Cambiamenti climatici

Ghiacciai alpini: quasi tutti a rischio scomparsa

La fotografia che emerge dalla III Campagna “Carovana dei Ghiacciai” non lascia dubbi circa il rischio che i ghiacciai dell’intero arco alpino nel giro di pochi anni possano scomparire sotto gli effetti dei cambiamenti climatici.  

Si è conclusa il 3 settembre 2022 la III CampagnaCarovana dei Ghiacciai”, avviata da Legambiente, in collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano, per monitorare in 5 tappe (dalla Valle d’Aosta al Friuli-Venezia Giulia) lo stato di salute dei ghiacciai alpini minacciati dall’emergenza climatica.

Durante questo ‘pellegrinaggio’ attraverso le Alpi abbiamo incontrato persone, visitato luoghi straordinari, dedicato arte e musica ai Ghiacciai, riscoprendo un contatto più profondo con la natura – ha dichiarato Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente – Inimmaginabile quanto tutto sia cambiato in soli due anni, ritornando sui ghiacciai monitorati dalla prima edizione della Carovana.  Abbiamo conosciuto i ghiacciai da vicino, ne abbiamo osservato la sofferenza e ascoltato il loro urlo. Grido che dobbiamo raccogliere noi, in quanto cittadini, adottando stili di vita più sobri e sostenibili ma soprattutto i decisori politici, perché il tempo del cambiamento è adesso o mai più”. 

Secondo il Comunicato stampa conclusivo, quasi tutti i 10 ghiacciai monitorati sono a rischio scomparsa con crescente perdita di superficie e spessore: il ghiacciaio della Marmolada (Trentino-Veneto), il cui monitoraggio è avvenuto da lontano, a seguito della tragedia accaduta all’inizio di luglio, tra 15 anni potrebbe scomparire del tutto, avendo perso nell’ultimo secolo più del 70% in superficie e oltre il 90% in volume;  sul ghiacciaio del Miage (Valle d’Aosta) in 14 anni sono spariti circa 100 miliardi di litri di acqua (pari a tre volte il volume dell’idroscalo di Milano); la fronte dei ghiacciaio dei Forni (Lombardia) è arretrata nell’ultimo anno di più di 40 metri lineari e di 400 metri negli ultimi dieci anni;il ghiacciaio occidentale del Montasio (Friuli Venezia Giulia), unica eccezione osservata sulle Alpi, dal 2005 risulta stabilizzato pur avendo subito in un secolo una perdita di volume del 75% circa e una riduzione di spessore pari a 40 metri.  

Quello che abbiamo osservato e i dati che abbiamo raccolto durante questo viaggio per monitorare lo stato di salute del nostro arco alpino è molto preoccupante, non solo dal punto di vista scientifico – ha aggiunto Marco Giardino dell’Università di Torino e Vicepresidente del Comitato Glaciologico Italiano – Abbiamo messo i piedi sui ghiacciai, osservando i crepacci che aumentano, le fronti che arretrano, il loro ingrigimento e i crescenti rivoli d’acqua di fusione che scorrono sulla loro superficie. Abbiamo confrontato queste evidenze con fotografie e carte storiche. Ne abbiamo ricavato dati quantitativi indispensabili per interpretare gli effetti locali del riscaldamento climatico in atto e comprendere quali scenari futuri si attendono per l’ambiente d’alta quota e quali saranno le conseguenze sul paesaggio e sulle risorse del nostro paese”. 

Le modifiche rilevate sono tali che ormai la glaciologia alpina rischia di essere declinata al passato. La classificazione dei ghiacciai italiani in tipo alpino, con la distinzione nettatra il bacino collettore dove si verifica l’accumulo e la compattazione della neve, solitamente delimitato da un circo, e il bacino di ablazione dove si ha la perdita di ghiaccio scendendo verso valle, e di tipo himalayano caratterizzatodalla confluenza di più ghiacciai di tipo alpino, le lingue dei quali si fondono per costituire un unico bacino ablatore, dovrà essere rivista, come nel caso del ghiacciaio dei Forni, il secondo gigante italiano (dopo l’Adamello) che si è frammentato in 3 corpi glaciali.

I dati raccolti richiedono in maniera inequivocabile un cambio di rotta immediato – ha sottolineato Giorgio Zampetti, Direttore nazionale Legambiente - Il Paese smetta di inseguire l’emergenza. Occorre accelerare piuttosto nelle politiche di mitigazione, riducendo drasticamente l’utilizzo di fonti fossili, e attuare un concreto piano di adattamento al cambiamento climatico. Ancora oggi però le risposte sono troppo frammentate se non addirittura sbagliate, allontanandoci sempre di più dall’obiettivo di arrivare a emissioni nette pari a zero nel 2040, per rispettare l’Accordo di Parigi”. 

 

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