Dopo la pubblicazione del “Regolamento” che avrebbe dovuto rendere più facile la distinzione tra rifiuti e sottoprodotti, il Ministero dell’Ambiente per fugare i dubbi sulla natura non vincolante del DM n. 64/2016, e per fornire ulteriori chiarimenti a seguito di quesiti pervenuti, ha pubblicato una Circolare esplicativa corredata da un Allegato tecnico-giuridico.
Sul sito del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del Mare è stata pubblicata la Circolare esplicativa per l’applicazione del decreto ministeriale 13 ottobre 2016, n. 264 con il quale il Ministero stesso aveva adottato i “Criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti“.
Il Decreto legislativo n. 152/2006 (il cosiddetto “Testo Unico Ambientale” e successive modifiche) conteneva già gli elementi per operare la distinzione tra sottoprodotti e rifiuti. Tuttavia, stante l’applicazione non omogenea della disciplina e le difficoltà interpretative che avevano condotto a sentenze contraddittorie, il MATTM aveva ritenuto opportuno fornire indicazioni per provare la sussistenza delle circostanze che favoriscono l’utilizzo come sottoprodotto di sostanze e oggetti che derivano da un processo di produzione e che rispettano criteri specifici.
Tant’è che dopo nemmeno 3 mesi dall’entrata in vigore del “Regolamento” e i numerosi quesiti pervenuti nel frattempo sui diversi profili interpretativi ed operativi, il Ministero è ulteriormente costretto a ritornare sull’argomento.
“Stante l’oggettiva complessità della disciplina, di origine interna ed europea, concernente l’utilizzo dei sottoprodotti, e l’assenza di prassi interpretative lungamente consolidate, per una migliore applicazione del Decreto – vi si legge – si ritiene utile fornire alcuni chiarimenti interpretativi, accompagnando la presente Circolare con un Allegato tecnico-giuridico che deve essere considerato parte integrante della medesima“.
In pratica, la Circolare costituisce un estratto sintetico del “Regolamento”, chiarendo che questo non ha effetti vincolanti, bensì mira alla definizione di alcuni principi e linee guida per uniformare l’applicazione delle norme. Così come non contiene un elenco di trattamenti ammessi sui residui per qualificarli come sottoprodotto, lasciando all’operatore le modalità di prova.
Tra le condizioni necessarie per la qualifica di un residuo come sottoprodotto, si ribadisce che la sostanza o l’oggetto possa essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla “normale pratica industriale“, tra cui rientrano le eventuali operazioni necessarie per rendere il residuo idoneo all’utilizzo, anche sotto il profilo ambientale e sanitario, ma alla condizione che siano svolte all’interno del medesimo ciclo produttivo: “Solo laddove il Regolamento contiene elementi di chiarimento sull’applicazione di vigenti disposizioni normative a carattere cogente, tali previsioni devono ritenersi vincolanti“.
La Circolare specifica che ogni soggetto che interviene lungo la filiera è tenuto alla dimostrazione dei requisiti richiesti dalla legge per la qualifica come sottoprodotto limitatamente a quanto sia nella propria disponibilità e conoscenza, non essendo esigibile una estensione degli oneri probatori a fasi rispetto alle quali il soggetto medesimo non ha possibilità di verifica e controllo. Pertanto, nel caso in cui lungo la filiera si verifichino circostanze che determinano la perdita dei requisiti richiesti dalla legge per la qualifica come sottoprodotto, ed essendo considerato produttore del rifiuto il soggetto che lo detiene immediatamente prima che diventi tale, viene meno la responsabilità dei detentori precedenti rispetto ad eventi sopravvenuti e indipendenti dalla loro volontà ed attività.
Gli strumenti probatori sono la documentazione contrattuale e la scheda tecnica.
La prima contribuisce soprattutto alla dimostrazione della sussistenza del requisito della certezza dell’utilizzo. La possibilità di fornire la prova della sussistenza anche degli altri requisiti tramite la documentazione indicata è invece condizionata dallo specifico contenuto della stessa.
Una adeguata compilazione della scheda tecnica, peraltro non obbligatoria, ma facoltativa, consente agli operatori di fornire la dimostrazione della sussistenza di tutti i requisiti richiesti.
“Di tale strumento, quindi, ben potrebbe giovarsi anche l’operatore che disponga di una documentazione contrattuale. La scheda tecnica rappresenta, dunque, un elemento di ausilio sotto il profilo probatorio per coloro che intendano avvalersi delle procedure previste dal Regolamento“.
La Circolare precisa, altresì, che la possibilità di gestire un residuo quale sottoprodotto e non come rifiuto non dipende in alcun modo dall’esistenza della documentazione probatoria prevista nel decreto né dalla iscrizione nell’elenco istituito presso le Camere di commercio. Peraltro, l’istituzione e la tenuta dell’elenco non prevedono alcuna attività istruttoria, sotto il profilo amministrativo, da parte delle Camere di commercio competenti che si limitano ad acquisire le domande di iscrizione e a riportare tali dati nell’elenco. Qualora l’operatore scelga di avvalersi della scheda tecnica, questa dovrà essere vidimata dalla Camera di commercio competente, con le medesime modalità previste per i Registri di carico e scarico.
Infine, vengono forniti ulteriori chiarimenti in merito alle condizioni per le quali le biomasse residuali possono essere considerate sottoprodotti e non rifiuti ai sensi delle norme vigenti, per generare energia. Quando non vi siano particolari vincoli normativi fissati per l’utilizzo del materiale, rimane ferma la necessità di dimostrare che l’impiego dello stesso non porterà ad impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
Questa è l’ipotesi, ad esempio, delle biomasse impiegate in un impianto di biogas che non soggiacciono a particolari prescrizioni tecniche con riferimento alle matrici in ingresso.