Agroalimentare

“Agromafie”: il business ha superato i 16 miliardi di euro

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Associazione per delinquere di stampo mafioso e camorristico, concorso in associazione mafiosa, truffa, estorsione, porto illegale di armi da fuoco, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, contraffazione di marchi, illecita concorrenza con minaccia o violenza e trasferimento fraudolento di valori sono le tipologie di illeciti riscontrate con più frequenza da parte delle organizzazioni criminali operanti nel settore agroalimentare con il business delle Agromafie che ha superato i 16 miliardi di euro nel 2015.

Queste desolanti considerazioni emergono da “Agromafie. 4° Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia” elaborato da EurispesColdiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare e presentato il 17 febbraio 2016.

Mi preoccupano molto i numeri sul fatturato delle agromafie – ha dichiarato il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando – L’anno scorso infatti in questa sede assumemmo l’impegno di avviare il lavoro per innovare la normativa su questo fronte. Ci stiamo confrontando con gli stakeholder per le ultime limature e poi proporrò un ddl complessivo con il Ministro Martina per rafforzare gli strumenti di contrasto in questo senso, intrecciandola ad un’altra normativa che è quella per il contrasto al caporalato, perchè laddove c’è mafia c’è contraffazione e anche sfruttamento del lavoro”.

La contraffazione, la falsificazione e l’imitazione del Made in Italy alimentare nel mondo, il cosiddetto Italian sounding, supera per fatturato i 60 miliardi di euro, con quasi due prodotti apparentemente italiani su tre in vendita sul mercato internazionale, secondo una analisi della Coldiretti. Si tratta di una questione abbastanza insidiosa anche perché il fenomeno dell’Italian sounding non sempre si prefigura come un illecito penale. Ciò nonostante, l’associazione indebita al Made in Italy produce conseguenze deleterie per l’economia italiana, colpendo tutti i prodotti dell’agroalimentare, dai salumi alle conserve, dai vini ai formaggi ma, a differenza di quanto avviene per altri articoli legati al mondo della moda e delle tecnologie, a taroccare il cibo italiano non sono i Paesi poveri, ma quelli emergenti o più ricchi.

L’agroalimentare è il secondo comparto manifatturiero Made in Italy che svolge però anche un effetto traino unico sull’intera economia per l’impatto positivo di immagine sui mercati esteri – ha sottolineato il Presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo – Non si è mai consumato così tanto Made in Italy alimentare nel mondo, certamente per le condizioni economiche positive dovute alla ripresa internazionale e ai tassi di cambio favorevoli su mercati importanti come quello statunitense, ma anche perché l’Italia ha saputo cogliere l’opportunità di Expo per raccontare al mondo il modello agroalimentare e i suoi valori unici”.

Gli aumenti stimati vanno dall’11% per l’ortofrutta, al 10% per l’olio di oliva, dal 9% per la pasta al 6% per il vino che ha realizzato il record storico con un preconsuntivo annuale di 5,4 miliardi di fatturato realizzato oltre i confini nazionali, e queste performance potrebbero ulteriormente migliorare con una più efficace tutela nei confronti della “agropirateria” internazionale che utilizza impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all’Italia per prodotti taroccati che non hanno nulla a che fare con la realtà nazionale.

In testa alla classifica dei prodotti più falsificati ci sono i formaggi, in primo luogo il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano che, ad esempio, negli Stati Uniti in quasi nove casi su dieci sono sostituiti dal Parmesan prodotto in Wisconsin o in California, ma anche il Provolone, il Gorgonzola, il pecorino Romano, l’Asiago o la Fontina.

Poi ci sono i nostri salumi più prestigiosi, dal Parma al San Daniele, spesso clonati, ma anche gli extravergine di oliva e le conserve come il pomodoro San Marzano che viene prodotto in California e venduto in tutti gli Stati Uniti. A queste realtà se ne aggiunge una ancora più insidiosa: l’Italian sounding di matrice italiana, rappresentato ad esempio dall’azione di chi importa materia prima (latte, carni, olio) dai Paesi più svariati, la trasforma e ne ricava prodotti che successivamente vende come italiani senza lasciare traccia, attraverso meccanismi di dumping che danneggiano il vero Made in Italy, non esistendo ancora per tutti gli alimenti l’obbligo di indicare la provenienza in etichetta.

Il rischio di acquistare beni alimentari scadenti aumenta di pari passo con il fenomeno di acquisti on line: quasi un italiano su quattro (19,3%) acquista prodotti alimentari on line, con un dato triplicato rispetto al 2015 (6,1%), segno che il mercato sta prendendo piede velocemente anche in Italia, nonostante gli italiani siano tra coloro ancora poco propensi, rispetto alla media europea. Per citare un esempio nella vendita online di formaggi solo una ridotta percentuale di essi rispetta requisiti di qualità che li rendono sicuri. Il 30% dei formaggi analizzati, infatti, è risultato contaminato da Escherichia coli, l’8% da Stafilococchi e il 2% da Listeria monocytogenes.

Nel 4° dossier è misurato l’Indice di Organizzazione Criminale (IOC) che si fonda su 29 indicatori specifici e rappresenta la diffusione e l’intensità, in una data provincia, del fenomeno dell’associazione criminale, in considerazione delle caratteristiche intrinseche alla provincia stessa e di conseguenza sia di eventi criminali denunciati sia di fattori economici e sociali. In regioni quali la Calabria e la Sicilia si denota un grado di controllo criminale del territorio pressoché totale, al pari della Campania (sia pur con minore intensità nell’entroterra avellinese e beneventano).

In tutto il territorio nazionale sarebbero 26.200 “i terreni nelle mani di soggetti condannati in via definitiva per reati che riguardano tra l’altro l’associazione a delinquere di stampo mafioso e la contraffazione anche perché il processo di sequestro, confisca e destinazione dei beni di provenienza mafiosa si presenta lungo e confuso, spesso non efficace e sono numerosi i casi in cui i controlli hanno rilevato che alcuni beni, anche confiscati definitivamente, sono di fatto ancora nella disponibilità dei soggetti mafiosi“.

Tra i 20 ed i 25 miliardi di euro vengono, di fatto, sprecati per il mancato utilizzo dei beni confiscati sulla base delle stime dall’Istituto nazionale degli amministratori giudiziari (Inag). Circa un immobile su cinque confiscato alla criminalità organizzata sarebbe attribuibile all’agroalimentare, con il 53,5% concentrato in Sicilia, mentre la restante parte riguarda soprattutto le altre regioni a forte connotazione mafiosa, quali la Calabria (17,6%), la Puglia (9,5%) e la Campania (8%). Seguono con percentuali più contenute la Sardegna (2,3%), la Lombardia (1,6%), la Basilicata (1,5%) e il Piemonte (1,3%). Le altre regioni si attestano sotto l’1%.

I beni confiscati destinati alle attività socialmente utili sono una conquista democratica del nostro Paese, ma è un meccanismo che dobbiamo far funzionare – ha commentato Gian Carlo Caselli, Presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare – Purtroppo ci sono degli inceppamenti di varia natura da superare”.

Le mafie sono in espansione in ogni comparto economico e, per quanto riguarda l’agroalimentare la loro filosofia è quella di sempre: ‘piatto ricco mi ci ficco’ – ha proseguito Caselli – Nell’agroalimentare c’è da guadagnare, se poi si gioca con un mazzo di carte truccato si guadagna ancora di più”.

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