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Qualità dell’aria: l’Italia condannata dalla Corte di giustizia europea

La Corte di giustizia europea ha giudicato che l’Italia è venuta meno sistematicamente dal 2008 al 2017 agli obblighi della Direttiva Qualità dell’aria per il persistente superamento dei valori limite giornaliero e annuale fissati per le particelle PM10. Nel frattempo il 30 ottobre la Commissione UE ha inviato al nostro Paese una lettera di costituzione in mora perché sin dal 2015 non viene rispettato il valore limite per il PM2,5 in diverse città della valle del Po.

Con Sentenza pubblicata il 10 novembre 2020, la Corte di giustizia europea  ha condannato per essere “venuta meno all’obbligo sancito dal combinato disposto dell’articolo 13 e dell’allegato XI della direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa”.

Nel 2014, la Commissione UE ha avviato un procedimento per inadempimento nei confronti dell’Italia in ragione del superamento sistematico e continuato, in un certo numero di zone del territorio italiano, dei valori limite fissati per le particelle PM10 dalla Direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa.

Secondo la Commissione, infatti, da una parte, dal 2008 l’Italia aveva superato, in maniera sistematica e continuata, nelle zone interessate, i valori limite giornaliero e annuale applicabili alle concentrazioni di particelle PM10. D’altra parte, la Commissione muoveva censure all’Italia per non aver adempiuto l’obbligo ad essa incombente di adottare misure appropriate al fine di garantire il rispetto dei valori limite fissati per le particelle PM10 nell’insieme delle zone interessate.

Ritenendo insufficienti i chiarimenti forniti in proposito dall’Italia nel corso della fase precontenziosa del procedimento, la Commissione, il 13 ottobre 2018, ha proposto dinanzi alla Corte un ricorso per inadempimento, che è stato accolto.

In primo luogo, per quanto riguarda la censura attinente alla violazione sistematica e continuata delle disposizioni, la Corte giudica detta censura fondata, alla luce degli elementi dedotti dalla Commissione per i periodi e le zone oggetto del procedimento. A tal riguardo, la Corte ricorda, anzitutto, che il fatto di superare i valori limite fissati per le particelle PM10 è sufficiente, di per sé, per poter accertare un inadempimento alle disposizioni della Direttiva sulla qualità dell’aria. La Corte dichiara che, dal 2008 al 2017 incluso, i valori limite giornaliero e annuale fissati per le particelle PM10 sono stati regolarmente superati nelle zone interessate. Secondo la Corte, il fatto che i valori limite in questione non siano stati superati nel corso di taluni anni durante il periodo considerato non osta all’accertamento, in una situazione siffatta, di un inadempimento sistematico e continuato alle disposizioni in parola. Infatti, secondo la definizione stessa del “valore limite” di cui alla Direttiva, al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi sulla salute umana e/o sull’ambiente nel suo insieme, detto valore deve essere conseguito entro un dato termine e non essere superato una volta raggiunto. Inoltre, la Corte sottolinea che, una volta accertata tale constatazione, è irrilevante che l’inadempimento risulti dalla volontà dello Stato membro al quale è addebitabile, dalla sua negligenza, oppure da difficoltà tecniche o strutturali cui quest’ultimo avrebbe dovuto far fronte, salvo stabilire l’esistenza di circostanze eccezionali le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante l’uso della massima diligenza. Nella specie, pertanto, non essendo riuscita a fornire tale prova, invano l’Italia si è fondata sulla diversità delle fonti d’inquinamento dell’aria per sostenere che alcune di esse non potrebbero esserle imputate, come esempio quelle che sarebbero influenzate dalle politiche europee di settore, o sulle particolarità topografiche e climatiche di talune zone interessate. Infine, la Corte non conferisce rilevanza alcuna alla circostanza, invocata dall’Italia, dell’estensione limitata, rispetto all’insieme del territorio nazionale, delle zone sulle quali vertono le censure invocate dalla Commissione. Essa precisa, al riguardo, che il superamento dei valori limite fissati per le particelle PM10, anche nell’ambito di una sola zona, è di per sé sufficiente perché si possa dichiarare un inadempimento alle summenzionate disposizioni della Direttiva “qualità dell’aria”.

In secondo luogo, la Corte giudica fondata anche la censura relativa alla mancata adozione di misure adeguate per garantire il rispetto dei valori limite fissati per le particelle PM10, ricordando che in caso di superamento di detti valori limite dopo il termine previsto per la loro applicazione, lo Stato membro è tenuto a redigere un piano relativo alla qualità dell’aria che risponda ai requisiti della Direttiva e a prevedere le misure adeguate affinché il periodo di superamento di tali valori limite sia il più breve possibile. La Corte sottolinea, in tale contesto, che, se è pur vero che un tale superamento non è sufficiente, di per sé, per dichiarare l’inadempimento agli obblighi incombenti agli Stati membri e che essi dispongono di un certo margine discrezionale per la determinazione delle misure da adottare, tali misure devono tuttavia, in ogni caso, consentire che il periodo di superamento sia il più breve possibile.

Pertanto, la Corte dichiara che l’Italia non ha manifestamente adottato, in tempo utile, le misure in tal senso imposte. A sostegno della sua affermazione, essa si riferisce agli elementi che risultano dal fascicolo da cui risulta, segnatamente, che il superamento dei valori limite giornaliero e annuale fissati per le PM10 è rimasto sistematico e continuato per almeno otto anni nelle zone interessate, che, nonostante il processo inteso a conseguire tali valori limite, in corso in Italia, le misure previste dai piani per la qualità dell’aria, segnatamente quelle intese a indurre cambiamenti strutturali (specificamente con riguardo ai fattori principali di inquinamento), per una grande maggioranza di esse sono state previste solo in tempi estremamente recenti e che molti di questi piani dichiarano una durata di realizzazione degli obiettivi relativi alla qualità dell’aria che può essere di diversi anni, se non addirittura di due decenni dopo l’entrata in vigore di detti valori limite. Secondo la Corte, una siffatta situazione dimostra, di per sé, che l’Italia non ha dato esecuzione a misure appropriate ed efficaci affinché il periodo di superamento dei valori limite fissati per le particelle PM10 sia il più breve possibile.

Peraltro, mentre l’Italia riteneva indispensabile, segnatamente alla luce dei principi di proporzionalità, di sussidiarietà e di equilibrio tra gli interessi pubblici e gli interessi privati, disporre di termini lunghi affinché le misure previste nei diversi piani relativi alla qualità dell’aria potessero produrre i loro effetti, la Corte osserva, al contrario, che un siffatto approccio si pone in contrasto sia con i riferimenti temporali posti dalla Direttiva. Infatti, pur riconoscendo che la Direttiva non può imporre che le misure adottate da uno Stato membro garantiscano il rispetto immediato di tali valori limite per poter essere considerate adeguate, la Corte sottolinea che l’approccio dell’Italia si risolverebbe nell’ammettere una proroga generale, eventualmente sine die, del termine per rispettare tali valori, allorché essi sono stati fissati proprio nell’ottica di conseguire tali obiettivi.

Se, nonostante tale sentenza, l’Italia non riuscisse a conformarsi, la Commissione UE potrebbe nuovamente deferirla alla Corte di giustizia europea, proponendo sanzioni pecuniarie consistenti in una somma forfetaria e in una penalità di mora, adeguate alla gravità e alla persistenza dell’inadempimento.

La sentenza della Corte di Giustizia sul superamento dei limiti di PM10 non ci coglie di sorpresa, visti i dati su cui è basata e che sono incontrovertibili alla prova dei fatti – ha commentato il Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa nella nota pubblicata sul sito del MATTM – Dati che, benché si fermino al 2017, indicano un problema che purtroppo non è ancora risolto. Fin dal mio insediamento, nel 2018, ho messo in campo tutti gli strumenti possibili, in accordo con le Regioni, per affrontare il tema della qualità dell’aria. Sottolineo infatti che ogni anno sono almeno 80 mila le vittime dovute a questa problematica che investe soprattutto il Bacino Padano, ma non soltanto. Credo che questa pronuncia debba essere uno stimolo per tutto il Governo a far di più e meglio rispetto a quanto già abbiamo messo in campo, considerando che la stessa Corte nella sentenza riconosce la bontà delle azioni intraprese dal 2018, per garantire nel più breve tempo possibile un ambiente più salubre a tutti i cittadini”.

Peraltro, la situazione di miglioramento nella pianura padano-veneta viene confermata anche dall’ultimo Rapporto di Legambiente “Ecosistema urbano 2020”, ma come ricorda lo stesso MATTM “Rispetto alla qualità dell’aria l’Italia vede al momento tre procedure di infrazione aperte: oltre quella relativa al superamento dei livelli di polveri sottili PM10, sono infatti da contare le due ulteriori relative al superamento dei livelli di ossidi di azoto, oggetto di ricorso presso la Corte di Giustizia UE, e polveri ultrasottili PM2,5, aperta la scorsa settimana”.

Il Pacchetto di infrazioni di ottobre 2020, infatti, è stato aggiornato il 30 ottobre con l’inserimento della Lettera di costituzione in mora da parte della Commissione UE nei confronti del nostro Paese perché “I dati disponibili per l’Italia dimostrano che sin dal 2015 il valore limite per il PM2,5 non è stato rispettato in diverse città della valle del Po (tra cui Venezia, Padova e alcune zone nei pressi di Milano). Inoltre le misure previste dall’Italia non sono sufficienti a mantenere il periodo di superamento il più breve possibile”. 

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