Biodiversità e conservazione Fauna

Albero della vita: l’uomo sta segando i rami

Una nuova analisi sull’estinzione di massa a livello di genere, condotta da due insigni scienziati dell’Università Nazionale Autonoma del Messico e dell’Università di Stanford, rileva una “mutilazione dell’albero della vita” con enormi potenziali danni per la società umana.

La colomba migratrice, la tigre della Tasmania, il delfino del fiume Yangtze sono le vittime più note di quella che gli scienziati hanno chiamato sesta estinzione di massa, conseguenza delle attività umane che portano alla scomparsa delle specie di animali vertebrati a ritmi centinaia di volte più rapidi del loro ritmo naturale di estinzione.

Tuttavia, il nuovo StudioMutilation of the tree of life via mass extinction of animal genera” pubblicato il 18 settembre 2023 negli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze (PNAS) e condotto da Gerardo Ceballos, ricercatore senior presso l’Istituto di Ecologia dell’Università Nazionale Autonoma del Messico e primo scienziato a pubblicare la distribuzione di un gruppo completo di organismi (mammiferi), e Paul Ehrlich, Professore emerito di Biologia e Presidente del Center for Conservation Biology dell’Università di Stanford, tra i primi negli anni sessanta ad aver parlato di “estinzione di massa”, mostra che la crisi potrebbe essere ancora più profonda, dal momento che le 3 specie sopracitate erano anche gli ultimi membri del loro genere, la categoria più alta in cui i tassonomi classificano le specie

Secondo gli scienziati, finora l’interesse pubblico e scientifico si è concentrato sull’estinzione delle specie, ma interi generi stanno scomparendo, a seguito di quella che chiamano “mutilazione dell’albero della vita”.

Le informazioni sullo stato di conservazione delle specie provenienti dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUNC), da Birdlife International e da altri database sono migliorate negli ultimi anni, consentendo a Ceballos ed Ehrlich di valutare l’estinzione a livello di genere. 

Esaminando 5.400 generi di vertebrati (esclusi i pesci) comprendenti 34.600 specie, hanno scoperto che 73 generi si sono estinti a partire dal 1500 d.C. in quella che chiamano una “mutilazione dell’Albero della vita”. Gli uccelli sono quelli che hanno subìto le perdite più pesanti con l’estinzione di 44 generi, seguiti nell’ordine da mammiferi, anfibi e rettili.

A lungo termine, stiamo mettendo un grosso freno all’evoluzione della vita sul pianeta – ha affermato Ceballos – Ma anche in questo secolo, quel che stiamo facendo all’albero della vita causerà molta sofferenza all’umanità”.

Rappresentazione schematica della mutilazione dell’Albero della vita a causa di estinzioni o rischi di estinzioni di generi. La metà inferiore dell’albero raffigurato come rami morti mostra esempi di generi estinti, mentre la metà superiore mostra esempi di generi a rischio di estinzione (Illustrazione: Marco Antonio Pineda). 
Generi estinti
Fila in basso, a sinistra: geco gigante di Delcourt (Hoplodactylus) i cui unici esemplari conosciuti furono rinvenuti in un museo senza etichetta, ma probabilmente furono ritrovati in Nuova Zelanda; e la tartaruga gigante dal dorso a sella (Cylindraspis) dell’isola di Rodrigues nell’Oceano Indiano. 
Fila in basso, a destra: tritone dello Yunnan (Cynops) e le rane a gestazione gastrica (Rheobatrachus) delle foreste pluviali del Queensland (Australia).
Seconda fila dal basso verso l’alto, a sinistra: tigre della Tasmania (Thylacinus), il più grande marsupiale carnivoro; e il delfino del fiume Yangtze o baijii (Lipotes) in Cina, uno dei pochissimi delfini d’acqua dolce. 
Seconda fila dal basso verso l’alto, a destra: gli uccelli elefante (Aepyornis), gli uccelli più grandi sopravvissuti fino ai tempi moderni, rappresentano anche un genere e una famiglia estinti (Aepyornithidae) endemici del Madagascar, e gli uccelli Moho (Moho) un genere e una famiglia estinti (Mohidae) delle Hawaii. 
Generi in via di estinzione
Terza fila dal basso verso l’alto, a sinistra: cobra reale (Ophiophagus) dell’Asia e gaviale (Gavialis) che vive in India e Nepal dell’India.
Terza fila dal basso verso l’alto, a destra: tritone alpino (Ichthyosaura) dell’Europa e la rana in mogano (Abavorana) della penisola malese. 
Quarta fila in alto: coniglio del vulcano (Romerolagus) che vive su alcune montagne nei dintorni di Città del Messico e elefante africano (Loxodonta).

Ciò che stiamo perdendo – ha aggiunto Ehrlich – sono i nostri unici compagni viventi conosciuti nell’intero universo“.

Sulla base del tasso storico di estinzione del genere tra i mammiferi – stimato per gli autori da Anthony Barnosky, professore emerito di biologia integrativa all’Università di California- Berkeley – l’attuale tasso di estinzione del genere dei vertebrati supera di 35 volte quello dell’ultimo milione di anni. Ciò significa che, senza l’influenza umana, la Terra avrebbe probabilmente perso solo due generi durante quel periodo. In cinque secoli, le azioni umane hanno innescato un’ondata di estinzioni di generi che altrimenti avrebbero impiegato 18.000 anni per accumularsi,  ciò che lo studio definisce un “annientamento biologico”.

Come scienziati, dobbiamo stare attenti a non essere allarmisti – ha riconosciuto Ceballos – ma la gravità dei risultati in questo caso, richiedeva un linguaggio più potente del solito. Sarebbe immorale non spiegare l’entità del problema, poiché noi e altri scienziati siamo allarmati”.

A molti livelli, le estinzioni dei generi colpiscono più duramente delle estinzioni delle specie.
Quando una specie si estingue, spiegano gli autori, altre specie del suo genere possono spesso ricoprire almeno in parte il suo ruolo nell’ecosistema. E poiché quelle specie portano gran parte del materiale genetico dei loro cugini estinti, ne conservano anche gran parte del potenziale evolutivo. Immaginato in termini di albero della vita, se un singolo “ramoscello” (una specie) cade, i ramoscelli vicini possono ramificarsi in tempi relativamente brevi, riempiendo il vuoto proprio come avrebbe fatto il ramoscello originale. In questo caso, la diversità delle specie sul pianeta rimane più o meno stabile.

Ma quando interi “rami” (generi) cadono, lasciano un enorme buco nella chioma, una perdita di biodiversità che può impiegare decine di milioni di anni per “ricrescere” attraverso il processo evolutivo di speciazione. L’umanità non può aspettare così a lungo affinché i suoi sistemi di supporto vitale si riprendano, dato che la stabilità della nostra civiltà dipende dai servizi forniti dalla biodiversità della Terra.

Gli scienziati fanno l’esempio della crescente insorgenza della malattia di Lyme: i topi dai piedi bianchi, i principali portatori della malattia, erano soliti competere con le colombe migratrici per il cibo, come le ghiande. Con la scomparsa delle colombe e la diminuzione dei predatori come lupi e puma, le popolazioni di topi sono aumentate e, con loro, i casi umani di malattia di Lyme.

Un’estinzione di massa di generi potrebbe significare un’esplosione proporzionale di disastri per l’umanità. Significa anche una perdita di conoscenza. Ceballos ed Ehrlich citano al riguardo la rana a gestazione gastrica, anch’essa ultimo membro di un genere estinto. Le femmine che ingoiavano le proprie uova fecondate e allevavano i girini nello stomaco, “spegnendo” l’acidità di stomaco, “avrebbero potuto fornire un modello per studiare malattie umane come il reflusso gastrico che può aumentare il rischio di cancro esofageo, ma ora non ci sono più”.

La perdita di generi potrebbe anche esacerbare il peggioramento della crisi climatica. “Il cambiamento climatico sta accelerando l’estinzione – ha sottolineato Ehrlich – che sta interagendo con il clima, perché la natura delle piante, degli animali e dei microbi sul pianeta è uno dei grandi determinanti del tipo di clima che abbiamo”.

Per prevenire ulteriori estinzioni e le conseguenti crisi sociali, Ceballos ed Ehrlich chiedono un’azione politica, economica e sociale immediata su scala senza precedenti. Maggiori sforzi di conservazione dovrebbero dare priorità ai tropici, hanno osservato, poiché le regioni tropicali hanno la più alta concentrazione di estinzioni di generi e di generi con una sola specie rimanente. Anche una maggiore consapevolezza pubblica sulla crisi dell’estinzione, soprattutto considerando quanto profondamente si interseca con la più pubblicizzata crisi climatica.

Le dimensioni e la crescita della popolazione umana, la scala crescente dei suoi consumi e il fatto che i consumi sono molto ingiusti sono tutti aspetti importanti del problema – hanno affermato gli autori – L’idea che si possa continuare con tale crescita e salvare la biodiversità è una pura follia”.

In copertina: foto di Emma Gosset su Unsplash

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