Gli indicatori EPI 2018 (Environmental Performance Index) che misurano le prestazioni ambientali di 180 Paesi nei settori della protezione della salute umana e tutela degli ecosistemi, utilizzati dalle Nazioni Unite per valutare gli obiettivi prefissati su scala mondiale (OSS e Accordo di Parigi), indicano che il nostro Paese, nonostante le pessime prestazioni sulla qualità dell’aria (134° posto) e le cattive condizione degli stock ittici (131° posto), si colloca al 16° posto.
In occasione del World Economic Forum (WEF) di Davos (23-26 gennaio 2018), tra i numerosi rapporti che sono stati presentati e dei quali abbiamo dato resoconto, c’è stato anche il consueto EPI 2018 (Environmental Performance Index), un metodo per quantificare numericamente le prestazioni ambientali dei Paesi in merito a 2 grandi settori pubblici: la protezione della salute umana da danni ambientali e la tutela degli ecosistemi.
Progettato da Pilot Environmental Performance Index e pubblicato per la prima volta nel 2002 per integrare gli obiettivi ambientali delle Nazioni Unite, questo indice è stato sviluppato poi dalle Università statunitensi di Yale (Connecticut) e Columbia (New York), in collaborazione con il WEF e il sostegno della canadese “The Samuel Family Foundation” e della svizzera “The Call MacBain Foundation”.
L’Indice quest’anno classifica le prestazioni ambientali di 180 Paesi, attraverso il calcolo e l’aggregazione di 24 indicatori che riflettono i dati ambientali a livello nazionale, raggruppati in 10 categorie che costituiscono gli aspetti principali delle questioni ambientali, anche se non esaustive.
Il calcolo dell’EPI inizia con la trasformazione della raccolta dei dati grezzi in indicatori di sostenibilità comparabili. A tal fine vengono standardizzati i valori grezzi in funzione della popolazione, del prodotto interno lordo o di altri denominatori, che rendono i dati confrontabili tra i vari Paesi.
I dati trasformati vengono poi utilizzati per calcolare gli indicatori di sostenibilità EPI che utilizzano una metodologia “proximity-to-target” (quanto un determinato Paese si avvicina a un obiettivo politico prefissato).
A sua volta, tale punto di riferimento di elevata sostenibilità è definito principalmente da obiettivi politici internazionali o nazionali o da soglie scientifiche predeterminate. Ad esempio, i parametri di riferimento per le aree protette sono determinate da obiettivi di politica internazionale stabiliti dalla Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) e gli andamenti degli indicatori di intensità del carbonio nella categoria Clima ed Energia sono ponderati in base a quale indicatore è più pertinente sulla base dello sviluppo economico e degli obblighi politici di un Paese conseguenti l’Accordo di Parigi.
“Poiché la comunità mondiale persegue nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, i responsabili delle politiche devono sapere chi è in testa e chi è in ritardo sulle sfide energetiche e ambientali – ha affermato Daniel C. Esty, Direttore del Centro per la legislazione e la politica ambientale alla Yale University – L’EPI del 2018 conferma che il successo in termini di sviluppo sostenibile richiede sia il progresso economico che fornisca le risorse per investire in infrastrutture ambientali sia un’attenta gestione dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione che può provocare inquinamenti in grado di minacciare contemporaneamente salute pubblica ed ecosistemi“.
I punteggi vengono poi convertiti in una scala da 0 a 100 attraverso un semplice calcolo aritmetico, con 0 che rappresenta il valore più lontano dall’obiettivo (peggior valore osservato) e 100 il più vicino all’obiettivo (miglior valore osservato). In questo modo, i punteggi hanno un’accezione simile per tutti gli indicatori, per le tematiche politiche e per l’EPI in generale. Le categorie e gli obiettivi generali sono egualmente ponderati per ottenere un valore unico per ciascun Paese (il punteggio EPI).
Di seguito riportiamo i criteri di selezione dei dati per l’EPI.
Rilevanza: l’indicatore segue la tematica ambientale in un modo che sia applicabile a Paesi con un’ampia gamma di elementi.
Orientamento delle prestazioni: l’indicatore fornisce dati empirici sulle condizioni ambientali o sui risultati sul posto per la tematica di riferimento ovvero introduce i “migliori dati disponibili” per tali parametri di valutazione.
Metodologia scientifica riconosciuta: l’indicatore si basa su dati scientifici sottoposti a valutazione inter pares o su dati delle Nazioni Unite o di altre Istituzioni incaricate di raccogliere i dati.
Qualità dei dati: i dati rappresentano la migliore misura disponibile. Tutte le raccolte di dati potenziali sono revisionate per qualità e verificabilità, quelli che non soddisfano gli standard di qualità di riferimento vengono eliminati.
Disponibilità di serie storiche: i dati sono stati costantemente misurati attraverso il tempo e sono in corso degli sforzi per continuare con una misura consistente in futuro.
Completezza: l’insieme di dati deve avere una copertura globale e temporale adeguata per essere preso in considerazione.
C’è da osservare che, nonostante i dati utilizzati provengano dai più prestigiosi istituti ed enti di ricerca internazionali, sussistono delle lacune nei dati che limitano la capacità di misurare i risultati.
“Come si è evidenziato per circa due decenni cin il progetto EPI, sono necessarie con urgenza migliori raccolte dati, rapporti e verifiche su una vasta gamma di questioni ambientali – ha sottolineato Zach Wendling, della Yale School of Forestry & Environmental Studies e principale ricercatore del Rapporto – Il mondo ha bisogno di dati migliori su agricoltura sostenibile, risorse idriche, gestione dei rifiuti e minacce alla biodiversità. Supportare i sistemi dei dati globali è uno dei passi più importanti che la comunità mondiale può compiere per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile“.
Il podio dell’EPI 2018 è costituito da:
– Svizzera (1° posto con un punteggio di 87.42);
– Francia (2° posto con 83,95);
– Danimarca (3° posto 81,60).
L’Italia con un punteggio di 76,96 occupa nell’EPI 2018 16ma posizione con un trend crescente rispetto alle precedenti classifiche, ma penalizzata per l’esposizione dei cittadini alla cattiva qualità dell’aria (134° posto per il particolato fine-PM2,5) nel settore protezione della salute umana, e dallo stato degli stock ittici (131° posto) nel settore della tutela degli ecosistemi. Di contro occupiamo il 1° posto per la sicurezza dell’acqua da bere e per i servizi igienici.