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Commissione “Ecomafie”: 261 incendi negli impianti di trattamento rifiuti

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Presentata la Relazione della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (la cosiddetta Commissione “Ecomafie”), che sottolinea come circa la metà dei roghi si siano verificati nel Nord Italia e il 20% abbiano un origine dolosa.

È questa in estrema sintesi la conclusione della Relazione sul fenomeno degli incendi negli impianti di rifiut della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (la cosiddetta Commissione “Ecomafie”), presentata alla Camera dei Deputati il 17 gennaio 2018.

Sono stati ben 216 gli incendi in 3 anni censiti dalla Commissione e la maggior parte dei roghi in questo genere di impianti – grosso modo la metà – è avvenuta al Nord, confermando una inversione del flusso dei rifiuti. La direzione è quella verso il settentrione del Paese più ricco di impianti, e quindi un ruolo nel fenomeno lo gioca la carenza impiantistica che si rileva nel resto del Paese, che oltretutto porta anche ad accumuli eccessivi di materiali da trattare.

Nel 2018 a pochi giorni di distanza si sono già verificati altri due incendi nell’Italia settentrionale che hanno coinvolto il 3 gennaio un capannone dove erano depositati rifiuti solidi a Corteolona (PV ), e il 7 gennaio un deposito di rifiuti di un’azienda che si occupa di riciclaggio a Cairo Montenotte (AL), che hanno determinato allarme tra la popolazione coinvolta per l’elevato livello di concentrazioni di diossine nell’aria.

Che il 47,5% degli incendi sia avvenuto nelle Regioni del Nord è un elemento di attenzione che si incrocia con una presenza maggiore di impianti e un’inversione del flusso dei rifiuti – ha spiegato la Presidente della Commissione Chiara Braga, nel corso della presentazione avvenuta il 17 gennaio 2018 – oltre che alla maggiore urbanizzazione“.

I restanti casi sono stati rilevati per il 16,5% al centro, il 23,7% al sud e il 12.3% nelle isole.

Per circa il 20% dei casi indicati ci sono elementi concreti per ritenere gli episodi di natura dolosa – ha proseguito la Braga – e le indagini sono in corso e nel 50% dei casi sono verso ignoti“.

Il 2017 è stato l’anno che, in proporzione, ha fatto registrare “il massimo numero tendenziale di eventi, con un ulteriore aumento a partire dalla seconda metà dell’anno“, si legge nella Relazione, ma la crescita “risale già al biennio precedente“.

La distribuzione territoriale vede una prevalenza di eventi al nord il che, “in mancanza di spiegazioni omogenee – segnala la Relazione – conferma indirettamente quantomeno l’inversione del flusso dei rifiuti rispetto a storiche emergenze che hanno in passato colpito le regioni meridionali“.

La non corretta chiusura del ciclo dei rifiuti evidentemente attiene al fenomeno – ha sottolineato la Presidente della Commissione – c’è carenza di alcune aree del Paese sulla raccolta differenziata e i rifiuti possono subire una mobilità verso le aree dove invece c’è disponibilità, al netto dei comportamenti illeciti“.

Relativamente al sovraccarico, “si dovrebbero verificare gli accessi non corrispondenti alle autorizzazioni dell’impianto- ha proseguito Braga – e inoltre si ricorre talvolta allo ‘strumento’ dell’incendio come soluzione a una non corretta gestione“.

La Relazione evidenzia poi come l’azione penale sia stata esercitata nel 13% dei casi (con un 39,1% di casi pendenti e un 47,9% di procedimenti archiviati). Sul dato pesa anche la mancata segnalazione dei fatti come notizie di reato alle procure, episodi che raggiungono il 33% dei casi.

La cifra oscura in questa materia – si legge nella Relazione – potrebbe rivelarsi ulteriormente amplificata dalla gestione domestica di alcuni eventi da parte delle aziende interessate, senza il coinvolgimento dei vigili del fuoco e degli organi di controllo ambientale, nonostante l’incidenza di questo tipo di eventi sull’ambiente“.

Dal nostro punto di vista abbiamo appurato una correlazione tra il fenomeno degli incendi e una mancata chiusura del ciclo dei rifiuti – ha commentato Braga che, rifacendosi alle conclusione della relazione, ha richiamato soprattutto – la fragilità degli impianti, spesso non dotati di sistemi adeguati di sorveglianza e controllo, la rarefazione dei controlli sulla gestione che portano a situazione di sovraccarico degli impianti e quindi di incremento di pericolo di incendio, la possibilità determinata da congiunture nazionali e internazionali di sovraccarico di materia non gestibile, che quindi dà luogo a incendi dolosi liberatori“.

Il riferimento esplicito è alla Cina che, negli ultimi anni, ha interrotto l’importazione di 4 classi e 24 tipologie di rifiuti solidi dai Paesi europei, tal che gli impianti e le linee di riciclo si ingolfano e la stessa Germania sta esportando verso l’Italia i rifiuti rigenerabili.

Per la Presidente della Commissione d’inchiesta più che nuove leggi sono necessari il rispetto ed il controllo sulle attuali, in particolare alla “corretta autorizzazione” e al “rispetto della normativa antincendio“.

Infine, nella Relazione si suggerisce il “necessario coordinamento informativo tra Vigili del Fuoco, agenzie ambientali, polizie giudiziarie specializzate e territoriali, anche costruendo una base informativa comune, che risulti coerente nel riportare la natura dei fatti e i numeri.Dal punto di vista della qualificazione giuridica dei fatti, si deve ritenere che a fronte di un’attività pericolosa e soggetta e regole cautelari quale è quella della gestione degli impianti di trattamento dei rifiuti, la prima ipotesi di reato possa essere quella di incendio colposo a carico dei gestori; salvo evidentemente il possibile accertamento di condotte dolose che abbiano causato l’incendio”.

In copertina: L’incendio verificatosi il 3 gennaio a Corteolona (PV) nel capannone contenente rifiuti plastici e pneumatici fuori uso (Fonte: Corriere della Sera)

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