Cambiamenti climatici Clima Mari e oceani

Mediterraneo: gli impatti dei cambiamenti climatici su economie e società

È stato presentato a Napoli il “Rapporto sulle economie del Mediterraneo”, curato dall’Istituto di Studi sul Mediterraneo del Consiglio Nazionale delle Ricerche dedicato al tema del legame tra ambiente, crescita economica e stabilità politica del Mediterraneo.

Nel corso della Giornata di Studi “Clima, economia e ambiente”, svoltasi il 2 marzo 2020 a Napoli, è stato presentato il “Rapporto sulle economie del Mediterraneo 2019” (REM19) curato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Studi sul Mediterraneo (CNR-ISMed).

Il Rapporto, giunto alla XV edizione, è dedicato al tema dell’ambiente e ne esamina, in particolare, le relazioni con la crescita economica e la stabilità politica: esiste infatti uno stretto rapporto tra questi fenomeni ed è necessario conoscerne e analizzarne con attenzione le dinamiche, poiché da essi può dipendere la stabilità politica e il benessere dell’intera area.

I cambiamenti climatici sono un fatto eclatante il cui impatto sull’ambiente e sui territori si manifesta attraverso fenomeni estremi, che generano ingenti costi e difficoltà per la crescita sostenibile dell’ecosistema – ha affermato Salvatore Capasso, Professore ordinario di Politica Economica all’Università degli Studi di Napoli “Parthenope” e ricercatore associato CNR-ISMed, curatore del volume edito da Il MulinoQuesto è particolarmente vero per alcune aree del bacino mediterraneo, dove dinamiche del clima, pressioni antropiche e fenomeni economico-sociali si intersecano in un rapporto di doppia causalità: produzioni ed emissioni inefficienti e intensive influenzano il clima che, a sua volta, influenza i processi di desertificazione, le migrazioni e la sostenibilità di intere economie. Questi fenomeni, spesso studiati attraverso approcci mono-disciplinari (le scienze sociali, la climatologia, altre scienze dure…) nel Rapporto vengono analizzati in chiave multidisciplinare, come caratteristico del CNR, con un focus unico. Le distanze tra i livelli di produzione, sviluppo e ricchezza delle economie più ricche e più povere dell’area si traducono in altrettanto differenti relazioni tra attività economica e qualità ambientale. Al crescere dello sviluppo, i Paesi possono infatti permettersi tecniche di produzione più efficienti, virare la struttura economica verso settori meno inquinanti, cambiare attitudini culturali e aumentare il valore della qualità ambientale nel paniere dei consumatori. Anche le pressioni demografiche e il grado di urbanizzazione sfavoriscono le economie meno sviluppate della sponda sud”.

Dai dati della ricerca risulta infatti sempre più evidente che, in un contesto caratterizzato da una forte pressione antropica sulle risorse e dalla scarsità di acqua e terra coltivabile, i cambiamenti climatici stanno assumendo sempre più il ruolo di variabile determinante nell’amplificare le criticità del Mediterraneo, prime tra le quali la crisi idrica, l’insicurezza alimentare e i flussi migratori con evidenti impatti anche sulla qualità della vita e sulla salute.

 “Le anomalie climatiche hanno agito da acceleratore delle tensioni sfociate in conflitti e rivolte che, a partire dal 2011, hanno infiammato il Nord Africa e la Siria – ha sottolineato Grammenos Mastojeni, viceSegretario generale dell’Unione del Mediterraneo (UfM) incaricato per il settore clima ed energia – Anche se non si possono etichettare le rivolte del Mediterraneo come conflitti ambientali, non vi è dubbio che il cambiamento climatico risulta spesso il fattore scatenante dei conflitti».

L’elevata sensibilità al degrado ambientale dell’area mediterranea impatta negativamente sulle condizioni ambientali e socio-economiche, e sul livello di sicurezza umana – ha sostenuto Alfonso Giordano, Docente di Geografia politica alla LUISS “Guido Carli” di Roma –  Questi fattori, combinati con altri, sono spesso alla base di processi migratori molto complessi. A partire dal 2011, fattori quali le primavere arabe, le crisi alimentari e lo scoppio della guerra in Siria hanno contribuito a creare un’emergenza migratoria che pone sotto pressione la frontiera euro-mediterranea. Chiaramente, i cambiamenti climatici non portano automaticamente a situazioni di insicurezza o conflitti, ma esistono relazioni complesse tra climate change e fattori politici, sociali, economici, ambientali che possono minare la sicurezza o innescare/esacerbare i conflitti. La maggioranza degli studi scientifici indica, non a caso, che la vulnerabilità ai cambiamenti climatici nel Mediterraneo e nell’Africa sub-sahariana risulta tra le principali determinanti delle dinamiche migratorie”.

Il bacino è particolarmente sensibile alle vicissitudini climatiche in quanto collocato in un’area di transizione tra i climi aridi e caldi del Nord Africa e quelli piovosi e temperati dell’Europa centrale. Il clima del Mediterraneo si distingue per la forte variabilità spaziale, con differenze marcate tra il Nord e l’area meridionale, nella stagione sia invernale che estiva – ha prosegue Giorgio Budillon, Ordinario di Oceanografia e fisica dell’atmosfera alla “Parthenope” – L’area del Mediterraneo, a causa di effetti naturali e antropici combinati, soffre di un’alta vulnerabilità in cui il climate change avrà rilevanti conseguenze. L’alternarsi di maggiori precipitazione e lunghi periodi di siccità, il rischio idro-geologico e la scarsità d’acqua aumenteranno, con conseguenze negative notevoli sul settore agricolo. L’innalzamento del livello del mare e l’aumento delle temperature medie ed estreme potrà accelerare l’erosione costiera e influire negativamente sul turismo”.

Rosaria Battarra, Ricercatrice CNR-ISMed e Carmela Gargiulo, Ordinario di Tecnica e pianificazione urbanistica dell’Università di Napoli “Federico II”, si sono concentrate sugli effetti sulle aree costiere dovuti all’innalzamento del livello del mare, con l’obiettivo di fornire indicazioni di policy utili.
Circa 150 milioni di persone vivono sulle coste del Mediterraneo, 1/3 della popolazione totale degli Stati che vi si affacciano, quota che raddoppia al 65 per cento sulla riva Sud. Forte aumento demografico, progressivo inurbamento e crescita della pressione demografica nelle aree costiere caratterizzano quasi tutta la regione. In tale contesto, il principale rischio per le aree costiere è costituito dall’innalzamento del livello del mare e dall’erosione. Diversi organismi sovranazionali stanno mettendo in campo iniziative per supportare i Paesi rivieraschi nella messa a punto di strategie comuni ma diversificate. Per esempio, l’UE finanzia iniziative volte a migliorare l’efficienza energetica quale strategia di mitigazione e la politica europea sottolinea la necessità di implementare strategie di adattamento transfrontaliere utilizzando strumenti come l’ENPI (European Neighbourhood and Partnership Instrument). L’obiettivo è rendere l’Europa più resiliente”.

Esplorando il nesso tra acqua, cibo ed energia – ha osservato Desireé Quagliarotti, Ricercatrice CNR-ISMed – la tendenza verso un uso più intenso delle fonti rinnovabili nei paesi euro-mediterranei potrà favorire un duplice obiettivo: diminuire la dipendenza da paesi politicamente instabili e ridurre le emissioni di gas serra”.

Purtroppo, ha concluso Silvana Bartoletto, professore associato di Storia economica all’università Parthenope di Napoli, “sebbene l’area sia particolarmente esposta agli effetti del cambiamento climatico, la quota delle rinnovabili dal 1971 al 2016 è aumentata di soli due punti percentuali. Oltretutto, pur possedendo il Mediterraneo un notevole potenziale per la produzione di elettricità da energia solare, almeno la metà del consumo rinnovabile in quest’area è rappresentato da biocombustibili, legna in primis. È necessario uno sforzo maggiore in tal senso”.

I cambiamenti climatici, come dice il Segretario generale delle Nazioni Unite, Guterres, sono la sfida delle sfide – ha affermato il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Sergio Costa intervenuto alla presentazione del Rapporto In Italia nell’ultima legge di stabilità sono stati messi, in termini pluriennali, 60 miliardi di euro per poter cambiare il sistema produttivo e sviluppare la green economy. Ciò vuol dire che si sta affrontando in maniera pragmatica il problema. Siamo il primo Paese al mondo che ha cambiato la programmazione economica in maniera sostenibile: il CIPE infatti si è trasformato in CIPES nella legge clima proprio per pianificare uno sviluppo sostenibile. In Europa  ci sono i famosi 1000 miliardi del progetto ‘green deal’, 100 miliardi l’anno, che abbiamo votato e appoggiato, e questa settimana abbiamo il Consiglio dei ministri per l’Ambiente a Bruxelles proprio per affrontare questo argomento. Noi, insieme alla Francia, abbiamo chiesto di accelerare sugli obiettivi europei di contrasto dei cambiamenti climatici, in modo tale da inserirli nella legge di Stabilità. Ultimo step è quello planetario”.

Quantunque la crisi climatica sia globale, il bacino del Mediterraneo è un hot spot che si sta riscaldando più velocemente delle altre aree abitate del Pianeta e come tale sarà soggetto più duramente dagli impatti dei cambiamenti climatici. Il Rapporto del MedECC (Mediterranean Experts on Climate And Environmental Change) presentato al 4° Forum regionale dell’Unione per il Mediterraneo, aveva evidenziato che la sua temperatura ha già raggiunto +1,5 °C e che non verranno prese immediate misure per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra: entro il 2040 l’aumento di temperatura sarà almeno di 2,2 °C, ma potrebbe salire fino a 3,8 °C in alcune aree del bacino entro il 2100. Inoltre, nel giro di due decenni, 250 milioni di persone soffriranno di scarsità d’acqua a causa della siccità.

Inoltre, uno Studio recente, coordinato da Giuseppe Zappa dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna (ISAC-CNR), insieme all’Imperial College di Londra e all’Università di Reading (Gran Bretagna), rivela che la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra avrebbe effetti nell’immediato per le precipitazioni della regione Mediterranea che sta sperimentando inverni sempre più aridi.

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