È stato presentato il Circular Economy Report 2024 dell’Energy&Strategy Group del POLIMI, che analizza lo stato dell’arte dell’economia circolare in Italia dalle 100 storie di successo, alla caratterizzazione dei servizi per l’economia circolare, passando per il focus sulle metodologie per la misurazione della circolarità, con l’obiettivo di mostrare gli strumenti a supporto delle organizzazioni che vogliono diventare circolari.
Nel 2023 l’economia circolare in Italia ha fatto risparmiare alle imprese solo 800 milioni di euro in più rispetto al 2023 (quando l’aumento era stato di 1.200 milioni), portando il risparmio totale a 16,4 miliardi l’anno, ben lontano dai 119 miliardi “teorici” a cui si dovrebbe aspirare. Dunque si sta sfruttando solo il 14% del potenziale, con un divario ormai difficilmente colmabile da qui al 2030.
È quanto emerge dal “Circular Economy Report 2024” dell’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, giunto alla sua V edizione e presentato l’11 dicembre 2024 nel corso di un Convegno dedicato a cui hanno partecipato le aziende partner della ricerca, che analizza alcuni dei principali trend che stanno caratterizzando il passaggio dal paradigma lineare ad uno circolare come nuovo modello di crescita rigenerativa per il mondo delle imprese, riportando anche un’indagine su oltre 550 imprese italiane, da cui emerge una situazione in lieve peggioramento.
La rilevazione 2024 di E&S Group sulle imprese, rappresentative del tessuto industriale del nostro Paese in 8 macro settori, dal mobile arredo alle costruzioni, dall’elettronica all’impiantistica industriale, dal tessile all’alimentare, dagli autoveicoli agli imballaggi, mostra che il 42% ha adottato almeno una pratica di Economia Circolare. Tuttavia, il 36% delle imprese è ancora “scettico” sull’adozione dell’Economia Circolare, tanto da dichiarare di non avere in piano di adottarle anche nel futuro, mentre il 22% del campione ha comunque manifestato l’intenzione di integrare pratiche circolari nel proprio business.
Esiste però una differenza estremamente significativa relativamente alla dimensione delle imprese. Gli adottatori dell’Economia Circolare tra le grandi imprese sono il 46% (in crescita rispetto all’anno precedente) e sono solo il 28% gli scettici, mentre mano a mano che si scende di dimensioni le percentuali si avvicinano, sino ad arrivare alle PMI dove gli scettici (il 39% e in crescita) superano gli adottatori (37%).
Così come esiste una differenza marcata a livello geografico, con il 31% delle imprese circolari che ha sede in Lombardia ed una distribuzione complessiva che premia comunque decisamente le regioni del Nord Italia.
Anche chi adotta l’Economia Circolare è comunque consapevole del fatto di avere ancora una lunga strada da fare per dichiararsi completamente circolare. Infatti, in una scala da 1 a 5, il valore medio di adozione è pari a 2,24, con solo il 3% del campione (ed in larga parte associato al mondo degli imballaggi) ad attribuirsi il massimo del punteggio.
Tra le pratiche di Economia Circolare più diffuse spicca ancora il Recycle, seguita dal Riuso (Repurpose) e dal corrispondente design orientato a una facile riparazione (Design for Easy Repair). Al contrario, tra le pratiche meno applicate dagli intervistati si trovano Riparazione (Repair) e i meccanismi di servitizzazione (Product Service System) e riconsegna dei prodotti (Take Back System).
È ancora tuttavia molto poco diffusa l’adozione di strumenti di misura per l’Economia Circolare, che riguardano solo l’8% del campione (anche se in crescita rispetto all’anno precedente e con un ulteriore 4% di imprese “intenzionate” ad adottarli).
Cresce invece, anche se solo del 5% rispetto all’anno precedente, la taglia media degli investimenti in Economia Circolare, che tuttavia restano concentrati nella fascia medio-bassa (quasi il 50% sono sotto i 50.000 euro) e con tempi di ritorno che, per il 41% delle imprese, sono inferiori ai 12 mesi.
“È purtroppo evidente come le pratiche di economia circolare non siano entrate nel core business delle imprese e si sia invece, prendendo a riferimento la totalità del campione, in una fase ancora esplorativa delle possibili soluzioni – ha commentato Vittorio Chiesa, Direttore di Energy&Strategy – Al contrario, il sistema finanziario sta indirizzando sempre più i capitali verso investimenti che favoriscono questo innovativo modello economico: i green bond emessi dalle principali banche italiane hanno raggiunto quasi 8 miliardi di euro, il 74% in più rispetto all’anno precedente. E sta crescendo anche la consulenza in ambito sostenibilità (+25%)”.
Il sistema finanziario, infatti, sta, indirizzando i capitali verso investimenti che favoriscono questo innovativo modello economico. In particolare, i green bond emessi dalle principali banche italiane hanno raggiunto un valore complessivo di quasi 8 miliardi di euro, segnando una crescita superiore al 74% rispetto all’anno precedente. Questo dimostra un impegno crescente da parte del settore finanziario nel supportare progetti orientati alla sostenibilità.
Parallelamente, il settore della consulenza in ambito sostenibilità sta registrando un’espansione significativa. Per il 2024, si prevede che questo mercato raggiungerà un valore di 0,8 miliardi di euro, rappresentando il 13% del totale del mercato della consulenza in Italia. Tale crescita, pari al 25% rispetto all’anno precedente, evidenzia un interesse crescente verso pratiche che riducano l’impatto ambientale e promuovano soluzioni circolari, riflettendo una sensibilità crescente verso le tematiche ambientali.
Analogamente gli enti di certificazione svolgono un ruolo fondamentale nel sostenere la transizione verso l’Economia Circolare, offrendo servizi di verifica conformi a norme come ISO, EMAS ed EASI. Gli enti abilitati a certificare in ambiti legati alla circolarità rappresentano solo circa il 10% del totale, ed anche qui quasi completamente assenti nel Sud Italia, evidenziando un ulteriore divario territoriale che limita l’accesso a tali servizi.
Nel 2024, a livello normativo, si è assistita ad una chiara accelerazione della regolamentazione rispetto agli aspetti rendicontativi legati all’Economia Circolare, destinata a trasformare il mercato e a guidarlo verso pratiche più sostenibili.
La Direttiva CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) introduce per la prima volta standard unici per la rendicontazione di sostenibilità, gli European Sustainability Reporting Standard (ESRS), sviluppati dall’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) su mandato della Commissione UE. Tra questi, lo standard ESRS E5 dedicato a “Uso delle risorse ed Economia Circolare” rappresenta un passo cruciale per armonizzare la rendicontazione sui temi della circolarità.
Parallelamente, la Tassonomia dell’UE, un sistema di classificazione per identificare attività economiche sostenibili, si integra con i nuovi criteri tecnici di valutazione entrati in vigore il 1° gennaio 2024 e che includono esplicitamente la transizione verso un’Economia Circolare.
“È successo un po’ come nel risparmio energetico: finché si trattava di fare interventi semplici e poco dispendiosi, in questo caso recuperare e valorizzare gli scarti, è andato tutto bene, ma adesso che occorre investire nella riorganizzazione dei processi industriali e delle filiere, la questione cambia – ha osservato Davide Chiaroni, Vicedirettore di E&S Group, che ha sottolineato come ci siano anche storie di successo – “Noi ne abbiamo isolate 100, concentrate tra Lombardia, Piemonte e Toscana. I settori più rappresentati sono il manifatturiero, l’automotive, il tessile e l’abbigliamento. Per quasi metà, si tratta di imprese di piccole dimensioni, ma in un quinto dei casi hanno oltre 250 dipendenti e un fatturato tra 100 milioni e il miliardo, cioè sono tra quelle che costituiscono l’ossatura dei comparti industriali italiani ed è quindi importante che si approccino all’economia circolare. Purtroppo le medie imprese, che sono le più numerose, arrivano appena al 22%. Cosa fanno di speciale queste aziende virtuose? Partono dal riciclo, ma non si fermano lì – come troppo spesso si semplifica parlando di economia circolare – e lo integrano con pratiche di riprogettazione del prodotto, che diventano quindi la vera chiave per abilitare un riciclo di successo”.
Ma come sono fatte le imprese che hanno implementato con successo l’Economia Circolare in Italia?
La maggior parte (il 44% delle imprese) è rappresentata da imprese di piccole dimensioni, con meno di 50 dipendenti e 10 milioni di euro di fatturato, con una quota importante (14%) che appartiene alla categoria delle micro imprese. Tuttavia vi è una concentrazione interessante (19%) di casi tra le imprese con oltre 250 dipendenti e un fatturato compreso tra i 100 milioni ed il miliardo di euro. Sono queste imprese che costituiscono spesso l’ossatura dei comparti industriali italiani ed è quindi importante che tra queste si cominci a diffondere l’approccio all’Economia Circolare. Tra le grandissime imprese, invece, è difficile trovare storie di successo di Economia Circolare, non tanto perché, come rilevato dal sondaggio, non vi sia una attenzione a questo approccio, quanto perché è difficile far “emergere” prodotti circolari, che seppure presenti magari lo sono ancora a livello di test o destinato a qualche specifica nicchia di mercato.
Qual è il segreto del successo?
Non certo il ricorso ai finanziamenti pubblici che ha interessato solo il 27% del campione. Da un lato per effetto del fatto che, come visto più volte, non sono molti i fondi destinati all’Economia Circolare in Italia, dall’altro però a significare che è possibile – a determinate condizioni – trovare soluzioni circolari che siano allo stesso tempo sostenibili ed economicamente pronte per il mercato.