La responsabilità ambientale dell’impresa non può limitarsi ai processi produttivi.
Nell’Aula Magna dell’Università Bocconi a Milano, lunedì 8 ottobre si è tenuto il Convegno “L’impronta ambientale dei prodotti”, organizzato da Legambiente, in collaborazione con IEFE-Bocconi e Ambiente Italia e con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e della Rete Cartesio, che ha messo a confronto alcune delle esperienze più significative di misurazione degli impatti ambientali dei prodotti, attraverso le impronte di CO2, di acqua e di risorse dei prodotti.
Le “impronte ambientali dei prodotti” e le etichette che ne certificano l’attendibilità rappresentano un’efficace opportunità competitiva che molte imprese stanno decidendo di cogliere per comunicare al mercato il proprio impegno e l’eccellenza delle proprie prestazioni, evitando i rischi del cosiddetto greenwashing, in modo che la scelta del consumatore possa basarsi sia sul prezzo del prodotto che sul reale costo ambientale. Una “footprint”, infatti, non può essere solo un numero, bensì deve saper trasmettere anche valori e diventare un veicolo potente, chiaro e diretto di comunicazione tra tutti gli attori della filiera.
Nel corso del Convegno sono state diverse le esperienze messe a confronto, analizzando la situazione sia la situazione europea che quella italiana. Michele Galatola della DG Ambiente della Commissione UE ha illustrato la nuova Strategia su Sustainable Consumption and Production, come strumento per le produzioni e per il consumo sostenibile in Europa e la nuova metodologia Product Environmental Footprint (PEF), quale strumento per le produzioni e i consumi sostenibili in Europa. Fabio Iraldo IEFE-Università Bocconi e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ha descritto i trend generali al livello internazionale dell’impronta ambientale dei prodotti,descrivendo strumenti ed opportunità del mercato. Sylvain Chevassus del Ministero francese per lo Sviluppo Sostenibile ha riportato l’approccio d’Oltralpe all’etichettatura dei prodotti e Silvana Centty di Carbon Trust UK quello della Carbon Footprint del Regno Unito.
L’evoluzione dello scenario italiano è stata approfondita attraverso le esperienze sperimentate con successo da Legambiente (Etichetta PER IL CLIMA) relative ad etichette fondate sull’analisi delle emissioni dei gas climalteranti di prodotti e servizi, sulle EPD (Environmental Product Declaration) e, inoltre, su un progetto promosso dal Ministero dell’Ambiente per la valutazione dell’impronta ambientale dei sistemi e dei modelli di produzione e, infine, sul QUAM che definisce la qualità ambientale dei prodotti made in Italy su cluster del territorio italiano.
“Scopriamo così – ha dichiarato Andrea Poggio, Presidente della Fondazione Legambiente Innovazione – che il menu vegetariano proposto dall’Agriturismo ‘Il Campagnino’ costa all’ambiente 1.060 grammi di CO2, mentre il menu di carne ben 8.350 grammi, otto volte di più. Di fianco al prezzo, potrebbe dunque comparire su qualsiasi prodotto, anche il costo ambientale. È quello quello che ha fatto Legambiente con l’Istituto Ambiente Italia per una cinquantina di prodotti di 8 aziende, scoprendo così le emissioni di CO2 di diversi articoli, tra cui lampadine, passate di pomodoro, stampa di carta, meloni, adesivi per parquet, biscotti e imballaggi. Con queste aziende, inoltre, siamo stati pionieri della prima comunicazione ambientale sul prodotto rivolta al consumatore finale”.
Dai vari interventi è emerso che la responsabilità ambientale dell’impresa non può essere confinata ai processi di produzione. Si consolida così un approccio imperniato sulla necessità di trasmettere l’impegno ambientale a tutta la “catena del valore” relativa al prodotto o al servizio che viene offerto sul mercato da un’organizzazione: dai fornitori ai clienti, alla logistica, al consumatore finale.Infatti gli impatti ambientali considerati maggiormente significativi non sono tanto quelli diretti, limitati alla produzione, bensì quelli indiretti, generati a partire dalla produzione/estrazione delle materie prime utilizzate, alla logistica e distribuzione, al consumo e al fine vita di un prodotto o alla possibilità di rigenerarne le funzioni, per avviare un nuovo ciclo di vita dei materiali di cui è composto. Per un’impresa produttrice, tenere conto di questi impatti ed operare nella logica del “ciclo di vita” del prodotto significa prendersi concretamente cura anche di comunità di cui non si fa parte, nonché delle future generazioni.