Legambiente ha presentato il Rapporto 2019 “Il clima è già cambiato”, realizzato da Osservatorio CittàClima, da cui emerge la necessità di approvare quanto prima un Piano nazionale per individuare le priorità di intervento e ripensare il modo in cui si interviene a partire dalle città.
Nel corso del Convegno “Il clima è già cambiato”, svoltosi a Roma il 19 novembre 2019 presso la sede della Rappresentanza italiana della Commissione UE, volto a fare il punto sul quadro delle informazioni sull’impatto dei cambiamenti climatici nella città italiane e per ragionare delle politiche sempre più urgenti di adattamento ad un clima che cambia, Legambiente ha presentato il Rapporto 2019 dell’Osservatorio CittàClima.
Nelle città l’aumento delle temperature è già in corso da diversi anni per effetto dell’impermeabilizzazione dei suoli, dei sistemi energetici e delle automobili. In Italia questi processi riguardano in particolare alcune città e vanno studiati con attenzione rispetto alle periferie e all’impatto sanitario che determinano su alcune fasce della popolazione.
Inoltre gli impatti di piogge sempre più intense sta mettendo in crisi le aree urbane, da un lato rendendo insicuri strade e spazi aperti, dall’altro per le difficoltà di gestione di periodi di siccità si ripetono con sempre maggiore frequenza con conseguenze sugli approvvigionamenti idrici.
L’esatta conoscenza delle zone urbane a maggior rischio sia rispetto alle piogge che alle ondate di calore è fondamentale per salvare vite umane e limitare i danni, non solo per pianificare e ottimizzare gli interventi durante le emergenze e per indirizzare l’assistenza, ma anche per realizzare interventi di adattamento che favoriscano l’utilizzo dell’acqua, della biodiversità, delle ombre per ridurre l’impatto delle temperature estreme negli spazi pubblici e nelle abitazioni.
Dal 2010 ad oggi, sono 563 gli eventi registrati sulla mappa del rischio climatico, con 350 Comuni in cui sono avvenuti impatti rilevanti. Nel 2018, il nostro Paese è stato colpito da 148 eventi estremi, che hanno causato 32 vittime e oltre 4.500 sfollati, un bilancio di molto superiore alla media calcolata negli ultimi cinque anni. Dal 2014 al 2018 le sole inondazioni hanno provocato in Italia la morte di 68 persone.
La temperatura media nelle nostre città è in continua crescita e a ritmi maggiori rispetto al resto del Paese. Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio meteorologico Milano Duomo, è un fenomeno generale e rilevante che riguarda tutte le città con picchi a Milano con +1,5 °C, a Bari (+1)e Bologna (+0,9)a fronte di una media nazionale delle aree urbane di +0,8 °C nel periodo 2001-2018 rispetto alla media del periodo 1971-2000.
Aumentano gli impatti del caldo in città, in particolare sono le ondate di calore il principale fattore di rischio con rilevanti conseguenze sulla salute delle persone. Uno studio epidemiologico realizzato su 21 città italiane ha evidenziato l’incremento percentuale della mortalità giornaliera associata alle ondate di calore con 23.880 morti tra il 2005 e il 2016, e mettono in evidenza impatti più rilevanti nella popolazione anziana e una riduzione negli ultimi anni attribuibile agli interventi di allerta attivati. Secondo una ricerca del progetto Copernicus european health su 9 città europee, nel periodo 2021-2050 vi sarà un incremento medio dei giorni di ondate di calore tra il 370 e il 400%, con un ulteriore aumento nel periodo 2050-2080 fino al 1100%. Questo porterà, ad esempio, a Roma da 2 a 28 giorni di ondate di calore in media all’anno. La conseguenza sul numero di decessi legati alle ondate di calore sarà molto rilevante: da una media di 18 si passerebbe a 47-85 al 2050 e a 135-388 al 2080.
L’accesso all’acqua è un altro tema rilevante che, in una prospettiva di lunghi periodi di siccità, rischia di diventare sempre più difficile da garantire. La situazione nel nostro Paese, già oggi, è complicata, in particolare al Sud, per quanto riguarda la qualità del servizio idrico e nel 2017, nei quattro principali bacini idrografici italiani (Po, Adige, Arno e Tevere) le portate medie annue hanno registrato una riduzione media complessiva del 39,6% rispetto alla media del trentennio 1981-2010.
Preoccupante per le città italiane anche l’innalzamento del livello dei mari. Secondo le elaborazioni dell’ENEA , sono 40 le aree a maggior rischio in Italia. A rischio sono anche città come Venezia, Trieste, Ravenna, la foce del Pescara, il golfo di Taranto, La Spezia, Cagliari, Oristano, Trapani, Marsala, Gioia Tauro.
D’altronde, secondo un’indagine di Climate Central pubblicata sulla rivista Nature, se i ghiacciai continueranno a sciogliersi al ritmo attuale, 300 milioni di persone che vivono in aree costiere saranno sommerse dall’oceano almeno una volta l’anno entro il 2050, anche se le barriere fisiche che erigono contro il mare saranno potenziate.
“Di fronte a processi di questa dimensione in Italia e nel mondo abbiamo bisogno di un salto di scala nell’analisi e nelle politiche – ha dichiarato il Vice-presidente di Legambiente, Edoardo Zanchini – di sicuro è necessaria una forte accelerazione delle politiche di mitigazione del clima, per invertire la curva delle emissioni di gas serra come previsto dall’Accordo di Parigi. Ma in parallelo dobbiamo preparare i territori, le aree agricole e in particolare le città a impatti senza precedenti. Il problema è che il nostro Paese non è pronto e non ha ancora deciso di rendere questi interventi prioritari, fornendo strumenti e risorse alle città italiane”.
Purtroppo l’Italia è l’unico grande Paese senza un piano di adattamento al clima, che permetterebbe di individuare le priorità di intervento e ripensare il modo in cui si interviene a partire dalle città. Nel 2014 è stata approvata la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e, per dargli attuazione, doveva essere approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Dopo cinque anni siamo ancora in attesa che si passi dal campo degli studi a uno strumento capace di fissare le priorità e orientare in modo efficace le politiche.
Legambiente chiede al governo di approvare quanto prima il Piano di adattamento e di mettere le città al centro delle priorità di intervento. Inoltre occorre fermare le costruzioni in aree a rischio idrogeologico che continuano a mettere in pericolo la vita delle persone. Perché dai dati del Rapporto Ecosistema Rischio di Legambiente si conferma che i Comuni continuano a realizzare “tombamenti” di corsi d’acqua e a dare il via libera a edificazioni in aree a rischio. Per queste ragioni l’Associazione del Cigno Verdechiede di approvare una Legge che cambi le regole di intervento nei territori, mettendo in sicurezza le persone e i luoghi da nuove edificazioni, rivedendo il modo di intervenire nelle città in modo da adattare davvero gli spazi urbani alle piogge e alle ondate di calore.
Sul fronte dei costi: l’Italia dal 1998 al 2018 ha speso, secondo dati Ispra, circa 5,6 miliardi di euro (300 milioni all’anno) in progettazione e realizzazione di opere di prevenzione del rischio idrogeologico, a fronte di circa 20 miliardi di euro spesi per “riparare” i danni del dissesto secondo dati del CNR e della Protezione civile (un miliardo all’anno in media, considerando che dal 1944 ad oggi sono stati spesi 75 miliardi di euro). Il rapporto tra prevenzione e riparazione è insomma di uno a quattro. Ad Agosto è stato approvato il Piano stralcio 2019 che individua e finanzia le opere immediatamente cantierabili nell’anno, scelte in base agli elenchi forniti in conferenza dei servizi dalle Regioni interessate. Il Piano lavora in continuità con gli anni precedenti riguardo il recepimento e la stabilizzazione delle risorse necessarie alla pianificazione contro il dissesto idrogeologico, ma ancora non è riuscito a uscire della logica di una visione puntuale ed emergenziale del problema: si conferma una programmazione per Regioni che solo per sommatoria diverrebbe di “bacino” e non il contrario. Inoltre, non viene mai menzionata la necessità che gli interventi di mitigazione del rischio debbano essere rivisti (specialmente se vecchi) in funzione del cambiamento climatico che stiamo vivendo e agli effetti che si manifestano sui territori. Così come non viene considerata, al di fuori delle opere strutturali, la necessità di imporre lo stop al consumo di suolo come misura efficace per mitigare gli effetti del rischio.
Sulla base delle informazioni raccolte dall’Osservatorio Cittàclima di Legambiente è stato possibile mappare le città che nel corso degli ultimi dieci anni hanno subito il maggior numero di eventi estremi che hanno, in un modo o nell’altro, messo in ginocchio le città di Roma, Milano, Genova, Napoli, Palermo, Catania, Bari, Reggio Calabria e Torino :“Tutte città, molte delle quali metropolitane, da cui bisogna ripartire con un nuovo approccio culturale e progettuale che garantisca al tempo stesso la riduzione del rischio idraulico e l’adattamento al cambiamento climatico – ha commentato Andrea Minutolo, coordinatore scientifico di Legambiente – Per parlare veramente di mitigazione del rischio idrogeologico l’approccio meramente strutturale messo in campo negli ultimi venti anni basati su concetti come ‘tempo di ritorno’ o ‘evento duecentennale’ non basta più. Gli interventi programmati e che si stanno per finanziare non sono quindi più adatti perché rispondono esattamente a quelle logiche ormai superate e rivelatesi poco efficaci”.
Occorre considerare che il non intervento per fermare gli impatti del clima è una scelta, le cui conseguenze oggi si iniziano a conoscere. Secondo alcune stime, se l’Accordo di Parigi non sarà rispettato, i danni economici potrebbero far calare del 7% il PIL pro-capite. Mentre in Russia potrebbe scendere dell’8,93%, negli Stati Uniti del 10,52% e in Canada circa del 13%. A livello europeo, le conseguenze degli impatti climatici rischiano di essere drammatiche, con stime che parlano, in assenza di azioni di adattamento, di ondate di calore che potrebbero provocare entro la fine del secolo circa 200mila morti all’anno nella sola Europa, mentre i costi delle alluvioni fluviali potrebbero superare i 10 miliardi di euro all’anno.
L’impatto sarà maggiore sulle fasce di popolazione più povere che non dispongono di sistemi di raffrescamento. In Italia il fenomeno della povertà energetica riguarda già oggi oltre 4 milioni di famiglie. Le elaborazioni su immagini satellitari realizzate dae-Geosper Legambiente relative alle città di Milano e di Roma hanno messo in evidenza come disponiamo di tutte le informazioni per capire i quartieri a maggior rischio durante le ondate di calore e incrociando i dati con analisi sullo stato di salute e le condizioni economiche delle famiglie, degli strumenti per prevenire e ridurre gli impatti sulle famiglie.
Nel corso della 2a Conferenza Nazionale delle Green City (Milano, 16 luglio 2019), dedicata al tema dell’adattamento climatico e alla rigenerazione dei distretti urbani e organizzata dal Green City Network è stata presentata la Dichiarazione di Milano per l’adattamento climatico nelle città che in 10 punti forniscono indirizzi aggiornati per città più resilienti e meno vulnerabili, più capaci di affrontare i cambiamenti climatici con gli interventi, necessari e possibili, per prevenire e limitare rischi e danni, e a cui le città interessate possono aderire.