Cambiamenti climatici Clima

UE costretta a un percorso “informale” per ratificare Accordo di Parigi

UE costretta a un percorso informale per ratificare Accordo di Parigi

I ritardi degli Stati membri nel processo decisionale per la ratifica dell’Accordo di Parigi, costringe l’Unione europea ad imboccare un’insolita scorciatoia per evitare di giungere alla COP22 di Marrakech (7-18 novembre 2016) senza la sua formale adesione che avrebbe compromesso non solo la “vantata” leadership mondiale sui cambiamenti climatici, ma anche l’esclusione dal gruppo di lavoro previsto dall’Art.12, a cui possono far parte solo i Paesi che hanno ratificato l’Accordo e che ha il compito di monitorare la sua implementazione.

Di fronte al rischio, già paventato, che il processo decisionale per ratificare l’Accordo di Parigi (Paris Agreement) non giungesse a conclusione prima della Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima (UNFCCC-COP22), in programma a Marrakesh dal 7 al 18 novembre 2016, l’Unione europea ha intrapreso un percorso alternativo, seppure non istituzionalmente corretto.

Trattandosi di un Accordo misto, in giugno la Commissione UE aveva adottato una proposta di ratifica sotto forma di decisione del Consiglio che avrebbe dovuto prima avere l’approvazione del Parlamento europeo, mentre parallelamente gli Stati membri avrebbero dovuto ratificare l’Accordo individualmente, secondo i procedimenti dei rispettivi Parlamenti.

A tutt’oggi, solo 5 Paesi membri (Francia, Ungheria, Germania,Austria e Slovacchia) hanno depositato i propri strumenti di ratifica. Così, è stata convocata dalla Presidenza di turno slovacca una riunione straordinaria del Consiglio dei Ministri dell’Ambiente che il 30 settembre 2016 ha approvato la conclusione dell’Accordo di Parigi, il cui testo sarà inviato ora al Parlamento europeo per la sua formale convalida.

La procedura seguita è insolita, tant’è che la Commissione UE ha precisato che essa non costituirà un precedente, ma non crediamo che gli Stati membri inadempienti vogliano sollevare obiezioni di limitazioni della sovranità nazionale, dal momento che molti di loro (tra cui l’Italia) non hanno ancora calendarizzato l’argomento all’OdG del lavori parlamentari.
A margine del Consiglio straordinario, il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Gian Luca Galletti ha spiegato che la ratifica sarà portata dal suo dicastero “in Consiglio dei Ministri, insieme al Ministro degli Esteri Gentiloni, probabilmente la prossima settimana. Dopodiché io credo che il Parlamento in tempi ragionevoli procederà alla ratifica: non spetta al governo, ma su questo è uno di quei temi su cuisi può trovare l’unanimità o quasi”.
Eppure, intervenendo il 22 aprile presso le Nazioni Unite alla cerimonia solenne della firma dei rappresentanti di Governo di adesione all’Accordo, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva affermato che “L’Italia sarà protagonista di questo accordo storico, per i nostri figli e per i nostri nipoti” e che l’impegno sul clima e l’ambiente “è una priorità per la nostra iniziativa di Governo a livello nazionale, ma sarà una priorità anche per la Presidenza del G7 che prenderemo il prossimo anno e per il nostro impegno in Europa“.

In gioco non c’è solo la perdita della leadership mondiale nella lotta ai cambiamenti climatici e la credibilità  delle istituzioni europee, ma l’esclusione stessa dell’UE dalla “Conference of the Parties serving as the meeting of the Parties to the Paris Agreement” (CMA), il gruppo di lavoro previsto dall’Art.12 a cui possono far parte solo i Paesi che hanno ratificato l’Accordo e che ha il compito di monitorare la sua implementazione.
Di qui, la decisione di bypassare la ratifica dei Paesi membri, che dovrà comunque essere adottata, in modo che con l’aggiunta dell’UE agli altri 61 Paesi che hanno formalmente depositato gli strumenti di ratifica l’Accordo possa entrare in vigore entro l’anno ovvero 30 giorni dopo che sarà stato ratificato da almeno 55 Paesi che in totale rappresentano almeno il 55% delle emissioni globali di gas a effetto serra. 

Oggi, gli Stati membri dell’UE hanno deciso di fare la storia insieme e di avvicinare l’entrata in vigore del primo Accordo universalmente vincolante sui cambiamenti climatici – ha affermato il Presidente della Commissione UE, Jean-Claude Juncker, dopo le conclusioni della riunione straordinaria del Consiglio Ambiente – Dobbiamo e possiamo consegnare alle generazioni future un mondo più stabile, un pianeta più sano, società più giuste e le economie più prospere. Questo non è un sogno. Questa è una realtà ed è alla nostra portata. Oggi siamo più vicini ad essa”.

Il suo trionfalismo non può nascondere che dietro questi ritardi non c’è solo un processo decisionale complicato, bensì una divisione all’interno dei Paesi membri, perché la ratifica presuppone una revisione al rialzo del target di riduzione del 40% delle emissioni di gas serra, previsto dal Pacchetto “Clima ed Energia” al 2030, adottato nel 2014 allorché il limite all’orizzonte 2100 era di mantenere a +2 °C il riscaldamento globale, mentre l’Accordo di Parigi lo ha abbassato a +1,5 °C. Già al Consiglio Ambiente dello scorso marzo si era evidenziata una spaccatura, con alcuni Paesi (tra cui Francia e Germania) che premevano per rivedere al rialzo quell’obiettivo e la maggioranza degli altri (tra cui Polonia e Italiache confermavano la volontà di mantenerlo al 40%.

Un Rapporto, diffuso lo scorso giugno e commissionato dal Fondo finlandese per l’innovazione (SITRA) a Climate Analytics (ONG di esperti in cambiamenti climatici e in finanza legata al clima) evidenzia che per avere il 50% di probabilità di mantenere l’obiettivo climatico a +1,5 °C, l’UE dovrebbe aumentare l’obiettivo al 2030 dal 40% al 75% per mantenersi nella giusta traiettoria.

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