Il Segretario generale delle Nazioni Unite, sottolineando che quest’anno la celebrazione arriva in un momento di conflitti violenti e destabilizzanti in tutto il mondo, invita a non cedere alla disperazione e punta sui giovani come costruttori di pace.
L’International Peace Bureau, la più antica e grande federazione del mondo di organizzazioni impegnate per la pace, ha deciso di conferire l’annuale Premio della Pace “Sean MacBride” alle isole di Lampedusa e Jeju.
Istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1981 e celebrata per la prima volta nel 1982, il 21 settembre di ogni anno è indetta la Giornata Internazionale della Pace per invitare tutti i popoli del mondo a riaffermare il proprio impegno a vivere in armonia come membri di un’unica famiglia umana.
Il tema scelto quest’anno (“Partnership per la Pace – Dignità per Tutti“) mira a sottolineare l’importanza che tutti gli strati della società lavorino per riportare la pace.
Il lavoro delle Nazioni Unite non sarebbe possibile senza gli iniziali partenariati che erano attivi al momento della sua istituzione e le migliaia di collaborazioni tra governi, società civile, settore privato, gruppi religiosi e di altre organizzazioni non governative, che ogni anno sono necessarie per sostenere l’Organizzazione nel raggiungimento dei suoi obiettivi futuri.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite ha affermato che quest’anno la Giornata Internazionale della Pace arriva in un momento di conflitti violenti e destabilizzanti in tutto il mondo, ma piuttosto che “cedere alla disperazione”, la comunità mondiale ha la responsabilità collettiva di chiedere la fine della brutalità e dell’impunità che tuttora prevalgono.
“La gente di tutto il mondo sogna la pace – ha dichiarato nel suo messaggio per la ricorrenza, Ban Ki-Moon – Ho grandi speranze nei giovani perché essi possono dare un massiccio contributo di massa. I leader mondiali dovrebbero investire sui giovani come costruttori di pace. Invito tutte le parti in conflitto a deporre le armi e di osservare un cessate il fuoco globale”.
L’International Peace Bureau (IPB) di Ginevra, la più antica e grande federazione del mondo di organizzazioni impegnate per la pace, Nobel per la Pace (1910), consulente permanente presso le Nazioni Unite in materia di disarmo ha deciso di conferire l’annuale Premio della Pace “Sean MacBride”, intitolato allo statista irlandese, a sua volta Nobel per la Pace (1974), e fondatore di Amnesty International, a due comunità insulari che, in differenti circostanze, hanno mostrato prova di un profondo impegno per la pace e la giustizia sociale:
– a Lampedusa per aver risposto alle drammatiche circostanze di migliaia di rifugiati nell’arco degli ultimi anni passati;
– al villaggio di Gangjeon, nell’isola di Jeju (Corea del Sud), che sta resistendo da 8 anni con forme non violente alla costruzione di una base navale che dovrà ospitare navi da guerra statunitensi e sudcoreane, che distruggerà l’ambiente locale, in un’isola le cui acque sono incluse in una Riserva Biosfera dell’UNESCO, e il tradizionale modo di vivere delle persone.
In particolare, “Gli abitanti dell’isola di Lampedusa hanno dato al mondo uno straordinario esempio di solidarietà umana, offrendo abbigliamento, riparo e cibo a coloro che sono arrivati, con difficoltà, sulle loro coste – si legge nella motivazione – La risposta dei Lampedusani spicca per il netto contrasto con il comportamento e le politiche ufficiali dell’Unione europea, apparentemente intenti solo al rafforzamento dei loro confini nel tentativo di tenere questi migranti fuori. Questa politica di ‘Fortezza Europa’ è sempre più militarizzata. Consapevole della sua multi-cultura che incarna l’evoluzione della regione del Mediterraneo, dove nel corso dei secoli le diverse civiltà si sono mescolate e hanno costruito ognuna sugli sviluppi dell’altra, con reciproco arricchimento, l’isola di Lampedusa mostra anche al mondo che una cultura di accoglienza e rispetto della dignità umana sono i più efficaci antidoti al nazionalismo e al fondamentalismo religioso”. […]
“L’IPB ritiene che la situazione drammatica nel Mediterraneo – costantemente sotto i riflettori dei mass-media – debba essere in cima alle priorità urgenti dell’Europa. Gran parte del problema ha origine dalle ingiustizie sociali e disuguaglianze conseguenti i conflitti in cui l’Occidente, da secoli, ha svolto un ruolo aggressivo. Ci rendiamo conto che non ci sono soluzioni facili, ma come principio guida, l’Europa dovrebbe onorare gli ideali di solidarietà umana, su qualsiasi altra considerazione cinica dei Governi e di Enti in cerca di profitto / potere / risorse. Quando l’Europa contribuisce a rovinare le condizioni di vita delle persone, come ad esempio in Iraq e in Libia, essa dovrà trovare i modi per aiutarle a ricostruire i mezzi di sussistenza. Dovrebbe essere indegno per l’Europa spendere miliardi per interventi militari, ma non avere risorse disponibili per soddisfare le esigenze di base. La domanda più importante è come sviluppare la cooperazione tra le persone di buona volontà da entrambe le parti del Mediterraneo un processo a lungo termine, costruttivo, attento ai problemi di genere e sostenibile”.