Intervista al Direttore Generale del Consorzio Tutela Grana Padano, Stefano Berni.
Dalla struttura granulare e prodotto da quasi mille anni nella Valle Padana, il Grana è uno dei formaggi più presenti sulle tavole italiane e del mondo.
Proprio per garantire il rispetto della tradizione negli anni ’50 è nato il Consorzio Tutela Grana Padano che riunisce produttori e stagionatori del formaggio Grana Padano.
Su incarico del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, il Consorzio ha il compito di tutelare, promuovere, valorizzare, informare il consumatore e curare in generale gli interessi relativi alla denominazione. Tra gli incarichi più difficili la tutela e la salvaguardia della DOP da abusi, concorrenza sleale e contraffazioni.
In collaborazione con CWS boco, abbiamo intervistato il Direttore Generale del Consorzio Tutela Grana Padano, Stefano Berni, per conoscere meglio il prodotto e la filiera coinvolta nella sua produzione.
Direttore, da quanti anni viene prodotto il Grana Padano in queste terre?
La produzione è attiva da circa mille anni. È iniziato tutto dai monaci dell’Abbazia di Chiaravalle nel 1100, che crearono una ricetta per conservare le proprietà nutritive del latte nei periodi di scarsità, come in inverno o in estate.
Quali sono le caratteristiche uniche di questo prodotto?
Principalmente, la capacità di sopportare un’altissima stagionatura, che rende migliore il suo gusto, poi la particolare struttura granulare, che rende unico il nostro prodotto.
Sono cambiate poi nel tempo queste caratteristiche?
No, sono identiche a quelle del formaggio originale in quanto è fondamentale mantenere la tradizione, il rapporto con il territorio e con l’estero. Inoltre, tutte le nostre aziende sono artigianali e quindi la manodopera è decisiva nella qualità del formaggio che è e deve essere identico a quello di secoli anni fa.
Quante forme vengono prodotte ogni anno e quante ne vengono vendute nel mercato interno ed estero?
Il Grana Padano è uno dei prodotti più consumati in tutto il mondo, produciamo 4.700.000 forme con un peso di 38 kg ciascuna e trasformiamo latte italiano per il 25% e quello della zona per il 50%. Per produrre Grana Padano, è necessario che il latte sia della zona d’origine e quindi della Pianura Padana.
Il 30% di questa produzione viene consumata all’estero ma non tutte le forme prodotte diventano Grana Padano. Dopo 9 mesi, infatti, avviene una selezione e quel 10% che non è destinato a diventare Grana Padano viene venduto poi come formaggio generico, un prodotto comunque ottimo ma che non possiede le caratteristiche qualitative previste per essere definito, appunto, Grana Padano!
In quali Paesi il Grana viene maggiormente esportato?
Il primo Paese è la Germania e poi seguono Stati Uniti e Canada.
Questo dato dipende dalla massiccia presenza di italiani in questi Paesi o da un apprezzamento del prodotto in generale?
Dipende più da una questione di gusto e quindi di apprezzamento del Grana. Questo vale anche per Paesi come la Svizzera, Belgio, Francia. Incide poi sicuramente un’alta presenza di italianità, in particolare per Paesi come Stati Uniti e Canada.
Qual è la dimensione del comparto?
Il Consorzio ha al suo interno circa 6000 stalle, 140 caseifici e 200 Soci circa, quindi caseifici che producono solamente e altri che commercializzano legittimati ad usare il marchio Grana Padano.
Quanti addetti sono coinvolti nella filiera?
Sono circa 50.000 le persone direttamente coinvolte dall’attività e dalla filiera del Grana Padano.
Tanti addetti su un territorio vasto…
Si, siamo un Consorzio formato da molte imprese-aziende e questa eterogeneità, che ci caratterizza, offre più forza e vigore all’impresa comune che è appunto il Consorzio Grana Padano.
Quali sono le problematiche maggiori che il Consorzio ha dovuto affrontare?
L’imitazione è il problema principale. Spesso il consumatore, non essendo messo in condizione di conoscere le varie caratteristiche e provenienza di un prodotto, viene legalmente, ma allo stesso tempo slealmente, ingannato, da concorrenti che approfittano dell’esigenza di risparmio del consumatore e che mettono in commercio un prodotto similare ma a costo più basso, perché proveniente da Paesi dell’Est dove il latte e la manodopera costano meno e la confezione viene realizzata poi in Italia, dove non è obbligatorio indicare la provenienza del prodotto.
In che modo avete cercato di superare questa problematica?
Innanzitutto pretendiamo l’etichettatura riguardo la provenienza dei prodotti presenti sul mercato affinché il consumatore ben informato possa scegliere liberamente. La questione è stata seguita dal Parlamento italiano ma poi bloccata dalla UE. Ora probabilmente saremo noi a prendere provvedimenti chiedendo di distinguere negli scaffali il nostro prodotto dai similari.
Come ha risposto la Grande Distribuzione a questa sollecitazione?
È necessaria una norma concordata con le Autorità, affinché venga fatta questa distinzione, ci sia trasparenza e lealtà verso il consumatore. In questo modo anche la Grande Distribuzione riuscirebbe a superare problemi di carattere logistico perché sarebbe messa in una condizione di parità grazie alla presenza di una norma chiara e valida per tutti.
Quali sono le politiche ambientali del Consorzio?
Riteniamo di avere un basso impatto ambientale, in quanto i trasporti sono limitati, la raccolta del latte è molto vicina e non è necessario far bollire né congelare i prodotti pertanto non si consuma energia termica o refrigerante. Inoltre, stiamo cercando di adottare sistemi in grado di limitare la dispersione dei nitrati sul terreno dovuti alle deiezioni animali.
Il Consorzio riesce a far pressioni sulle Istituzioni affinché il territorio rimanga sano ed incontaminato?
Sì, e se, ad esempio, nel nostro territorio ci sono insediamenti che incrementano l’inquinamento o inutili infrastrutture che vanno solo a danneggiare l’ambiente, ovviamente ci opponiamo in maniera intelligente e mai preconcetta.
Cosa chiedereste alle Istituzioni europee nell’ambito della normativa ambientale?
Essendo ormai questo un mercato libero, vorremo solamente regole omogenee per tutto il territorio e quindi essere trattati come tutti i lavoratori europei, inglesi, francesi, tedeschi, tenendo anche conto delle diverse caratteristiche dei territori.
Occorre poi passare da una situazione che mira solamente al profitto ad una nuova prospettiva che tenga conto anche della sostenibilità dell’ambiente, dell’alimentazione, del benessere. Si tratta di un passaggio necessario per noi e soprattutto per i cittadini futuri e su questo si sta ancora facendo troppo poco.
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