Un Convegno promosso dall’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari con docenti universitari e rappresentanti delle cooperative italiane, francesi e spagnole, ha fatto il punto sugli impatti dei cambiamenti climatici sulla viticoltura mediterranea e sulle possibili soluzioni per rendere resilienti i vigneti.
L’impatto del clima sulla viticoltura europea, soprattutto su quella del bacino mediterraneo, è un problema reale e serio che non può più essere sottovalutato, stante l’impossibilità sempre più concreta di non riuscire a contenere il riscaldamento globale al di sotto dei +2 °C alla fine del secolo.
Ed è per questo che l’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari ha promosso il Convegno Vigneti sostenibili per climi insostenibili, sull’impatto dei cambiamenti climatici sulla viticoltura italiana ed europea, svoltosi a Roma il 28 marzo 2018, con docenti universitari e rappresentanti delle cooperative italiane, francesi e spagnole, al fine di provare a individuare possibili soluzioni al problema.
Se si continua secondo modelli business as usual (BAU) ovvero senza interventi rapidi di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, il rischio di avere un aumento della temperatura globale di 4-5 °C diventa concreto.
A quel punto cosa accadrebbe alla viticoltura e alle caratteristiche organolettiche che hanno reso famosi nel mondo i vini europei e quelli italiani in particolare.
“L’ultimo decennio è stato il più caldo degli ultimi 2000 anni e stiamo entrando in una fase di clima inedito – ha sottolineato Luca Mercalli, Presidente della Società Meteorologica Italiana, intervenuto al Convegno – Anche la fascia climatica adatta al vigneto si sta spostando. Nel futuro diventeranno adatte alla coltura della vite aree che finora non lo erano: l’Europa centro orientale, la costa pacifica degli USA e la Nuova Zelanda”.
I cambiamenti climatici stanno spingendo la vite a quote altimetriche sempre più alte, impensabili fino a qualche decennio fa, e sale anche in latitudine.
Uno Studio sull’evoluzione della produzione di uve da vino in Europa nel 2050, per effetto dei cambiamenti climatici, ha previsto che in Europa a trarne i maggiori benefici sarebbero Gran Bretagna e Germania, mentre tra i perdenti ci sarebbero Francia, Spagna e Italia, qualora non venissero attuate le adeguate azioni di adattamento.
Già adesso stiamo assistendo a fenomeni di vegetazione precoce, con inverni miti, cui fanno seguito primavere instabili e fredde, quali quelle che abbiamo avuto all’inizio di questo 2018. Nei giorni scorsi, sul web sono circolate immagini della regione della Champagne con i vigneti ricoperti da una coltre di neve per effetto della fredda perturbazione denominata “burian II”, che ha destato viva preoccupazione tra i vignerons d’oltralpe, perché in qualche caso, a seconda dell’esposizione topografica, nei filari erano già spuntate le gemme.
Inoltre, lunghi periodi di siccità e di elevata temperature estive che sono sempre più “normali”, costringono ad anticipare le vendemmie, con conseguenti cali di produzione.
Il risultato è stato che l’anno scorso in Italia la produzione di vino si è attestata a circa 40 milioni di ettolitri, con un calo del 20% rispetto al 2016 e un aumento dei prezzi fino al 112% per alcuni bianchi.
Né è andata meglio in Spagna (-15%) e Francia (-18%) dove le superfici delle vigne sono passate, negli ultimi 30 anni, da 1 milione di ettari a 754mila (-25%).
Tutte le colture agroalimentari risentono di questo andamento meteo-climatico, ma di certo i vigneti sono una sorte di cartina di tornasole del global warming in atto.
Secondo uno Studio pubblicato il 2 gennaio 2018 su Nature Climate Change e condotto da ricercatori del Dipartimento di Biologia Organismica ed Evolutiva dell’Università di Harvard (Stati Uniti)) e dell’Istituto Francese per la Ricerca in Agricoltura (INRA) di Parigi, oggi i produttori di vino si trovano nella condizione di dover scegliere tra sperimentare proattivamente nuove varietà di vitigni o rischiare di subire le conseguenze negative dei cambiamenti climatici in corso.
La ricerca è destinata a giocare un ruolo importante da questo punto di vista. Dieci nuovi vitigni sono stati ottenuti dall’Università di Udine in collaborazione con l’Istituto di Genomica Applicata (IGA) e con i Vivai Cooperativi Rauscedo, che sono stati iscritti nel Registro Nazionale delle varietà autorizzate alla coltivazione.
“Oggi stiamo individuando i geni che aiutano le piante a meglio utilizzare l’acqua e i fertilizzanti e a proteggersi allo stesso tempo dagli agenti patogeni – ha spiegato il Prof. Michele Morgante, Ordinario di Genetica all’Università di Udine e Direttore dell’IGA – Le nuove tecnologie di miglioramento genetico possono aiutarci a tradurre rapidamente questa conoscenza in nuove varietà che ci aiutino ad affrontare la grande sfida che ci attende dei cambiamenti climatici”.
“Insieme alla ricerca, occorre che anche le aziende facciano la loro parte – ha sottolineato la coordinatrice Vino dell’Alleanza delle cooperative Agroalimentari Ruenza Santandrea – Bisogna proseguire spediti sulla strada della sostenibilità in vigna, partendo dalla prevenzione, nella lavorazione del terreno, o dalle pratiche agricole per ottenere grappoli meno attaccabili dalle malattie. La sostenibilità va quindi declinata in termini di risparmio idrico ed energetico ed attuando buone pratiche di lavorazione”.