L’annuale Rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere conferma che le imprese che investono in sostenibilità, innovazione, efficienza nell’uso delle risorse e nei consumi energetici, sono quelle che sono più competitive, esportano di più, aumentano il fatturato e creano più posti di lavoro.
Viene sottolineata anche l’importanza della digitalizzazione del sistema produttivo, con 4 su 5 imprese green presenti sul web
Sono oltre 385.000 le aziende italiane, ossia il 26,5% del totale, dell’industria e dei servizi che dal 2010 hanno investito, o lo faranno quest’anno, in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2. Una quota che sale al 33% nel manifatturiero, dove l’orientamento green si conferma un driver strategico per il made in Italy, traducendosi in maggiore competitività, crescita delle esportazioni, dei fatturati e dell’occupazione. Nel manifatturiero il 46% delle imprese che investono in tecnologie verdi esporta, contro il 27,7% delle imprese non investitrici; il 35,1% delle imprese green ha aumentato il fatturato nel 2015 a fronte del 21,8% delle altre; il 33,1% ha introdotto innovazioni, contro il 18,7% delle altre.
Sono questi alcuni dei numeri riassunti nella VII edizione di “GreenItaly 2016”, l’annuale Rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere, promosso in collaborazione con il CONAI e con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, presentato il 21 ottobre 2016 a Roma.
La green economy si è dimostrata una delle più significative ed efficaci risposte alla crisi. Una reazione che incrocia la natura profonda della nostra economia: la spinta per la qualità e la bellezza, naturali alleate dell’uso efficiente di energia e materia, dell’innovazione, dell’high-tech. Una evoluzione di sistema avviata ‘dal basso’ e spesso senza incentivi pubblici da una quota rilevante delle nostre imprese. Una scelta, che si basa su investimenti e produce lavoro, non scontata in tempi di crisi, ma coraggiosa e vincente.
“Queste imprese dimostrano che il nostro posto nel mondo non è quello della competitività a bassi prezzi e dumping ambientale e sociale, ma quello della qualità, fatta di cura dei dettagli, di attenzione al capitale umano, di coesione, bellezza, innovazione e sostenibilità – ha dichiarato il Presidente di Fondazione Symbola, Ermete Realacci – Investendo green le aziende diventano più sostenibili e soprattutto più competitive e aprono un sentiero che va verso il futuro. Anche per il Paese, che nella green economy e nell’economia circolare ha riscoperto antiche vocazioni – quella al riciclo e all’uso efficiente delle risorse – e trovato un modello produttivo che grazie a innovazione, ricerca e tecnologia ne rafforza l’identità, le tradizioni, ne enfatizza i punti di forza. Il rilancio di settori tradizionali come l’edilizia parte anche nella Legge di Bilancio, con Casa Italia, dal risparmio energetico, dalla sicurezza, dalla sostenibilità. Un’Italia che fa l’Italia e che contribuisce alla COP22 di Marrakech e alla sfida del clima incrociando la green economy con la qualità e con la bellezza”.
Come dicono i numeri la “green Italy”è un patrimonio che rappresenta la migliore risposta alla crisi e la base per una crescita che muova verso nuovi orizzonti, ma partendo da radici solide. È questa l’Italia che aiuta a ripartire, che deve essere ascoltata dalla politica e presa a modello per sostenere la sfida del futuro.
Le aziende della “green Italy” sono quelle che innovano, esportano e aumentano il fatturato più delle altre, e di conseguenza sono anche quelle che creano più posti di lavoro. Quest’anno le assunzioni programmate di “green jobs” in senso stretto, sono state 72.300 e di figure ibride con competenze green 176.800: nell’insieme arriveranno ad 249.000, pari al 44,5% della domanda complessiva di lavoratori non stagionali.
Grazie anche alle realtà che puntano sull’efficienza, il nostro Paese vanta importanti primati sul fronte dell’ambiente a livello europeo. L’Italia, infatti, con 14,3 tonnellate di petrolio equivalente per milione di euro, è il secondo Paese tra le cinque grandi economie comunitarie per minori input energetici a parità di prodotto, dopo il Regno Unito (11,6) che ha però un’economia molto più finanziaria che manifatturiera e davanti a Francia (14,5), Spagna (16,8) e Germania (17,7).
Con 312 tonnellate per milione di euro siamo secondi, sempre dietro la Gran Bretagna (260), per minore impiego di materia, meglio di Francia (358), Spagna (362) e Germania (462). Con 107 tonnellate di CO2 equivalente per milione di euro prodotto siamo secondi per minore intensità di emissioni atmosferiche, stavolta dietro la Francia (93, aiutata in questo caso dal nucleare) e davanti a Spagna (131), Regno Unito (131) e Germania (154). Siamo invece primi per contenimento dei rifiuti prodotti: ne produciamo appena 42 tonnellate ogni milione di euro, meglio di Spagna (49), Regno Unito (59), Germania (64) e Francia (84). Primato che ci pone all’avanguardia nell’economia circolare e ci permette di essere già oggi leader europeo nel riciclo industriale: nel nostro Paese sono stati recuperati per essere avviati a riciclo 47 milioni di tonnellate di rifiuti non pericolosi, il valore assoluto più elevato tra tutti i paesi europei (in Germania sono 43, in Francia 29). Il riciclaggio nei cicli produttivi industriali ci ha permesso di risparmiare energia primaria per oltre 17 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, ed emissioni per circa 60 milioni di tonnellate di CO2. E nel settore degli imballaggi, dove il tasso di riciclo (2015) è ormai pari al 66,9%, le quantità continuano a crescere: stando agli ultimi dati Eurostat, l’Italia è il Paese europeo che dal 1998 al 2013 ha visto il maggior incremento di imballaggi avviati a riciclo (+4,2 milioni di tonnellate).
Nel nostro Paese, a giugno di quest’anno la quota di produzione di energia elettrica da rinnovabili ha superato quella da fonti fossili. E l’Italia vanta il record mondiale, tra i Paesi industrializzati, nella quota di fotovoltaico (8%) nel mix elettrico nazionale.
Sono più numerose le imprese green nelle regioni del Nord, ma la loro presenza è diffusa in tutto il territorio nazionale. La Lombardia è la regione con il più alto numero di imprese eco-investitrici, ne conta 69.390, quasi un quinto del totale nazionale; seguono il Veneto con 37.120 unità, il Lazio con 33.630 imprese green, l’Emilia-Romagna a quota 33.010 e la Toscana con 29.160. Quindi troviamo il Piemonte con 28.480, la Campania (26.910), la Sicilia (23.630), la Puglia (23.330) e Marche (11.870).
A livello provinciale, in termini assoluti, Roma e Milano guidano la graduatoria staccando nettamente le altre province italiane grazie alla presenza, rispettivamente, di 25.240 e 22.590 imprese che investono in tecnologie green. In terza, quarta e quinta posizione, con oltre 10.000 imprese eco-investitrici si collocano Torino, Napoli e Brescia.
“I dati del nostro Rapporto dimostrano una volta di più che la scelta green paga – ha sottolineto il Presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello – Questo modello di sviluppo si sta rivelando uno strumento prezioso per intercettare nuovi stili di consumo e di vita basati su una maggiore domanda di sobrietà, attenzione alla giustizia sociale e equità. Si tratta di stili emergenti e in rapida ascesa sullo scenario globale che stanno portando verso una accelerazione dell’economia circolare. E l’innovazione passa anche dalla digitalizzazione. Non a caso le imprese green sono anche quelle maggiormente digitalizzate nel nostro tessuto produttivo. Basti pensare che 4 su 5 sono presenti sul web, hanno processi digitalizzati e puntano sulle digital skills, contro poco più della metà delle imprese non green. Due fronti – quello della green economy e della digitalizzazione – sui quali le Camere di commercio sono fortemente impegnate”.