Un team di ricerca internazionale, guidato dall’Istituto di Nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche, fa luce sul collegamento tra intestino e cervello nella malattia di Alzheimer utilizzando tecniche avanzate di imaging a raggi X, fornendo nuove informazioni sui meccanismi che collegano le alterazioni intestinali al loro potenziale ruolo nell’insorgenza della devastante patologia, e confermando, altresì, l’importanza della dieta per la salute mentale.
L’intricata correlazione intestino-cervello sembra esercitare un’influenza sulla progressione della malattia di Alzheimer (AD), un debilitante disturbo neurodegenerativo che rimane una delle principali sfide per la salute pubblica, colpendo nel mondo, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), oltre 30 milioni di persone e causando disabilità e non autosufficienza tra le persone anziane.
A far luce su questo aspetto è la ricerca guidata dall’Istituto di Nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-Nanotec), sede secondaria di Roma, condotta in collaborazione con l’European Synchrotron Radiation Facility (ESRF) di Grenoble e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” (IRCCS) di Milano, i cui risultati sono stati nello Studio “Investigating gut alterations in Alzheimer’s disease: In-depth analysis with micro- and nano-3D X-ray phase contrast tomography”, pubblicato il 31 gennaio 2025 su Sciences Advances.
Negli ultimi anni, gli scienziati hanno trovato prove che l’intestino e il cervello comunicano attraverso i neuroni posizionati in entrambi gli organi. La disfunzione di questo asse è stata collegata a disturbi psichiatrici e neurologici.
“Ci sono già molti studi che supportano il fatto che i cambiamenti nella composizione intestinale possono contribuire all’insorgenza e alla progressione dell’Alzheimer – spiega Alessia Cedola, Ricercatrice dell’Istituto di Nanotecnologie del CNR e autrice corrispondente dello studio – L’ipotesi principale è che i cambiamenti inneschino la fuga di batteri cattivi dall’intestino, entrando in circolazione, raggiungendo il cervello e innescando l’Alzheimer”.
“Il microbiota intestinale, l’insieme dei microrganismi presenti nell’intestino, gioca un ruolo cruciale in questo processo – aggiunge Francesca Palermo, anche lei del CNR – Nanotec e co-autrice dello studio – La disbiosi, uno squilibrio nella composizione microbica, può portare alla produzione di metaboliti tossici che promuovono l’infiammazione e compromettono le barriere tra intestino e cervello”.
Utilizzando la nano- e micro-tomografia a raggi X a contrasto di fase (XPCT), i dati degli esperimenti, in parte condotti presso l’ESRF, il sincrotrone europeo a Grenoble, hanno mostrato i cambiamenti nell’abbondanza e nell’organizzazione delle cellule nei tessuti, nonché l’alterazione strutturale in diversi tessuti di topi affetti da Alzheimer.
In particolare, si sono evidenziate alterazioni rilevanti nei villi e nelle cripte dell’intestino, trasformazioni cellulari nelle cellule di Paneth e caliciformi, insieme al rilevamento di telociti, neuroni, eritrociti e secrezione di muco da parte delle cellule caliciformi all’interno della cavità intestinale. Tutti questi elementi, quando funzionano correttamente, mantengono la salute intestinale, supportano la digestione e proteggono il rivestimento intestinale dai danni.
“Grazie a questa tecnica possiamo visualizzare in 3D tessuti biologici molli con un’eccellente sensibilità -spiega Peter Cloetens, scienziato presso l’ESRF e co-autore della pubblicazione – con una preparazione minima del campione e senza agenti di contrasto”.

I prossimi passi di questa ricerca saranno quelli di sfruttare ulteriormente le capacità dell’XPCT per studiare come l’intestino comunica con il sistema nervoso centrale.
“Acquisendo una comprensione più profonda di questi processi– conclude Cedola – speriamo di identificare nuovi bersagli terapeutici e sviluppare trattamenti innovativi per questa malattia devastante”.
La ricerca costituisce un’ulteriore conferma dell‘importanza della dieta per il benessere mentale.