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Ristorazione: volano della ripresa economica in Italia

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Dal Rapporto della Federazione italiana pubblici esercizi emerge un quadro ottimistico del settore della ristorazione in Italia, soprattutto per quanto concerne l’andamento dei consumi alimentari fuoricasa, l’aumento dei posti di lavoro, mentre permangono le problematiche legate alla scarsa innovazione tecnologia e al marketing.

di Carmela Marinucci

È dedicato a Gualtiero Marchesi, lo chef di fama internazionale recentemente scomparso, espressione autentica di “intelligenza e umanità della ristorazione italiana”, “Ristorazione. Rapporto Annuale 2017”, firmato dall’Ufficio Studi della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) e presentato nella sede di Confcommercio a Milano il 18 gennaio 2018.

Il logo ufficiale del “2018 Anno del cibo italiano” apposto sulla copertina del Rapporto sottolinea che anche questa è una delle iniziative volte alla promozione dell’enogastronomia dell’Italia nel mondo.

Dal Rapporto, che fa il punto sull’andamento del settore dei pubblici esercizi in Italia, emerge un quadro di sostanziale ottimismo soprattutto per quanto concerne l’andamento dei consumi alimentari fuoricasa, ormai attestati sul 36% dei consumi alimentari complessivi, e il fronte occupazionale, con una crescita del 3,3% sull’anno precedente. Continuano a preoccupare, invece, l’elevato numero di aziende che chiudono e un tasso di produttività che resta sotto i livelli pre-crisi.

“I numeri del Rapporto Ristorazione 2017 confermano un trend di ripresa che porta i consumi nella ristorazione al livello pre-crisi – ha commentato Lino Enrico Stoppani, Presidente di Fipe – Anche sotto il profilo dell’occupazione il nostro settore si conferma tra i pochi in grado di creare nuovi posti di lavoro. Restiamo la componente principale della filiera agroalimentare italiana nella creazione di valore e di occupazione”.

Con 41 miliardi di euro di valore aggiunto, 329.787 imprese e oltre 1 milione di posti di lavoro, il settore della ristorazione traina la filiera agroalimentare italiana, più importante di agricoltura e di industria alimentare.

“Non mancano, tuttavia, le ombre – ha proseguito Stoppani – Il numero di imprese che chiudono resta elevato e la produttività rimane sotto ai livelli toccati prima della crisi. Diventa difficile in queste condizioni trovare le risorse per investire e per fare quelle innovazioni di cui il settore ha grande bisogno. Anche i recenti provvedimenti approvati con la legge di bilancio 2018, in particolare quello sui distretti del cibo, vedono emarginato il ruolo della Ristorazione, nonostante i titoli e i numeri che esprime, esclusa dalle utilità e dai contributi inseriti nel provvedimento, con il rischio aggiuntivo di ulteriore dequalificazione, vista l’estensione della somministrazione di cibi alle imprese agricole, anche in forma itinerante”.

Tra i punti di maggiore interesse evidenziati dal Rapporto Ristorazione, la crescita dei consumi fuoricasa: l’impatto della crisi sui consumi alimentari in casa (-10,5% pari a una flessione di 15,9 miliardi di euro tra il 2007 e il 2016) ha fatto in modo che il peso della ristorazione sul totale dei consumi alimentari guadagnasse ancora qualche posizione, rafforzando la tesi che vede gli italiani come un popolo a cui piace stare fuori casa. In particolare, la sola ristorazione ha guadagnato una domanda di 2,5 miliardi di euro. Nel terzo trimestre 2017 cresce di 14 punti percentuali il clima di fiducia delle imprese di ristorazione rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente e consolida il trend positivo degli ultimi tre trimestri.

Resta elevato il turnover imprenditoriale: nel 2016 hanno avviato l’attività 15.714 imprese, mentre circa 26.500 l’hanno cessata, con un saldo negativo per oltre 10mila unità. Nei primi nove mesi del 2017 hanno avviato l’attività 10.835 imprese, mentre 19.235 l’hanno cessata determinando un saldo negativo pari a 8.400 unità.

Passando al tema della produttività, l’Italia sconta un tasso di crescita in sostanziale stagnazione da circa un decennio. In questo contesto lo stato della ristorazione appare ancor più problematico: fatto cento il valore aggiunto per unità di lavoro riferito all’intera economia, alberghi e ristoranti si attestano al 63, ovvero il 37% al di sotto del valore medio. La produttività delle imprese della ristorazione non soltanto è bassa, ma anziché crescere si riduce, e attualmente è al di sotto di quasi sei punti percentuali rispetto al livello raggiunto nel 2009.

Nessun problema sul versante inflazione. A livello generale i prezzi di bar e ristoranti nel 2017 dovrebbero registrare incrementi sul 2016 di poco al di sopra dell’1%. In particolare il prezzo della tazzina di caffè rilevato nelle più importanti città italiane è addirittura inferiore a quello di un anno fa (0,93 vs. 0,95 euro).

Poi, c’è il dolente capitolo dell’innovazione e del marketing, a cui il Rapporto dedica uno degli approfondimenti, svolto in collaborazione con il Politecnico di Milano sia nel back office che nel front office. Solo il 40% delle imprese di ristorazione utilizza strumenti di gestione dei processi interni. Si tratta prevalentemente di applicazioni per la gestione delle comande (17%) o di soluzioni per la fatturazione elettronica (13%). Appena il 7% ricorre alle tecniche del cosiddetto menu engineering e il 6% ad applicazioni per la gestione on line delle prenotazioni.

Per quanto riguarda la tecnologia di relazione con il cliente risulta evidente come l’attività in cui i ristoratori risultino più digitali, sia quella che ha a che fare con le recensioni. L’81% legge le recensioni sui siti e il 27%, pochi per la verità, spinge i clienti a scrivere recensioni. Il 41% dei ristoranti non ha alcun account social.

Ma chi sono gli avventori dei pubblici esercizi in ItaliaSecondo l’indicatore dei consumi fuori casa (ICEO), passato nel 2017 al 42,1% (+0,3 sull’anno precedente), sono oltre 39 milioni le persone che consumano pasti fuori casa, così segmentate:
13 milioni di heavy consumer, coloro che consumano 4-5 pasti fuori casa a settimana (per lo più uomini di età compresa tra i 35 e i 44 anni e residenti al Nord Ovest);
9,7 milioni di average consumer, quelli che consumano almeno 2-3 pasti fuori casa a settimana (in prevalenza uomini di età compresa tra i 18 e i 24 anni e residenti nel Centro Italia);
– 16,5 milioni di low consumer, che consumano pasti fuori casa 2-3 volte al mese (in prevalenza donne di età superiore ai 64 anni, residenti nelle regioni del Nord Italia).Infine, la “demografiadei pubblici esercizi.

Secondo le rilevazioni di Fipe, sono attive 329.787 imprese di ristorazione, con la Lombardia prima regione per presenza di imprese del settore (15,4%,) seguita da Lazio (10,9%) e Campania (9,5%). La rete dei pubblici esercizi è dunque ampia e articolata sull’intero territorio nazionale, nei piccoli come nei grandi centri urbani.

La ditta individuale resta la forma giuridica prevalente, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno dove la quota sul totale raggiunge soglie che arrivano ad oltre il 70% del numero complessivo delle imprese attive (è il caso della Calabria). Le società di persone si confermano invece opzione diffusa di organizzazione imprenditoriale nelle aree settentrionali del Paese.

Il 32,4% delle imprese è attiva come società di persone, mentre la quota delle società di capitale è di poco al di sopra del 12%. In tale contesto merita una segnalazione il 12,3% della Lombardia al Nord, il 26% del Lazio al Centro e il 14,7% della Campania al Sud. Alle “altre forme giuridiche” che ricomprendono, ad esempio, le cooperative va la quota residua dell’1,2%.

Il sorpasso dei ristoranti sul bar – ha sottolineato Luciano Sbraga, responsabile dell’Ufficio studi Fipe – è il risultato di un’evoluzione del mercato che si è accompagnata al cambiamento del sistema delle regole grazie ai quali gli imprenditori privilegiano di qualificarsi come ristoranti, anziché bar, per disporre di meno vincoli nello svolgimento dell’attività

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