Il Piano presentato dal Presidente USA agli studenti della Georgetown University bypassa il Congresso che non approverebbe un piano energetico che facesse affidamento sulle fonti rinnovabili.
Il Climate Action Plan che Barack Obama ha svelato il 25 giugno 2013 nel suo discorso agli studenti della Georgetown University di Washington, era già stato in qualche modo annunciato la settimana prima in occasione della sua visita a Berlino, allorché il Presidente USA, parlando del riscaldamento globale e delle misure da attuare per contrastarlo, che fanno parte del suo programma elettorale del 2° mandato, aveva dichiarato: “Sappiamo che dobbiamo fare di più e noi faremo di più. È per il bene delle generazioni future che la nostra deve intraprendere un patto globale per affrontare i cambiamenti climatici prima che sia troppo tardi. Questo è il nostro lavoro. Questo è il nostro compito. Dobbiamo metterci a lavorare.”
A tali affermazioni, il Partito Repubblicano aveva subito rivolto un esplicito appello ai senatori democratici affinché non seguissero gli orientamenti dell’Amministrazione sulle politiche energetiche perché sarebbero stati ritenuti corresponsabili del fallimento di molti degli Stati dell’Unione, facendo riferimento, ovviamente, a quelli che poggiano la loro economia soprattutto sullo sfruttamento dei combustibili fossili.
Tuttavia, dopo quanto accaduto l’anno scorso con le temperature a livelli record e la siccità che ha messo in ginocchio l’agricoltura del middle west, nonché gli effetti devastanti del ciclone Sandy, l’opinione pubblica statunitense è sempre più sensibile agli effetti del global warming e, come se non bastasse, si sono aggiunti anche i militari che non sono certo degli attivisti ambientali a diffondere le loro preoccupazioni per la sicurezza nazionale a seguito dei cambiamenti climatici.
Il 5 giugno 2013, infatti, è stato pubblicato il Rapporto “The Climate and Energy Nexus: Challenges and Opportunities for Transatlantic Security” (Il nesso Clima ed Energia: sfide e opportunità per la sicurezza transatlantica), redatto congiuntamente dallo statunitense Center for Naval Analyses (CNA) e dal britannico Royal United Service Institute, in cui, sottolineando che “sicurezza energetica e sicurezza climatica sono due facce della stessa medaglia”, i militari della NATO affermano che il Nord America e l’Europa dipendono troppo dalle importazioni di petrolio, gas, carbone, rendendo queste aree economicamente vulnerabili e, quand’anche si facesse affidamento sulle risorse fossili nazionali, anche non convenzionali, non si riuscirebbe egualmente a controllare il prezzo dei combustibili sul mercato mondiale, né si controllerebbero le emissioni che contribuiscono ai cambiamenti climatici che pongono rischi crescenti per le infrastrutture, i mezzi di sussistenza e, quindi, le sicurezze nazionali.
“L’unica soluzione sostenibile a questa duplice sfida – si afferma nel Rapporto – è quella di migliorare l’efficienza energetica e diversificare le fonti energetiche per includere maggiormente energia pulita e rinnovabile”.
Obama ha capito che non ha più molto tempo a disposizione per mantenere le promesse elettorali e che non può fare affidamento sul Congresso che, anche quando era a maggioranza democratica, aveva respinto ogni tentativo di imporre limitazioni alla libertà d’impresa e riduzioni delle emissioni climalteranti.
La sua proposta non richiede nuovi finanziamenti che lo sottoporrebbe ad un voto congressuale, ma poggia essenzialmente sul ruolo che potrà svolgere l’EPA (l’Agenzia statunitense per la protezione ambientale) che sulla base del Clean Air Act, la legge federale emanata 50 anni fa per il controllo dell’inquinamento atmosferico e per l’applicazione di norme per proteggere i cittadini dagli inquinanti presenti nell’aria che sono pericolosi per la salute umana.
Perciò ha annunciato che invierà all’EPA quanto prima un Presidential Memorandum, affinché stabilisca degli standard per le emissioni di carbonio delle centrali elettriche a carbone, pur lasciando un margine di flessibilità affinché gli Stati possano decidere autonomamente come raggiungere tali livelli.
Sorprendentemente Obama ha affrontato anche la questione dell’oleodotto Keystone XL, progetto sul quale una decisione definitiva non è stata ancora presa, ma è servita per inimicargli gli ambientalisti.
“Il nostro interesse nazionale sarà garantito solo se questo progetto non aggraverà in modo significativo il problema dell’inquinamento da carbonio – ha affermato il Presidente USA – Gli effetti netti dell’impatto della pipeline sul nostro clima saranno assolutamente fondamentali per determinare se questo progetto avrà il permesso per andare avanti”.
Queste sue parole sono state variamente interpretate. Cosa deve intendersi con significativo? Rispetto a quale parametro: nazionale o globale?
Tant’è che mentre alcuni gruppi ambientalisti hanno intravisto l’impossibilità che il Dipartimento di Stato il progetto vada avanti dopo queste parole, altri vi hanno intravisto la sicura approvazione e anche il Ministro delle Risorse Naturali del Canada si è detto certo che l’oleodotto soddisfa in pieno la richiesta di un “non significativo” aumento delle emissioni come sostenuto dal rapporto redatto dal Dipartimento di Stato statunitense.
C’è ancora incertezza sulle azioni concrete che si definiranno in seguito, anche se il Piano energetico-climatico di Obama si presenta come quello più esaustivo tra quelli finora redatti e costituisce un buon punto di negoziazione con gli altri grandi emettitori di gas ad effetto serra alla Conferenza UNFCCC sul Clima di Varsavia a Novembre.