Cambiamenti climatici Clima Inquinamenti e bonifiche

L’uscita dall’Accordo di Parigi conferma l’isolazionismo degli USA

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Sono stato eletto per rappresentare i cittadini di Pittsburgh, non quelli di Parigi”.

Con questa riaffermazione di mantener fede a quanto promesso ai lavoratori delle miniere di carbone della Pennsylvania durante la campagna elettorale, il Presidente Donald Trump, ha ufficializzato il 1° Giugno 2017 l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi (2015) sui cambiamenti climatici, sottoscritta dalla precedente Amministrazione.

La risposta dell’ex-presidente Barack Obama non si è fatta attendere:
Nonostante l’assenza di una leadership americana – visto che questa amministrazione si unisce a una piccola manciata di nazioni che rifiutano il futuro [ndr: il riferimento è a Siria e Nicaragua che per ragioni opposte non hanno ratificato l’Accordo di Parigi] – sono fiducioso che i nostri stati, le città e le imprese si rafforzeranno e faranno ancora di più per guidare il cammino che di porterà a proteggere l’unico Pianeta che abbiamo per le future generazioni”.

Forse il commento più lapidario all’annuncio di Trump è stato il tweet di Solomon Hsiang, Professore presso la Goldman School of Public Policy della UC Berkeley. principale autore di quello Studio pubblicato sulla prestigiosa rivista PNAS dell’Accademia Americana delle Scienze, che metteva in relazione per la prima volta il contributo dei cambiamenti climatici ai conflitti mondiali, il quale ha affermato che “Mettere investimenti nazionali nell’estrazione del carbone quando la Cina ha assunto la leadership nell’energia solare, sarebbe come se si fossero messe risorse per allestire un carro migliore trainato da cavalli, quando Henry Ford stava investendo nella produzione di massa di autoveicoli“.

Forse non tutti sanno che l’Accordo di Parigi è irreversibile, prevedendo il divieto di uscita per 3 anni più uno di preavviso, per cui fino alla fine del mandato di Trump, formalmente gli USA non potrebbero venir meno agli impegni assunti fino al 2020. Se, poi, intenzione del neoPresidente era di poter rinegoziare l’Accordo per ottenere condizioni più favorevoli che non mettano in difficoltà alcuni settori dell’economia statunitense, quali quelli dei combustibili fossili, ha subito trovato un “diniego” nelle ferventi attività diplomatiche di questi giorni tra Cina e Unione europea, specie dopo il G7 di Taormina che ha mostrato con evidenza le incomprensioni dei leader europei con l’America, espresse in modo esplicito dal disappunto per le conclusioni del Vertice della cancelliera tedesca Angela Merkel.

L’insolita dichiarazione congiunta francese-italiana-tedesca, poi, rilasciata appena un’ora dopo che Trump ha annunciato la sua decisione, attraverso cui Angela MerkelEmmanuel Macron e Paolo Gentiloni hanno definito l’accordo non rinegoziabile è estremamente significativa sulla volontà delle 3 maggiori economie dell’UE di spingersi avanti, anche senza il sostegno degli USA.
L’accordo di Parigi rimane una pietra angolare della cooperazione tra i nostri Paesi per affrontare efficacemente e tempestivamente i cambiamenti climatici – si legge nel Comunicato – Crediamo fermamente che l’accordo non possa essere rinegoziato, in quanto strumento vitale per il nostro pianeta, le società e le economie e per attuare gli impegni previsti dalla Agenda 2030 sugli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile“.

La possibilità che il vuoto lasciato dagli USA possa essere occupato dalla Cina è stato “ventilato” dal Presidente della Commissione UE.
Noi abbiamo spiegato a Taormina a Trump che non sarebbe positivo, per gli Usa e per il mondo, se gli Stati Uniti si ritirassero dalla scena mondiale, perché il vuoto sarebbe riempito – ha sottolineato Jean-Claude Juncker – La Cina fa pressione per riempire questo vuoto. Per me è meglio se andiamo avanti con gli Usa, ma ad ogni modo abbiamo bisogno in questo Accordo della Cina, che è il primo peccatore mondiale sull’ambiente“.

Al di là dei “distinguo”, c’è da osservare come sia condivisibile il commento della Global Challenges Foundation a margine della pubblicazione del “Global Catastrophic Risks 2017” e degli acclusi risultati del Sondaggio sulla percezione dei rischi globali da parte della società civile, commissionato in occasione del G7 di Taormina, di inadeguatezza della governance globale a dare risposte soddisfacenti alle sfide e ai rischi che ci attendono.

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