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PM10 e Covid-19: la correlazione tra smog e velocità di diffusione del virus

Secondo un gruppo di ricercatori italiani che hanno incrociato i dati sulle polveri sottili (PM10) rilasciati dalle Agenzie Regionali di Protezione dell’Ambiente con i casi di contagio da Covid-19 riportati dalla Protezione Civile, ci sarebbe una correlazione tra la maggior diffusione del virus e l’inquinamento atmosferico.

Il Position paper, pubblicato il 17 marzo 2020 da SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale), Università di Bologna (Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale, Fonti rinnovabili, Ambiente, Mare ed Energia) e Università di Bari, sottolinea che vi è una solida letteratura scientifica che correla l’incidenza dei casi di infezione virale con le concentrazioni di particolato atmosferico (PM10 e PM2,5).

Il particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono diffondersi ed essere trasportate anche per lunghe distanze, funziona da vettore di trasporto (carrier) per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus che vi si “attaccano” (con un processo di coagulazione).

Oltre che essere un carrier, il particolato atmosferico costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell’ordine di ore o giorni. Il tasso di inattivazione dei virus nel particolato atmosferico dipende dalle condizioni ambientali: mentre un aumento delle temperature e di radiazione solare influisce positivamente sulla velocità di inattivazione del virus, un’umidità relativa elevata può favorire un più elevato tasso diffusione del virus cioè di virulenza.

Nel caso di precedenti casi di contagi virali, le ricerche scientifiche hanno evidenziato alcune caratteristiche della diffusione dei virus in relazione alle concentrazioni di particolato atmosferico, tra cui:
–  l’influenza aviaria può essere veicolata per lunghe distanze attraverso tempeste asiatiche di polveri che trasportano il virus, come hanno dimostrato delle ricerche che hanno verificato la correlazione di tipo esponenziale tra le quantità di casi di infezione e le concentrazioni di PM10 e PM2.5;
– la relazione tra le concentrazioni di particolato e la diffusione del virus respiratorio sinciziale umano (RSV) nei bambini  che causa polmoniti e viene veicolato attraverso il particolato in profondità nei polmoni;
– il numero di casi di morbillo nelle città cinesi è variato in relazione alle concentrazioni di PM2.5.

Si può quindi dedurre, osservano i ricercatori, che il particolato atmosferico (PM10, PM2.5) costituisce un efficace vettore per il trasporto, la diffusione e la proliferazione delle infezioni virali.

Per valutare una possibile correlazione tra i livelli di inquinamento di particolato atmosferico e la diffusione del COVID-19 in Italia, sono stati analizzati per ciascuna Provincia:
– i dati di concentrazione giornaliera di PM10 rilevati dalle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA), relativi a tutte le centraline di rilevamento attive sul territorio, considerando il numero degli eventi di superamento del limite di legge (50 μg m-3) per la concentrazione giornaliera di PM10, rapportato al numero di centraline attive per Provincia;
i dati sul numero di casi infetti da COVID-19 riportati sul sito della Protezione Civile (COVID-19 ITALIA).

In particolare, i ricercatori hanno evidenziato una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati nel periodo 10 Febbraio-29 Febbraio e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 Marzo (considerando un ritardo temporale intermedio relativo al periodo 10-29 Febbraio di 14 gg approssimativamente pari al tempo di incubazione del virus fino alla identificazione della infezione contratta).

Il grafico sottostante evidenzia una relazione lineare (R2=0,98), raggruppando le Province in 5 classi sulla base del numero di casi infetti (in scala logaritmica: log contagiati), in relazione ai superamenti del limite delle concentrazioni di PM10 per ognuna delle 5 classi di Province (media per classe: media n° superamenti lim PM10/n° centraline Prov.)

Tale analisi sembra indicare una relazione diretta tra il numero di casi di COVID-19 e lo stato di inquinamento da PM10 dei territori, coerentemente con quanto ormai ben descritto dalla più recente letteratura scientifica per altre infezioni virali. La relazione tra i casi di COVID-19 e PM10 suggerisce un’interessante riflessione sul fatto che la concentrazione dei maggiori focolai si è registrata proprio in Pianura Padana, mentre minori casi di infezione si sono registrati in altre zone d’Italia (Figura 2)

Considerando il tempo di latenza con cui viene diagnosticata l’infezione da COVID-19 mediamente di 14 giorni, allora significa che la fase virulenta del virus, che stiamo monitorando dal 24 febbraio (dati della Protezione Civile COVID-19) al 15 Marzo, si può posizionare intorno al periodo tra il 6 febbraio e il 25 febbraio. Le curve di espansione dell’infezione nelle regioni (Figura 3) presentano andamenti perfettamente compatibili con i modelli epidemici, tipici di una trasmissione da persona a persona, per le regioni del sud Italia, mentre mostrano accelerazioni anomale proprio per quelle ubicate in Pianura Padana in cui i focolai risultano particolarmente virulenti e lasciano ragionevolmente ipotizzare ad una diffusione mediata da carrier ovvero da un veicolante.

Le fasi in cui si evidenziano questi effetti di impulso (boost) sono concomitanti con la presenza di elevate concentrazioni di particolato atmosferico che in regione Lombardia ha presentato una serie di andamenti oscillanti caratterizzati da tre importanti periodi di sforamenti delle concentrazioni di PM10 ben oltre i limiti.

Tali analisi sembrano quindi dimostrare che, in relazione al periodo 10-29 Febbraio, concentrazioni elevate superiori al limite di PM10 in alcune Province del Nord Italia possano aver esercitato un’azione di boost, alla diffusione virulenta dell’epidemia in Pianura Padana che non si è osservata in altre zone d’Italia che presentavano casi di contagi nello stesso periodo. A questo proposito è emblematico il caso di Roma in cui la presenza di contagi era già manifesta negli stessi giorni delle regioni padane senza però innescare un fenomeno così virulento.

Oltre alle concentrazioni di particolato atmosferico, come fattore veicolante del virus, in alcune zone territoriali possono inoltre aver influito condizioni ambientali sfavorevoli al tasso di inattivazione virale. Il gruppo di lavoro sta approfondendo tali aspetti per contribuire ad una comprensione del fenomeno più approfondita.

In conclusione, la specificità della velocità di incremento dei casi di contagio che ha interessato in particolare alcune zone del Nord Italia, secondo i ricercatori, potrebbe essere legata alle condizioni di inquinamento da particolato atmosferico che ha esercitato un’azione di carrier e di boost.

Come già riportato in casi precedenti di elevata diffusione di infezione virale in relazione ad elevati livelli di contaminazione da particolato atmosferico, si suggerisce di tenere conto di questo contributo, sollecitando misure restrittive di contenimento dell’inquinamento.

Nel frattempo, come testimonia Copernicus (ECMWF) il servizio di monitoraggio europeo sulle concentrazioni degli inquinanti atmosferici, c’è stata una netta diminuzione dell’inquinamento sulla regione Padana, ma come ben sappiamo non è il frutto di misure strutturali intraprese, bensì, e purtroppo, per le azioni straordinarie messe in campo per contrastare la diffusione del COVID-19.

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