Il CCPI (Indice di performance sui cambiamenti climatici) di Germanwatch, CAN International e NewClimate Institute, presentato il 20 novembre 2024 alla COP29 di Baku, mostra che dopo 9 anni dall’adozione dell’Accordo di Parigi, nessun Paese sta facendo abbastanza per raggiungere gli obiettivi sottoscritti. Danimarca, Paesi Bassi e Regno Unito sono in testa nel CCPI di quest’anno, mentre Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Russia si classificano in fondo alla classifica. L’Italia passa dalla 44ma alla 43 posizione, collocandosi tra i Paesi con risultati complessivamente bassi.
L’energia rinnovabile sta facendo rapidi progressi in quasi tutti i Paesi ad alte emissioni, ma troppi ancora si aggrappano al prolungamento del modello di business dei combustibili fossili, in particolare per il gas. Ciò è dimostrato dal Climate Change Performance Index (CCPI 2025) pubblicato oggi da Germanwatch, NewClimate Institute e CAN International.
È quanto emerge dal Climate Change Performance Index (CCPI 2025) presentato oggi (20 dicembre 2024) nel corso di una Conferenza stampa alla COP29 di Baku, come da consuetudine, e redatto da Germanwatch, ONG con sede a Bonn che si prefigge di promuovere l’equità globale e la salvaguardia dei mezzi di sussistenza, Climate Action Network (CAN International), Rete globale di oltre 1.800 organizzazioni della società civile in oltre 130 Paesi (per l’Italia Legambiente) con l’obiettivo di arrestare gli effetti più pericolosi dei cambiamenti climatici, e NewClimate Institute, Istituto di ricerca sui cambiamenti climatici che si adopera per l’implementazione dell’Accordo di Parigi e per il sostegno allo sviluppo sostenibile.
“Gran parte del mondo ha riconosciuto che le energie rinnovabili sono una scelta conveniente e sicura per l’approvvigionamento energetico – ha affermato Jan Burck, Consulente senior di Germanwatch e co- autore del CCPI – Le energie rinnovabili sono in corsia di sorpasso, soprattutto nel settore elettrico. Inoltre, c’è una crescente elettrificazione dei settori della mobilità, residenziale e industriale. La tendenza all’elettrificazione continua, mentre contemporaneamente si stanno sviluppando nuove tecnologie di stoccaggio. Tuttavia, c’è ancora una massiccia resistenza da parte della lobby dei combustibili fossili. I paesi non dovrebbero cadere ancora più in profondità nella trappola dei combustibili fossili“.
Il CCPI è uno strumento di monitoraggio indipendente sulle prestazioni di protezione del clima di 63 Paesi e UE nel suo insieme, che assommano il 90% delle emissioni di gas serra, con l’obiettivo di migliorare la trasparenza nella politica climatica internazionale, consentendo il confronto degli sforzi e dei progressi di protezione del clima dei singoli Paesi.
Il CCPI viene calcolato attraverso un indice complessivo a cui concorrono 4 diversi parametri e 14 indicatori:
– i livelli di emissione che contribuiscono al 40% del peso complessivo (20% per il livello di emissione dell’anno preso in considerazione e 20% per il trend nel corso degli anni);
– il 20% viene assegnato per lo sviluppo delle rinnovabili (10%) e dell’efficienza energetica (10%);
– il 20% per i consumi energetici;
– il 20% alle politiche climatiche (10% per quelle nazionali e 10% per quelle internazionali), sulla base di un sondaggio tra oltre 200 esperti climatici di ONG e think tank dei rispettivi Paesi interessati.
A 9 anni di distanza dall’Accordo di Parigi nessun Paese è su un percorso conforme all’obiettivo concordato di mantenere il riscaldamento globale entro i +2 °C e di fare ogni sforzo per limitarlo a +1,5 °C. Così anche quest’anno i primi 3 posti della classifica non sono stati assegnati ad alcun Paese.
In testa alla classifica si conferma la Danimarca (4°), l’unico Paese a raggiungere un’elevata performance nella valutazione della politica climatica. Tuttavia, la Danimarca non ha ottenuto risultati sufficienti per ottenere una valutazione complessiva molto alta. La Danimarca è seguita dai Paesi Bassi (5°), sebbene il suo nuovo Governo non faccia presagire nulla di buono per la politica climatica. Il Regno Unito è stato il grande scalatore di quest’anno, ottenendo il 6° posto, con l’eliminazione graduale del carbone e l’impegno del Governo contro le nuove licenze per i progetti sui combustibili fossili che hanno avuto un ruolo chiave nella sua ascesa.
Dopo il “podio virtuale”, seguono le Filippine, Marocco, Norvegia, India, Svezia, Cile e Lussemburgo, che completano la Top ten.
In fondo si collocano, Iran, Arabia Saudita che ha abbandonato l’ultimo posto che deteneva fin dalla prima edizione del CCPI, Emirati Arabi Uniti, Russia, Corea del Sud, Canada, Kazakistan, Taiwan, Argentina, Giappone e Stati Uniti.
L’Italia si classifica al 43° posto nel CCPI 2025 e guadagna una posizione rispetto alla classifica dello scorso anno, quando ne aveva perse addirittura 15, ricevendo una valutazione media in emissioni di gas serra e uso energetico, e bassa in energia rinnovabile e politica climatica.
Nella scheda Paese si legge che il PNEC italiano, rivisto a luglio 2024, non ha un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra per l’intera economia entro il 2030. Ha solo un obiettivo del 40,6% entro il 2030 per il settore non soggetto al sistema di scambio delle emissioni, coperto dal Regolamento UE sulla condivisione degli sforzi (ESR)). Ciò sarebbe insufficiente perché, nell’ESR, il Paese avrebbe bisogno di almeno una riduzione del 43,7% entro il 2030. Il PNEC ha posticipato in modo regressivo l’eliminazione graduale del carbone in Italia dal 2025 al 2029. Sono state autorizzate nuove capacità di gas da combustibili fossili e il potenziale di energia rinnovabile del Paese non è stato raggiunto.
Non esiste un Piano d’azione per porre fine ai sussidi ai combustibili fossili, mentre l’ultimo Rapporto del Fondo Monetario Internazionale (FMI) segnala che i sussidi ai combustibili fossili del paese ammontano a 63 miliardi di dollari.
A livello internazionale, l’Italia contribuisce come membro della Carbon Neutrality Coalition, della Beyond Oil and Gas Alliance (solo come “Paese amico”) e del Global Methane Pledge, ma segue principalmente, la posizione dell’UE sulla politica climatica e non svolge un ruolo proattivo.
Le principali richieste degli esperti sono il mantenimento di una data più ambiziosa per l’eliminazione graduale del carbone e l’interruzione dell’espansione dell’estrazione di combustibili fossili e delle relative infrastrutture, nonché il raggiungimento di una riduzione delle emissioni dell’intera economia di oltre il 65% entro il 2030, per essere in linea con l’obiettivo di 1,5 °C di temperatura fissato a Parigi.
“Il mondo è a un punto di svolta – ha sottolineato Niklas Höhne, co-fondatore del NewClimate Institute e co-autore del CCPI – Il picco delle emissioni globali è in vista. Ora è fondamentale che iniziamo un rapido declino. Ridurre drasticamente le emissioni è l’unica misura che può prevenire ulteriori pericolose conseguenze del cambiamento climatico. Il tempo stringe e abbiamo urgente bisogno di un’inversione di tendenza delle emissioni“.