La proposta non è difforme da quella che era stata ufficiosamente diffusa nei giorni scorsi, lasciando ai Paesi membri la scelta tra varie opzioni, tra cui quella intrapresa dall’Italia. Resta ancora irrisolta la questione dell’avvio delle sanzioni per il commercio dei sacchetti non conformi al Decreto Interministeriale 18 marzo 2013.
Ora è ufficiale. Come avevamo ampiamente anticipato la scorsa settimana, la Commissione europea ha adottato oggi 4 novembre 2013 una proposta di legge che obbliga gli Stati membri a ridurre l’uso delle borse di plastica in materiale leggero.
Come farlo? Saranno gli Stati a deciderlo: facendole pagare, stabilendo obiettivi nazionali di riduzione, vietandole a determinate condizioni oppure in altri modi che riterranno più adatti.
“Ci siamo mossi per risolvere un gravissimo problema ambientale che è sotto gli occhi di tutti – ha dichiarato Janez Potočnik, Commissario UE per l’Ambiente – Ogni anno in Europa sono più di 8 miliardi le borse di plastica che si trasformano in immondizia, con pesanti danni per l’ambiente. Alcuni Stati membri sono già riusciti a limitare di molto il loro uso e se altri facessero altrettanto il consumo in tutta l’Unione europea potrebbe addirittura ridursi dell’80%”.
Tecnicamente la proposta modifica la Direttiva sugli Imballaggi e sui Rifiuti da Imballaggi, introducendo due elementi:
– da un lato, obbligando gli Stati membri ad adottare misure che riducano il consumo di borse di plastica di spessore inferiore a 50 micron, meno riutilizzate rispetto a quelle di spessore superiore e quindi più a rischio “usa e getta”;
– dall’altro, lasciando agli Stati la scelta del tipo di misure, che possono consistere in strumenti economici, come imposte e prelievi, obiettivi nazionali di riduzione e restrizioni alla commercializzazione, nel rispetto delle norme in materia di mercato interno contenute nel Trattato sul funzionamento dell’UE.
Le caratteristiche che hanno decretato il successo commerciale delle borse di plastica, ovvero il peso contenuto e la resistenza al degrado, hanno anche contribuito alla loro ampia diffusione nell’ambiente, recita il Comunicato stampa. Questi prodotti sfuggono ai flussi di gestione dei rifiuti e si accumulano nell’ambiente, dove possono resistere per centinaia di anni, soprattutto sotto forma di rifiuti marini, considerati sempre più un grave problema di portata mondiale, una minaccia per gli ecosistemi marini, i pesci e gli uccelli, come denunciano le varie ricerche e studi compiuti anche nei mari europei, divenuti ricettacolo di grandi quantità di rifiuti.
La proposta è stata modulata sull’esempio di vari Stati membri e scaturisce dall’invito rivolto alla Commissione UE dal Consiglio Ambiente del 2 marzo 2011 affinché valutasse il suo margine di intervento per armonizzare le misure nazionali che venivano nel frattempo intraprese, nonché per le richieste pervenute dai cittadini europei con la Consultazione pubblica avviata nel maggio 2011.
“Gli ottimi risultati ottenuti da alcuni Stati dell’UE che hanno drasticamente ridotto l’uso di questo tipo di sacchetti optando per la tassazione e altre misure – continua il Comunicato stampa – indicano che questa è di fatto una via percorribile”.
Le cifre sul consumo di borse di plastica in materiale leggero indicano grandi differenze tra gli Stati membri: si va dai 4 sacchetti annui pro capite di Danimarca e Finlandia, ai 18 in Irlanda e Lussemburgo fino ai 466 di Polonia, Portogallo e Slovacchia. L’Italia si colloca nel mezzo della “classifica” con 181 sacchetti annui, appena al di sopra della media UE che è di 175. C’è da osservare che le performance notevoli di alcuni Paesi europei è da individuare nel costo degli shopper (in Irlanda 22 centesimi di euro), come l’abnorme uso degli altri è da imputare alla distribuzione gratuita dei supermercati.
Resta il fatto che nella proposta di Direttiva non c’è alcun riferimento ad obiettivi specifici di riduzione, quando sarebbe stato auspicabile che venisse introdotto un target di riduzione valido per tutti i Paesi membri.
Secondo il Vicepresidente di Legambiente, Stefano Ciafani “Fino al 2010 la nostra Penisola era il primo Paese europeo per consumo di sacchetti di plastica usa e getta, con una percentuale di consumo pari al 25% del totale commercializzato in Europa. Grazie all’entrata in vigore del bando sugli shopper non compostabili, dal 1° gennaio 2011 questa percentuale si è ridotta e sono state tracciate le basi per una strategia integrata sulla corretta gestione dei rifiuti, sulla riduzione della plastica, sulla tutela e la salvaguardia dell’ambiente marino e della biodiversità che prende finalmente avvio con questa proposta di Direttiva della Commissione Europea. Ora è dunque fondamentale procedere in fretta alla sua approvazione”.
Nella Scheda relativa al nostro Paese, dove si riassumono i termini della situazione legislativa dei vari Stati membri, del Documento che accompagna la proposta di Direttiva (EXECUTIVE SUMMARY OF THE IMPACT ASSESSMENT) si afferma che “Fino ad ora è stata l’Italia ad aver adottato le misure più drastiche di qualsiasi altro Stato dell’Unione Europea, con la Legge del 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, commi 1129, 1130 e 1131.Comma 1129: Al fine di ridurre la quantità di emissioni di CO2 in atmosfera, migliorare la protezione dell’ambiente e sostenere il settore agro-industriale dei biomateriali, nel 2007 è stato lanciato un programma pilota nazionale per la graduale riduzione di sacchetti immessi sul mercato che non sono biodegradabili secondo i criteri definiti dal diritto dell’Unione Europea, nonché dalle condizioni tecniche adottate a livello europeo.
Comma 1130: Ai sensi del comma 1129 (… ), il programma è volto a stabilire le misure da attuare gradualmente a livello nazionale per ottenere il divieto di commercializzare sacchetti che non sono biodegradabili e che non soddisfano i criteri tecnici e legali di biodegradabilità adottate a livello UE.
Il divieto è entrato in vigore il 1° gennaio 2011 e non prevede sanzioni specifiche in caso di infrazioni. Si applica a tutti i settori merceologici e a tutti i tipi di sacchetti non biodegradabili. Sono esenti i sacchetti di plastica riutilizzabili.
I negozi e i supermercati potranno fornire gratuitamente ai clienti i sacchetti di plastica rimasti nei magazzini, fino al 31 agosto 2011 nei supermercati e fino al 31 dicembre nei negozi più piccoli.
Il divieto italiano è stato annunciato senza avvisare la CE. Il 5 aprile, l’Italia ha dato notifica di un Progetto di legge che definisce il campo di applicazione del divieto di commercializzazione di sacchetti non biodegradabili e che contiene anche le disposizioni relative alle sanzioni. La Commissione ha inviato un parere circostanziato alle autorità italiane.
Pur senza citarlo direttamente, la Commissione UE avrebbe preso a modello il nostro Paese dove la situazione è ancora piuttosto “tesa” per via della data di entrata in vigore delle sanzioni per l’immissione sul mercato dei sacchetti non conformi al Decreto Interministeriale avente ad oggetto “Individuazione delle caratteristiche tecniche dei sacchi per l’asporto delle merci”, emanato il 18 marzo 2013, e sul quale, comunque, la Commissione UE non si è espressa, come a dire “vedetevela voi”.
“Mi auguro che questa iniziativa del commissario Potočnik trovi rapidamente il sostegno delle Istituzioni Comunitarie e dei Paesi Membri affermando inequivocabilmente che i principi della protezione e della tutela dell’ambiente possano derogare a quelli del mercato”, ha dichiarato il Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando nel comunicato apparso sul sito del Ministero dopo la divulgazione della notizia dell’adozione di proposta di Direttiva.
Ma, “le sanzioni scatteranno solo dopo il recepimento della Direttiva nel nostro ordinamento o possono già entrare in vigore?”
Nel primo caso i tempi sarebbero ancora lunghi. Atteso che il Consiglio accolga la proposta e il Parlamento UE non la modifichi, passeranno molti mesi perché possano essere irrogate le sanzioni. A meno che non sia questo il fine che si vuol perseguire, per non far scattare la seconda ipotesi, così che le polemiche possano smorzarsi dietro il paravento che anche altri Paesi hanno intrapreso le stesse azioni.