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Siccità: causa principale del crollo dell’Impero ittita

Una nuova ricerca suggerisce che la siccità prolungata per 3 anni abbia accelerato il crollo dell’Impero ittita, determinando, almeno per gli Ittiti, un tipping point. Secondo i ricercatori, questa scoperta ha particolare rilevanza oggi, con le popolazioni globali che stanno facendo i conti con i cambiamenti climatici catastrofici e un pianeta che si sta riscaldando sempre più velocemente.

L’Impero ittita che emerse nel XVII secolo a.C. estendendosi nella regione semi-arida dell’Anatolia centrale (Turchia), per 5 secoli fu una delle maggiori potenze del mondo antico, per poi decadere attorno alla fine del XII secolo a.C. e la sua capitale Hattusha venne improvvisamente abbandonata. Le cause di tale crisi sono state oggetto di dibattiti tra gli storici, anche se la tesi delle pressioni esercitate dai cosiddetti popoli del Mare ad occidente e dagli Assiri da est lungo l’Eufrate, erano prevalenti.

Ora, l’articoloSevere multi-year drought coincident with Hittite collapse around 1198–1196 BC”, pubblicato su Nature l’8 febbraio 2023 e  frutto di una collaborazione interdisciplinare di studiosi statunitensi che hanno ha utilizzato i record degli anelli degli alberi e gli isotopi, avrebbe individuato in 3 annate di grave siccità in un periodo già secco, un altro colpevole, forse il più probabile, del crollo dell’Impero Ittita.

Per trovare una spiegazione al tanto dibattuto collasso dell’impero, Stuart Manning, Professore di Arti e Scienze nell’Archeologia classica, e Jed Sparks  Professore di Ecologia e Biologia evoluzionistica, entrambi alla Cornell University di Ithaca (New York) hanno unito le capacità dei rispettivi laboratori, (Cornell Tree-Ring Laboratory e Cornell Stable Isotope Laboratory) per analizzare i campioni del legno della struttura funeraria di un parente del re Mida (Midas Mound Tumulus) a Gordio ad ovest di Ankara, alto più di 50m  e circa 300m di diametro, costruito attorno al 740 a.C. In particolare, per la ricerca sono stati importanti gli alberi di ginepro – che crescono lentamente e vivono per secoli, anche un millennio – che sono stati utilizzati per costruire la struttura e che custodiscono al loro interno i dati paleoclimatici della regione.

I ricercatori hanno esaminato i modelli di crescita degli anelli degli alberi e hanno osservato anelli insolitamente stretti che probabilmente indicano condizioni asciutte, insieme ai cambiamenti nel rapporto tra carbonio-12 e carbonio-13 registrati negli anelli, che indicano la risposta dell’albero alla disponibilità di umidità.

Gli isotopi stabili sono uno dei nostri modi più forti per guardare al passato e porre domande sullo stato fisiologico di quella pianta 1.000, 2.000, 3.000 anni fa – ha affermato Sparks – Queste sono quantità di legno molto, molto piccole: alcuni degli anelli degli alberi sono larghi solo frazioni di millimetro. In pratica si cerca di misurare un neutrone e una piccolissima quantità di carbonio nel legno. Quindi un’operazione tecnologicamente molto difficile da fare. Sturt ed io abbiamo lavorato per tre o quattro anni per far sì che tutto funzionasse al meglio”.

L’ analisi dei ricercatori ha rilevato un passaggio generale a condizioni più asciutte dal tardo XIII al XII secolo a.C., e fissano un drammatico periodo continuo di grave siccità a circa il 1198-96 a.C., più o meno tre anni, che corrisponde alla sequenza temporale della scomparsa del Regno Ittita.

Abbiamo due serie complementari di prove – ha sottolineato Manning – Le larghezze degli anelli degli alberi indicano che stava succedendo qualcosa di veramente insolito e, poiché si tratta di anelli molto stretti, vuol dire che l’albero stava lottando per rimanere in vita. In un ambiente semi-arido, l’unico motivo plausibile per cui questo stava accadendo è che ci fosse poca acqua, quindi siccità, e che è stata particolarmente grave per tre anni consecutivi. Fondamentalmente, le prove degli isotopi stabili estratte dagli anelli degli alberi confermano questa ipotesi, e possiamo stabilire uno schema coerente, nonostante tutto questo risalga a più di 3.150 anni fa”.

Un anno di siccità in un ambiente semi-arido sarebbe gestibile, dal momento che in un’agricoltura di sussistenza in genere ci sono abbastanza provviste immagazzinate per tirare avanti per un anno. Al secondo anno, si svilupperebbe una crisi e l’intero sistema inizierebbe a crollare -ha aggiunto Manning  che ha citato il quasi collasso dell’Impero ottomano all’inizio del XVII secolo dopo due anni consecutivi di drammatica siccità, quale è possibile rilevare dai dati sugli anelli degli alberi dell’Old World Drought Atlas(ODVA).

Dati proxy climatici dall’ODVA derivati ​​dalle misurazioni degli anelli degli alberi, che mostrano l’estate (giugno-luglio-agosto (JJA). I valori negativi indicano maggiore siccità e i positivi indicano maggiore umidità in tutta la regione del Vecchio Mondo durante e intorno ai maggiori anni di siccità consecutivi 1607-1608 e 1927–1928 (fonte: Nature, 2023)

Dei dati OWDA gli scienziati si erano avvalsi anche per spiegare come la caduta dell’Impero Khmer e l’abbandono da parte della popolazione della città di Angkor (Cambogia, sarebbero da ricercarsi anche nei cambiamenti  climatici che si verificarono nella regione tra il XIV e XV secolo, con due gravi periodi di siccità.

Un altro studio che si è basato sempre sulla dendrologia, aveva trovato che dal 250 al 600 c’è stato un periodo prolungato di tempo instabile durato dal 250 al 600 d. C., mettendo in crisi le produzioni agricolo-alimentari avesse contribuito al declino dell’Impero romano a cui l’impatto delle cosiddette “invasioni barbariche”, l’esodo in massa di popolazioni spinte dalla necessità di trovare altrove aree di sussistenza, avrebbe dato il colpo decisivo che ne determinò il crollo.

Un altro studio che ha utilizzato invece gli isotopi contenuti nel gesso accumulato nel lago Chichancanab nello Stato messicano dello Yucatán, pur tenendo conto di altre concause, aveva correlato una lunga e profonda siccità con il crollo della civiltà Maya (IX-X secolo).

Probabilmente parte di ciò che è andato storto alla fine dell’età del bronzo – ha osservato Manning – è la versione esatta e di quel che vediamo accadere nel mondo moderno, ovvero che gruppi di persone cercano di trasferirsi da qualche altra parte, perché non si trovano in un posto adatto o buono per vivere, e vedere o sentire se ci siano opportunità migliori altrove“..

In tre anni consecutivi di siccità, centinaia di migliaia di persone, compreso il potente esercito ittita, avrebbero affrontato la carestia, persino la fame. La base imponibile sarebbe crollata così come il governo, e i sopravvissuti sarebbero costretti a migrare: un primo esempio di disuguaglianza indotta dai cambiamenti climatici.

I gravi eventi climatici potrebbero non essere stati l’unica ragione del crollo dell’Impero ittita, hanno osservato i ricercatori, e non tutto l’antico Vicino Oriente ha subito crisi in quel momento. Ma questo particolare periodo di siccità potrebbe essere stato un punto critico, almeno per gli Ittiti.

Potremmo avvicinarci anche noi ad un punto di rottura – ha concluso  Manning- Abbiamo una serie di cose che possiamo affrontare, ma poiché ci siamo troppo spinti oltre, raggiungeremo un punto in cui le nostre capacità di adattamento non saranno più all’altezza di ciò che ci sta capitando“.

In copertina: Le rovine di Hattusha (Patrimonio UNESCO), l’antica capitale dell’Impero ittita, che si trovano a Boğazkale (Turchia), all’interno della grande ansa del fiume Kizilirmak (Foto:The Archeologist)

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