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“Ultimo avvertimento” della Commissione UE all’Italia per l’inquinamento atmosferico

Ultimo avvertimento UE A Italia per inquinamento atmosferico

Nel Pacchetto di infrazioni del mese di febbraio, la Commissione UE ha comminato all’Italia 4 pareri motivati, l’anticamera del deferimento alla Corte europea di Giustizia, di cui 3 interessano il settore ambientale, ma nel caso dell’inquinamento atmosferico difficilmente si potrà ottemperare nei tempi previsti, dopo anni di misure emergenziali invece di politiche volte a pianificare città sostenibili.

La Commissione UE ha adottato il 15 febbraio 2017 il Pacchetto di Infrazioni relative alle azioni avviate nei confronti di alcuni Stati membri per l’inadempimento degli obblighi previsti dal diritto dell’Unione europea, con cui l’Italia ha avuto ricevuto 4 pareri motivati (l’anticamera del deferimento alla Corte Europa di Giustizia qualora non vengano date risposte adeguate): 3 del settore Ambiente e uno del settore Mercato interno, Industria, Imprenditoria e PMI.

Le procedure d’infrazione adottate nei confronti del nostro Paese per le inottemperanze alle normative ambientali non è una novità dal momento che sono sempre state le più numerose, né queste ultime sono inaspettate vista la scheda relativa all’Italia contenuta nel Pacchetto Revisione Politiche Ambientali (EIR), presentato il 6 febbraio 2017 dalla Commissione UE, in cui la gestione dei rifiuti e l’esposizione ad elevati livelli di inquinamento atmosferico del 60% della popolazione italiana (due dei nuovi pareri motivati) risultano essere tra le principali sfide che attendono l’Italia nell’attuazione delle politiche e delle normative ambientali dell’Unione europea.

Dei pareri motivati quello che desta maggiori preoccupazioni per il rischio di deferimento alla Corte di giustizia, è proprio quello relativo all’inquinamento atmosferico da biossido di azoto (NO2) in molte zone del nostro Paese (12, tra cui RomaMilano Torino) per cui la Commissione ha inviato un “ultimo avvertimento” a GermaniaFranciaRegno UniteItalia e Spagna per aver omesso di intervenire per risolvere le ripetute inadempienze dei limiti previsti per tale inquinante che costituisce un grave rischio per la salute.
Il traffico stradale è responsabile di circa il 40% delle emissioni di NO2 nell’UE. A livello del suolo il contributo relativo del traffico è molto più elevato (in quanto le emissioni provenienti dalle ciminiere industriali sono diluite prima di raggiungere il suolo). Delle emissioni totali di NOX dovute al traffico, circa l’80% proviene dai veicoli con motore diesel.

Tra le eventuali misure volte a ridurre le emissioni inquinanti, accelerando al tempo stesso la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, figurano la riduzione globale dei volumi di traffico, i combustibili utilizzati, il passaggio ad autovetture elettriche e/o l’adattamento dei comportamenti al volante.
In questo contesto, ridurre le emissioni dei veicoli diesel è un passo importante verso la conformità con gli standard UE in materia di qualità dell’aria“.
Sebbene spetti alle autorità statali scegliere le misure idonee per far fronte al superamento dei limiti di NO2, è necessario compiere maggiori sforzi a livello nazionale, regionale e locale, per adempiere agli obblighi della normativa UE e tutelare la salute pubblica. Se gli Stati membri non vi adempiranno entro due mesi, la Commissione potrà decidere di deferirli alla Corte di giustizia dell’UE.

Finora, la Commissione UE è stata fin troppo paziente nei confronti di alcuni Paesi membri, dove la situazione sta diventando endemica in certe aree (leggasi per noi le città della regione Padana e non solo). Ma se non riescono a mettersi in regola con i vecchi limiti, come si può credere che gli Stati membri siano in grado di rimanere al di sotto di quelli previsti dalla nuova Direttiva NEC che imporrà dal 2020 nuovi e più restrittivi target per alcuni inquinanti, tra cui i biossidi di azoto?
Speriamo che “l’ultimo avvertimento” non abbia analogie con “l’ultima sigaretta” del protagonista del romanzo “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo ovvero che si vada alla ricerca di alibi per giustificare l’impossibilità di imporre quelle politiche necessarie che gli Stati non possono o non vogliono ancora adottare.

Gli altri due pareri motivati del settore ambientale riguardano:– la protezione degli animali utilizzati a fini scientifici;
– l’adozione e l’aggiornamento dei piani regionali di gestione dei rifiuti.

Nel primo caso, la Commissione UE invita l’Italia a conformare interamente la propria legislazione alla Direttiva 2010/63/UE che garantisce che il livello di benessere degli animali resti elevato pur salvaguardando il corretto funzionamento del mercato interno e che mira, altresì, a ridurre al minimo il numero di animali utilizzati a fini sperimentali, imponendo di ricorrere ad alternative ogniqualvolta possibile.
Sebbene l’Italia abbia recepito (in notevole ritardo rispetto alla scadenza prevista al 10 novembre 2012) con il Dlgs. n. 26/2014 la Direttiva in questione, devono essere risolte alcune non conformità. Da un lato gli standard di benessere degli animali previsti dalla normativa italiana restano inferiori a quelli stabiliti dalla Direttiva, mentre dall’altro gli standard ritenuti dall’Italia più elevati possono in realtà ostacolare il corretto funzionamento del mercato interno. Ad aprile 2016 la Commissione aveva inviato una lettera di costituzione in mora, dopo aver ricevuto una segnalazione dell’EARA (European Animal Research Association) che, su invito di 37 istituzioni di ricerca pubbliche e private italiane, denunciava la non conformità del decreto di attuazione per restrizioni più stringenti di quelle prevista dalla Direttiva, mettendo in difficoltà la ricerca italiana rispetto a quella degli altri Stati membri.

Questa procedura, intervenendo nel corso della conversione in Legge del Decreto “Milleproroghe” che aveva fatto slittare di un anno l’entrata in vigore del divieto di utilizzare animali per test sull’abuso di droghe, alcol, tabacco e xenotrapianti, previsto al 1° gennaio 2017 dal succitato Decreto legislativo, è destinata a rinfocolare le polemiche, specie dopo l’approvazione il 15 febbraio 2017 da parte della Commissione Affari Costituzionali del Senato di un emendamento che ha portato a 3 anni il differimento.

In merito alla procedura relativa aipiani per la gestione dei rifiuti che devono essere conformi agli obiettivi della legislazione dell’UE in materia di rifiuti e ai principi dell’economia circolare la motivazione è di mancata rivalutazione ed eventuale riesame, previsti almeno ogni 6 anni. Diverse regioni italiane (Abruzzo, Basilicata, Provincia autonoma di Bolzano, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Piemonte, Sardegna e Siciliahanno omesso di riesaminare i loro piani di gestione dei rifiuti adottati nel 2008 o prima di tale data. Anche in questo caso se le autorità italiane non interverranno entro due mesi, il caso potrà essere deferito alla Corte di giustizia dell’UE.

Infine, c’è un parere motivato per gli eccessivi ritardi di pagamento da parte delle amministrazioni pubbliche italiane. La Direttiva 2011/7/UE su ritardi dei pagamenti, volta a prevenire le perdite per le aziende, in particolare le piccole e medie, incidendo sulla loro liquidità e sul flusso di cassa, complicando la loro gestione finanziaria e impedendo loro di crescere, aveva introdotto maggiori garanzie per i creditori i grazie all’introduzione di termini per i pagamenti da parte delle imprese e delle autorità pubbliche che acquistano beni o servizi. Quando i termini di pagamento non sono rispettati, le imprese hanno diritto ad un equo risarcimento. Attualmente le amministrazioni pubbliche devono pagare i beni e i servizi acquistati entro 30 giorni o, in casi eccezionalientro 60 giorni. In caso di pagamenti effettuati più tardi rispetto a quanto concordato, i creditori hanno automaticamente il diritto di chiedere interessi per i ritardi di pagamento (a un tasso superiore almeno dell’8 % al tasso di riferimento della Banca centrale europea (BEI) e un risarcimento minimo di 40 euro per ogni fattura non pagata, oltre al rimborso di tutte le altre spese legate ai costi di recupero.
I ritardi di pagamento pesano fortemente sulle imprese europee, in special modo su quelle più piccole – ha osservato Elżbieta Bieńkowska, Commissaria responsabile per il Mercato interno, l’industria, l’imprenditoria e le PMI – Poter contare su pagamenti puntuali da parte dei contraenti consente alle imprese di espletare le loro attività e di rispondere alle aspettative dei loro clienti e dipendenti. Chiedendo agli Stati membri di rispettare le norme in materia di ritardi di pagamento proteggiamo le imprese e sosteniamo la competitività dell’UE

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