale, e le misure da intraprendere per essere in linea con la traiettoria di un riscaldamento globale entro la fine del secolo compreso tra + 1,5 °C-2 °C.
Se l’UE deve rivedere quanto prima gli obiettivi del “Pacchetto Clima-Energia al 2030”, l’Italia non può più tergiversare sulla revisione della “Strategia energetica nazionale” definita con il DI Clini-Passera (2013).

In vista degli Stati Generali della Green Economy, in programma a Fiera di Rimini  (8-9 novembre 2016) durante ECOMONDO, la Fiera Internazionale del Recupero di Materia e di Energia e dello Sviluppo Sostenibile, si è tenuto il 27 aprile 2016 a Roma il tradizionale “Meeting di Primavera” della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile (FoSS), giunto quest’anno all’ottava edizione.
Il tema scelto è stato “La svolta dopo l’Accordo di Parigi”, il cui testo è stato sottoscritto il 22 aprile 2016 presso la sede dell’ONU a New York da 175 Paesi, tra cui l’Italia, la cui attuazione, oltre a segnare una svolta importante per il clima, avrà notevoli ripercussioni sullo sviluppo di una green economy a basse emissioni di carbonio.

Proprio per favorire un dibattito in Italia sull’applicazione dell’Accordo di Parigi, per avere un quadro dell’andamento delle emissioni in Italia, in un contesto europeo e internazionale, per valutare se il nostro Paese si pone nella giusta traiettoria per raggiungere gli obiettivi previsti e quali eventuali nuove misure dovrebbero essere intraprese, il Presidente della FoSS, Edo Ronchi ha introdotto i lavori presentando l’ “Italy Climate Report 2016”, con i dati aggiornati al 2015, realizzato in partnership con assoRinnovabili e con il contributo di AnevEcopneus e Montello.

L’attuazione dell’Accordo di Parigi obbliga ad una svolta delle politiche climatiche, a tutti i livelli, compreso anche quello nazionale – ha dichiarato Ronchi – Passando all’attuazione, cresce la consapevolezza del maggiore impegno richiesto dal nuovo obiettivo dell’Accordo, per stare ben al di sotto dei 2 °C , facendo sforzi verso 1,5 °C. Prima si parte, prendendo atto realmente del nuovo obiettivo, prima si possono cogliere le opportunità di nuovi investimenti, di nuova occupazione, di sviluppo di una green economy richiesti e promossi dalle più incisive misure climatiche dell’Accordo di Parigi”.
L’Accordo di Parigi è stato reso possibile da un quadro mondiale in cambiamento – si legge nel Report – la Cina ha già cominciato a ridurre le proprie emissioni e nel mondo si sono fortemente sviluppate politiche e strumenti orientati in favore delle tecnologie a basso contenuto di carbonio. Nel 2015 gli investimenti mondiali nelle rinnovabili hanno raggiunto i 286 miliardi di dollari, +5% sull’anno precedente e sei volte quelli del 2004. Una recente ricerca pubblicata sulla rivista Nature calcola che un terzo delle riserve di petrolio, metà delle riserve di gas e l’80% delle riserve di carbone dovrebbero rimanere inutilizzate per conseguire il target dei +2 °C. Il passaggio a uno scenario a 1,5 °C comporta all’incirca un dimezzamento del budget di carbonio a disposizione (500-600 Gt) e richiederebbe limitazioni ancora più severe nell’utilizzo delle riserve accertate di petrolio, di gas e di carbone.

In Europa, per attuare l’Accordo di Parigi serve aggiornare il pacchetto clima al 2030 con target più ambiziosi. Lo scenario compatibile con l’obiettivo 1,5 °C sarebbe in Europa, ben più impegnativo di quello a 2 °C e richiederebbe entro il 2030 una riduzione delle emissioni del 50-55% rispetto al 1990 (contro il 40% del pacchetto 2030 corrispondente al target dei 2 °C) e quindi anche un aumento significativo dei target del 27% per le rinnovabili e per l’efficienza energetica.

In Italia per l’attuazione dell’Accordo di Parigi è necessaria una nuova Strategia Energetica Nazionale. Nel 2015, dopo anni di calo (-20% al 2014 rispetto al 1990, secondo i dati elaborati dalla Fondazione), le emissioni di gas serra in Italia sono aumentate di circa il 2,5%. Tra il 2005 e il 2012 l’Italia, nello sviluppo delle fonti rinnovabili, ha realizzato ottimi risultati sia pure con incentivi significativi, aumentando dall’8% a circa il 16% del consumo nazionale, facendo meglio della media europea e collocandosi fra i leader mondiali. Ma nell’ultimo triennio, il quadro è notevolmente peggiorato: le rinnovabili sono passate dal 16,7% nel 2013 al 17,3% del 2015, con una crescita modestissima, dello 0,2% all’anno ed è diminuita la quota di elettricità da fonti rinnovabili passando dal 43% al 38% tra il 2014 e il 2015. Con questo passo l’Italia, pur avendo già raggiunto l’obiettivo europeo del 17% al 2020, sarebbe ben lontana dall’obiettivo europeo del 27% al 2030 e ancora di più dalla più impegnativa attuazione dell’Accordo di Parigi.
Collocando l’obiettivo della variazione di temperatura in una posizione intermedia (fra i 1,5 °C e 2 °C ), con l’Accordo di Parigi, l’Italia al 2030 dovrebbe ridurre le emissioni di gas serra intorno al 50% rispetto al 1990: ciò richiederebbe un forte impegno nel risparmio e nell’efficienza energetica con una riduzione dei consumi attesi di circa il 40% e un raddoppio della quota di fonti rinnovabili, dal 17,3% a circa il 35% del consumo energetico finale al 2030 e nel solo comparto elettrico, le rinnovabili dovrebbero soddisfare almeno 2/3 della domanda di elettricità.

Il Rapporto indica anche le politiche e le misure necessarie per attuare l’Accordo di Parigi:
– avviare una riforma della fiscalità in chiave ecologica introducendo una carbon tax e un processo di riallocazione degli incentivi ambientalmente dannosi senza aumentare il carico fiscale complessivo e riducendo la tassazione sulle imprese e sul lavoro;
– introdurre un sistema di carbon pricing, riconoscendo i costi effettivi dei combustibili fossili e consentendo, così, di incentivare le fonti rinnovabili senza pesare sulle bollette;
– rivedere gli strumenti a sostegno dell’efficienza energetica per favorire interventi strutturali ad alta efficacia, a cominciare dalla riqualificazione del pieno edificio, varando un piano nazionale di riqualificazione del parco edilizio pubblico;
– mettere in atto politiche efficaci e concrete per lo sviluppo di una mobilità sostenibile, dando priorità di intervento alle aree urbane.

Gli obiettivi messi in evidenza  dal Rapporto sono del tutto condivisibili, ma non sembra che Unione europea e Italia stiano intraprendendo la strada per conseguirli, nonostante la firma formale apposta il 22 aprile all’ONU all’Accordo.
La Commissione UE con la Comunicazione “The Road map to Paris”, adottata il 2 marzo 2016, ha sostanzialmente ribadito il target del 40% di riduzione delle emissioni di gas serra al 2030, come previsto nel Pacchetto adottato nel 2014, allorché il limite all’orizzonte 2100 era di mantenere a +2 °C il riscaldamento globale, nonostante le pressioni di alcuni Paesi (Francia, Germania, Gran Bretagna, Svezia, Portogallo, Belgio e Lussemburgo) per innalzarlo.
Un altro gruppo di Paesi, più numeroso, soprattutto quelli dell’Europa Orientale capeggiati dalla Polonia, a cui si sono accodati tra gli altri anche Italia e Spagna, hanno accolto la proposta della Commissione UE, giudicandola “un equo e ambizioso contributo ad uno scenario al di sotto dei 2 °C”, come risulta dal Comunicato finale del Consiglio Ambiente del 4 marzo 2016.
Intervenendo alla cerimonia, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi ha affermato che “L’Italia sarà protagonista di questo accordo storico, per i nostri figli e per i nostri nipoti” e che l’impegno sul clima e l’ambiente “è una priorità per la nostra iniziativa di Governo a livello nazionale, ma sarà una priorità anche per la Presidenza del G7 che prenderemo il prossimo anno e per il nostro impegno in Europa“.
Ma, le scelte delle Governo finora sono state in linea con la Strategia energetica nazionale, quella fissata con Decreto Interministeriale Clini e Passera (2013), dove si fa grande affidamento sulle risorse petrolifere e di gas, e rinnovabili ed efficienza energetica sono complementari.
Eppure nell’occasione quel Decreto era stato “bollato” come un “colpo di mano” messo in atto da un Governo giunto al termine del suo mandato e che avrebbe dovuto gestire solo gli affari correnti.

Non ci pare che le scelte intraprese dai Governi che sono seguiti abbiano posto all’ordine del giorno una sua revisione. Anzi, con lo “Sblocca Italia” ci si è adoperati per attuarla.

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