Economia e finanza Sostenibilità

State of the World 2012: il consumismo sta rovinando il pianeta

State of the World 2012 il consumismo sta rovinando il pianeta

Secondo gli studiosi l’attuale sistema economico non è più sostenibile.

Anche il Worldwatch Institute ha voluto conformarsi all’appuntamento di RIO+20 presentando il suo State of the World 2012 un po’ più tardi del solito (Washington D.C., 13 aprile 2012) per porre le problematiche esaminate quanto più prossime all’evento della Conferenza ONU di giugno in modo da promuovere un dibattito approfondito sul tema della sostenibilità.

Secondo i redattori di quello che è divenuto un classico della letteratura ambientale per l’autorevolezza delle analisi e valutazioni, condotte ininterrottamente dal 1984, sulle questioni più critiche e problematiche che si sono presentate sulla scena mondiale, mai la civiltà umana è stata così vicina al collasso ecologico.

“Dobbiamo trovare il modo di permettere a tutti di avere il diritto ad un certo livello di prosperità, senza rovinare il Pianeta – ha affermato Michael Renner, uno dei due Direttori dell’edizione di quest’anno, nonché autore di alcuni capitoli del Report – Lo stress a cui sono sottoposti gli ecosistemi e le risorse sono accompagnati oggi da una accresciuta volatilità economica, da una crescita non equa e da una vulnerabilità sociale. Non è difficile arrivare alla conclusione che l’economia non funzionerà a lungo così com’è, né per la gente, né per il Pianeta”.

Negli ultimi 50 anni, affermano gli studiosi dell’Istituto fondato da Lester Brown, le classi medio-alte mondiali hanno più che raddoppiato i loro livelli di consumo, e altri 1-2 miliardi di persone nel mondo aspirano a unirsi a questa classe di consumatori. Il Pianeta non riesce a mantenere tali aumenti della domanda di risorse senza conseguenze gravi per le persone e gli ecosistemi: “Dobbiamo agire rapidamente, quindi, per ridefinire il nostro concetto di “ buona vita” e raddoppiare i nostri sforzi per rendere la vita sostenibile”.

Di qui necessità di perseguire la “prosperità sostenibile”, richiamata esplicitamente nel titolo del Rapporto “Moving Toward Sustainable Prosperity” e definita come “sviluppo che consente a tutti gli esseri umani di vivere nel rispetto di tutti i bisogni fondamentali, con una riconosciuta dignità e con molte opportunità di realizzare vite di soddisfazione e felicità, senza il rischio di negare agli altri nel presente e nel futuro la possibilità di fare la stessa cosa” (ndr: questo concetto proposto dai redattori dello Studio sembra mutuare il principio informatore del “buen vivir”, entrato nella nuova Costituzione dell’Ecuador e del quale abbiamo parlato a proposito dell’ iniziativa “Yasuní – ITT”, che si contrappone al modello occidentale del “vivere meglio”, che si basa essenzialmente sul PIL e sull’etica di un progresso illimitato e che incita ad una competizione per creare presupposti per vivere ancora meglio, spesso facendo viver male gli altri: “Un’iniziativa per cambiare la storia”, in Regioni&Ambiente, n. 8-9 agosto-settembre 2010, pag. 42 e segg.).

La Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile di Rio de Janeiro, nel mese di giugno, offre la possibilità di impostare le basi per un sistema economico che promuova la salute delle persone e degli ecosistemi, affrontando per l’occasione due principali temi:
1) l’economia verde nel contesto dello sviluppo sostenibile e dello sradicamento della povertà;
2) un contesto istituzionale adeguato di supporto allo sviluppo sostenibile.

“Siamo cautamente ottimisti circa la prossima Conferenza di Rio – ha dichiarato Erik Assadourian, l’altro condirettore di State of the World 2012 – Ma piccoli cambiamenti nelle politiche e tecnologie non saranno sufficiente a salvare l’umanità. I partecipanti a Rio +20 dovrebbero riconsiderare la visione che guida le loro deliberazioni. Se non cambiamo radicalmente la nostra cultura del consumo e non ridiamo collettivamente priorità al vivere sostenibile, saremo gli autori della nostra stessa rovina”.

Nella relazione i 35 collaboratori descrivono molti dei modelli sociali ed economici attualmente insostenibili ed esplorano le possibilità di alternative creative sui temi della sostenibilità che vanno dall’agricoltura alle tecnologie della comunicazione, dalla biodiversità alla costruzione “green”, dalla politica locale alla governance globale, distribuite su 17 capitoli.

• Una Green Economy che funzioni per tutti. Per i Paesi emergenti e quelli in via di sviluppo, economia verde significa cose diverse, ma hanno in comune la necessità di creare posti di lavoro verdi che offrano una vita decente e che tutti possano beneficiare delle innovazioni politiche come di una rete di centri cooperativi per l’innovazione verde, un programma standard globale “top runner”, i finanziamenti verdi e le competenze formative, e una maggiore democrazia economica.

• La decrescita nei Paesi supersviluppati. L’umanità sta utilizzando risorse pari alle capacità ecologiche di una Terra e mezzo, con gran parte di queste consumate dai Paesi industriali supersviluppati. Una prosperità sostenibile richiederà la decrescita economica in questi Paesi. Ciò può essere ottenuto da un mix di spostamento del carico fiscale, di riduzione della settimana lavorativa e di certi tipi di consumo, e disincentivazione di alcuni settori dell’economia.

• Sviluppo urbano inclusivo sostenibile. La povertà urbana è diffusa e si sta espandendo in entrambi i mondi, sia sviluppati che in via di sviluppo: circa 828 milioni di persone vivono in baraccopoli in tutto il mondo. La pianificazione urbana deve includere strategie quali piani territoriali condivisi e trasparenti, l’impegno democratico delle organizzazioni dei poveri e delle comunità, il coordinamento tra i settori, in particolare alloggi a prezzi accessibili, trasporti, e sviluppo economico.

• Trasporto Sostenibile. Oggi ci sono quasi 800 milioni di auto sulle strade del mondo e i trasporti nei Paesi in via di sviluppo sono la fonte principale di inquinanti atmosferici nocivi, fino all’80%. Un’alternativa sostenibile e socialmente progressista richiede un cambiamento nelle città più densamente popolate che in genere richiedono viaggi meno motorizzati, investire in spostamenti di alta qualità e sostenere le vivaci e sane comunità, permettendo loro di andare a piedi e in bicicletta.

• Informazione e Tecnologie della Comunicazione (TIC). Più della metà della popolazione mondiale vive nelle città e il 90% di urbanizzazione sta avvenendo nel mondo in via di sviluppo. Le TIC possono aiutare le città a diventare sicure, più pulite e luoghi più sostenibili dove vivere, ma attualmente sono sotto utilizzate in entrambi i mondi sia sviluppati che in via di sviluppo. Per invertire questa tendenza bisogna andare oltre gli attuali partenariati pubblico-privati e i progetti di “città intelligenti”, fornendo un ampio accesso del pubblico ai dati e aumentando il suo coinvolgimento.

• Misurare uno sviluppo urbano sostenibile. Dopo il vertice di Rio del 1992, sono stati compiuti progressi limitati nello sviluppo di un sistema universale di indicatori di sostenibilità, che sia scientificamente valido e credibile. Gli sforzi che sono in corso per sviluppare un database di indicatori costituirà oggetto di dibattiti a Rio +20 su come misurare la sostenibilità urbana.

• Reinventare la Corporation. Le società transnazionali (TNC) si sono evolute nel corso degli ultimi cinque secoli in entità più influenti a livello mondiale. Esse sono spesso incontrollate, senza che abbiano limiti sul loro impatto sulla società, sull’ambiente o sull’economia. Le multinazionali devono adattarsi se si vuole che la sostenibilità divenga una realtà, compresi i cambiamenti nei loro scopi, proprietà, investimenti di capitali e governance.

• L’architettura globale della governance sostenibile. Gli sforzi per la sostenibilità a livello mondiale saranno determinati dalle riforme in discussione presso l’United Nations Environment Programme (UNEP). Per svolgere un ruolo prezioso e produttivo in questi sforzi, l’UNEP deve godere di maggiore autorità e risorse finanziarie, ma soprattutto deve essere meglio collegato alle altre Agenzie internazionali, in modo che possa assumere il ruolo di coordinamento e utopistico che i suoi fondatori avevano in mente (ndr: il riferimento è al Rapporto “Resilient People, Resilient Planet”, presentato a gennaio dall’High Level Panel on Global Sustainability dell’ONU e del quale abbiamo dato ampia comunicazione nel numero 1-2 gennaio-febbraio 2012, pag. 58 con l’articolo “La resilienza per un futuro degno di scelta”, ma il Worldwatch Institute assume una posizione più critica nell’analizzare il rapporto tra l’economia globale dominante e la crisi ambientale rispetto al Panel ONU).

• Strategie di crescita della popolazione. Nel 2011, la popolazione mondiale ha superato i 7 miliardi e affrontare la crescita della popolazione è fondamentale per la sostenibilità futura del pianeta. Nel corso del tempo, la crescita della popolazione finirà e di conseguenza non ci sarà la necessità di un “controllo della popolazione”, tramite la sicurezza della salute riproduttiva e di diritti per tutti, un adeguato livello di istruzione per ragazze e ragazzi, e un’equa attività economica per entrambi i sessi con l’internazionalizzazione dei relativi costi ambientali delle attività economiche.

• Edifici sostenibili. La costruzione e conduzione degli edifici utilizzano il 25-40% di tutta l’energia prodotta, che costituisce una quota analoga di emissioni globali di anidride carbonica. Dobbiamo puntare ad obiettivi di utilizzo dell’energia netta pari a zero, zero emissioni e zero rifiuti, per far sì che le nuove costruzioni e gli edifici esistenti divengano sostenibili.

• Politiche pubbliche e consumo sostenibile. La lotta al crescente consumismo richiederà il coinvolgimento dei Governi, comprendendo pure la gestione della pubblicità, la modifica delle imposte per includere il costo reale di un prodotto o servizio, e l’istituzione di programmi di certificazione di sostenibilità.

• Mobilitare la business community. Il nostro modello economico attuale non tiene conto dei limiti planetari, è socialmente esclusivo e pone gli interessi privati al di sopra di quelli pubblici. L’economia di successo del XXI secolo necessita di essere verde, inclusiva e responsabile, basandosi su una serie di iniziative volontarie business-led rinforzate da nuove strutture aziendali e da politiche forti di governo e controllo pubblico.

• Agricoltura Sostenibile. Sono quasi 2 miliardi le persone alimentate dalla produzione di 500 milioni di piccole aziende agricole nei Paesi in via di sviluppo. Eppure questi piccoli produttori costituiscono parte della popolazione più insicura da un punto di vista alimentare: l’80% per cento degli affamati nel mondo vive in aree rurali. Per ottimizzare la produttività e la sostenibilità ambientale delle piccole aziende, la futura politica agricola deve combinare un approccio basato su diritti ad una legislazione che sia locale e culturalmente specifica.

• Sicurezza alimentare ed equità. Negli ultimi decenni, l’allevamento industriale ha aumentato la produzione di carne, uova e latticini per il consumo mondiale, in particolare nel mondo in via di sviluppo. Ma questo sistema di produzione industriale di carne è nocivo per la salute umana e l’ambiente. L’internalizzazione dei costi, il ripristino degli ecosistemi e l’educazione del pubblico, tra le altre strategie, possono contribuire a creare un nuovo sistema alimentare che sia più efficiente, equo e compatibile con il clima.

• Biodiversità. La velocità con cui le specie sono in via di estinzione è stimato fino a 1.000 volte superiore oggi rispetto al periodo pre-industriale. Sono necessari sforzi come la Piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (IPBES) per comprendere meglio e invertire l’erosione di resilienza della natura (ndr: sulla costituzione dell’IPBES si veda l’articolo di pag. 92 di questo stesso numero).

• Valutazione dei servizi ecosistemici. L’impronta ecologica umana è cresciuta in modo tale che il progresso è ora ridotto più da limiti relativi a risorse naturali e servizi ecosistemici che da quelli in materia di infrastrutture o tecnologie. I servizi ecosistemici ci aiutano a valutare i benefici che derivano dagli ecosistemi, attraverso l’assegnazione di una unità monetaria o fisica per tali prestazioni, che possono a loro volta contribuire a facilitare una migliore gestione delle risorse naturali.

• Governance locale. Le decisioni a livello locale possono essere i più grandi catalizzatori di progresso perché contribuiscono direttamente alla riduzione della povertà, alla crescita di posti di lavoro, alle pari opportunità e alla tutela dell’ambiente. Di conseguenza, lo sviluppo di locali procedure democratiche che siano trasparenti e affidabili è fondamentale per uno sviluppo sostenibile globale.

“Non ci sarà più molto senso a rivisitare la Conferenza di Rio +20 tra altri 20 anni per cercare di capire cosa è andato storto – ha osservato il Presidente del Worldwatch Institute Robert Engelman – Al momento sappiamo a sufficienza della condizione del mondo per vedere chiaramente che dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere e di fare business. Per elaborare nuovi percorsi verso la sostenibilità vera ci vorrà molto più di una Conferenza governativa, anche se tale evento può aiutare. Il punto di inizio è il riconoscimento che la crescita economica e demografica senza fine non sono possibili su un pianeta finito. Possiamo lavorare per sperare che sia possibile la stabilità ecologica, insieme a una buona vita basata su salute, alfabetizzazione, comunità forti e accesso ad ‘abbastanza’, piuttosto che a sempre di più”.

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