27 Marzo 2023
Economia e finanza Società Sostenibilità

Biotecnologie: il settore italiano è pronto alla Bio-revolution

L’annuale Rapporto BioInItaly sulle Biotecnologie di Assobiotec-Federchimicae ENEA conferma che il settore sia per la bioeconomia (agricoltura e zootecnia, industria e ambiente) sia per l’area salute (diagnostica, prevenzione vaccinale e soluzioni terapeutiche) in Italia c’è ed è ricco di eccellenze, come si è evidenziato in occasione dell’emergenza sanitaria da Covid-19, ed è pronto per la ripartenza su modelli sostenibili di produzione e consumo.

Il nuovo RapportoBioInItaly 2020” di Assobiotec (Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica) ed ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), presentato il 13 maggio 2020, è capitato in un momento di straordinaria emergenza per il Paese per effetto di Covid-19.

BioInItaly, riporta i dati relativi al 2019 e non include alcun elemento correlato alla pandemia coronavirus che sta interessando il Paese e il mondo intero. Fotografando, però, la realtà dell’industria biotech attiva nel nostro Paese nel 2019, il Rapporto offre un’immagine del comparto unica a livello internazionale per ricchezza e completezza dell’informazione, ponendo le basi per valutare punti di forza e di debolezza, opportunità e minacce per il settore, anche alla luce dei recenti, drammatici avvenimenti, che hanno acceso un faro non solo sulla salute, ma anche sulla sostenibilità economica e ambientale degli attuali modelli di produzione e consumo per la sopravvivenza del Pianeta.

Come ha ben evidenziato la settimana scorsa McKinsey Global Institute nella nuova ricercaHow the Bio Revolution could transform the competitive landscape” (Come la Bio-rivoluzione potrebbe trasformare il panorama competitivo), oltre la metà del potenziale impatto economico diretto delle biotecnologie è al di fuori dell’assistenza sanitaria, in particolare in agricoltura e alimenti, materiali ed energia e prodotti di consumo e servizi, e la disruption della Bio-rivoluzione sarà vasta e in grado di influenzare una vasta gamma di settori.

Per questo, assume maggiore importanza oggi guardare i numeri delle biotecnologie in Italia e delle  relative attività di ricerca e sviluppo delle circa 700 imprese che a fine 2019 hanno fatturato oltre 12 miliardi di euro, con un incremento medio annuo tra il 2014 e il 2018 di circa il 5%, due terzi dei quali generati dalle imprese a capitale estero, che rappresentano appena l’11% delle imprese censite, e sono attive soprattutto nell’area della salute umana.

Gli addetti del settore in Italia sono 13mila, di cui il 34% è impiegato in attività di R&S, dove le imprese censite investono 2,3 miliardi di euro, mentre gli investimenti in R&S biotech superano i 760 milioni, registrando una crescita di oltre il 7% rispetto al 2016 e del 25% rispetto al 2014.  

L’80% dell’industria delle biotecnologie in Italia è costituito da imprese di piccola e micro dimensione, che hanno avuto un ruolo propulsivo nella dinamica di crescita dell’intero comparto. Fra il 2017 e il 2019 sono state registrate oltre 50 nuove start-up innovative attive nelle biotecnologie. Il 49% delle imprese biotech ha come settore di applicazione prevalente quello legato alla salute, che storicamente si connota come il settore che per primo ha dato impulso allo sviluppo delle tecnologie biotech. Il 39% delle imprese biotech produce e/o sviluppa prodotti e servizi sia di carattere industriale o volti alla prevenzione e mitigazione dell’impatto ambientale (30%), sia per applicazioni agricole e zootecniche (9%), rappresentando una delle principali leve innovative per i settori della bioeconomia. L’area delle applicazioni in Genomica, Proteomica e Tecnologie Abilitanti (GPTA) risulta presente nel 12% delle realtà censite.

Dal Rapporto sulle biotecnologie emerge con forza come la ricerca e l’innovazione possano dare un contributo di rilievo allo sviluppo di settori strategici, in una prospettiva di sostenibilità economica e ambientale e di collaborazione pubblico-privato – il Presidente dell’ENEA, Federico Testa –  Per sfruttare al meglio le potenzialità del nostro sistema innovativo, infatti, è necessario sviluppare nuove modalità di collaborazione fra ricerca pubblica, imprese e finanziatori, in primo luogo i fondi di venture capital, al fine di massimizzare le opportunità di scambio tecnologico in un approccio di open innovation, per potenziare l’azione di sistema fra i vari attori coinvolti. Su questa traiettoria si posiziona ormai da alcuni anni ENEA con strumenti ad hoc per rafforzare la collaborazione con le imprese, attraverso programmi come il Knowledge Exchange a supporto del sistema industriale, il fondo interno da 2,5 milioni di euro per il proof of concept, la formazione di ricercatori esperti in trasferimento tecnologico, solo per fare alcuni esempi. E su questa intendiamo proseguire, ampliando servizi e strumenti disponibili, anche nella prospettiva di contribuire alla ripartenza post emergenza Covid-19”.

Alla risposta data dal settore all’emergenza sanitaria e agli effetti provocati sulle imprese dalla pandemia da SARS-CoV-2 è stata dedicata l’appendice “Biotech vs Covid-19”, che è parte integrante del Rapporto.

Nel mese di aprile Assobiotec ha realizzato un sondaggio finalizzato ad indagare il ruolo che il biotech sta giocando nella battaglia globale contro la pandemia e che tipo di impatto ha avuto la diffusione del virus SARS-CoV-2 sul comparto biotech nazionale. L’appendice “Biotech vs Covid-19” è parte integrante del rapporto sulle imprese biotecnologiche 2020.

I risultati mostrano un importante coinvolgimento delle imprese presenti sul nostro territorio nella ricerca e nella produzione di soluzioni contro il virus (57% del campione) con particolare riferimento all’area della diagnostica (44%) e della ricerca di terapeutici (34%). Solo il 7% dichiara invece di essere impegnato nella ricerca di un vaccino.

Significativo è l’effetto che la pandemia e il lockdown stanno avendo sul comparto: sebbene il 60% del campione indichi di continuare a portare avanti il proprio business, anche se in modalità differente, il 40% si è vista costretta a ridimensionare (29%) o bloccare (11%) la propria attività. A soffrire in particolare le realtà a capitale italiano che nel 13% dei casi hanno dovuto bloccare totalmente le attività in corso, mentre le imprese con headquarter estero sono riuscite tutte a proseguire le attività (dato imputabile al fatto che queste realtà svolgono in prevalenza attività più vicine al mercato e sono dunque meno esposte ad attività ad alto rischio di R&S).

Le difficoltà operative incontrate sono state tante e differenti: carenza di clienti (32%), logistica (29%) e crisi di liquidità (25%).
I principali fattori alla base di un rallentamento generale delle attività di R&S sono state indicate:  carenza di budget (36%), inaccessibilità dei laboratori e sospensione delle attività di arruolamento di pazienti negli studi clinici (21%), mancanza di materiali (19%).

E alla domanda Superata l’emergenza, se dovesse indicare 2 priorità sulle quali le Istituzioni dovrebbero lavorare per permettere alla sua impresa di svilupparsi e di affrontare meglio sfide future come questa?”: quasi la metà delle imprese italiane ha risposto che è urgente individuare un piano di lungo periodo per la Ricerca e l’Innovazione (42%), così come allocare più investimenti in R&S (41%); mentre le imprese a capitale estero chiedono minore burocrazia (28%) e l’individuazione di un pacchetto di sgravi fiscali (14%).

Fra emergenza coronavirus e ricerca di soluzioni per una nuova ripartenza sostenibile, le biotecnologie stanno mostrando negli ultimi mesi in maniera sempre più chiara il determinante contributo che sono in grado di offrire a livello globale per rispondere a queste urgenze – ha commentato il Presidente di Assobiotec – Federchimica, Riccardo Palmisano – Il settore in Italia c’è ed è ricco di eccellenze, ma per poter competere a livello internazionale ha bisogno di urgenti interventi a livello di sistema Paese. L’esperienza che stiamo vivendo ci ha insegnato, in modo chiaro, alcune cose: in primis che gli investimenti in ricerca e innovazione sono fondamentali: essere fermi all’1,3% del PIL rispetto al 3% individuato dal piano Horizon 2020 non è un risparmio, ma significa perdere opportunità di crescita per il Paese. Poi che la collaborazione pubblico-privato funziona: questa crisi ce lo sta ricordando ogni giorno, non perdiamo l’occasione per rendere questo modello permanente. Ancora, che lentezze burocratiche, regole farraginose e frammentazione sono i nemici numero uno della velocità d’azione che nei settori ad alta tecnologia globalizzati come il biotech rappresenta un elemento vitale. Se vogliamo che il biotech diventi una catapulta per la ripartenza dobbiamo rendere il nostro Paese attrattivo per gli investimenti. Infine, ci ha insegnato quanto sia importante per un Paese industrializzato come il nostro disporre, oltre che della ‘conoscenza’, anche di strutture ed infrastrutture strategiche e quanto oggi si debba agire per favorirne l’attrazione e la nascita. Mi piacerebbe che da questi punti si potesse ripartire, tutti insieme, per lo sviluppo del settore, per la crescita dell’economia e dell’occupazione del Paese”.

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