Biodiversità e conservazione

Biodiversità: l’inarrestabile declino è un pericolo per l’umanità

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La biodiversità, essenziale per tutte le forme di vita sulla Terra, continua a diminuire fortemente in ogni regione del mondo, mettendo in pericolo le economie, i mezzi di sussistenza, la sicurezza alimentare e la qualità della vita delle persone in tutto il mondo”.

È questo il messaggio dei 4 Rapporti scientifici sulle condizioni della biodiversità in 4 aree geografiche (Africa, Americhe, Europa e Asia centrale, Asia e Pacifico), scritti da più di 550 esperti provenienti da oltre 100 Paesi e diffusi in occasione della VI Assemblea plenaria dell’IPBES, tenutasi in Colombia (Medellin, 17-24 marzo 2018).

La costituzione della Piattaforma Intergovernativa sulla Biodiversità e sui Servizi Ecosistemici (IPBES), considerata una sorta di IPCC (Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) dedicato alla Biodiversità, che riunisce 129 Paesi, venne decisa nel dicembre 2010 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a seguito degli allarmanti dati che scienziati e studiosi avevano fornito sullo stato di salute dei numerosi servizi che gli ecosistemi offrono al nostro benessere, per effetto dei cambiamenti da essi subiti e causati dalle attività umane.

principali compiti dell’IPBES sono:
– identificare e dare priorità alle informazioni scientifiche necessarie per i politici e per catalizzare gli sforzi per produrre nuova conoscenza;
– svolgere valutazioni regolari e tempestive per conoscere la biodiversità e i servizi ecosistemici, nonché le loro interconnessioni;
– dare sostegno per l’approvazione e l’attuazione di politiche attraverso l’individuazione di azioni, strumenti e metodologie adatti;
– assegnare la priorità centrale alla necessità di migliorare l’interfaccia scienza-politica e di fornire/richiedere il sostegno finanziario o d’altro tipo per le priorità più impellenti, correlate direttamente alle sue attività.

La biodiversità e il contributo della natura alle popolazioni sembrano per molte persone, discussioni accademiche e lontane dalle nostre vite quotidiane – ha affermato il Presidente dell’IPBES, Sir Robert Watson, annunciando la disponibilità dei Rapporti- Niente potrebbe essere più lontano dalla verità , essendo la base della nostra alimentazione, della nostra acqua pulita e dell’energia. Sono al centro non solo della nostra sopravvivenza, ma anche delle nostre culture, delle nostre identità e del nostro benessere. Le migliori prove disponibili, raccolte dai maggiori esperti mondiali, ci indicano ora una sola conclusione: dobbiamo agire per arrestare e invertire l’uso insostenibile della natura, se non vogliamo rischiare il futuro che desideriamo, ma anche la nostra attuale esistenza. Fortunatamente, tali prove ci indicano anche come proteggere e ripristinare parzialmente le nostre risorse naturali vitali”.

I Rapporti di valutazione IPBES, sottoposti a revisione approfondita si concentrano sulla fornitura di risposte a domande chiave per ciascuna delle 4 regioni, tra cui: perché la biodiversità è importantedove stiamo facendo progressiquali sono le principali minacce e opportunità per la biodiversitàcome possiamo adeguare le nostre politiche e istituzioni per un futuro più sostenibile?

In ogni regione, ad eccezione di una serie di esempi positivi da cui si può trarre delle best practice, la biodiversità e la capacità della natura di contribuire al benessere delle popolazioni sono degradate, ridotte e perdute a causa di una serie di pressioni comuni, tra cui:
– lo stress dell’habitat;
– lo sfruttamento eccessivo e uso insostenibile delle risorse naturali;
– l’inquinamento dell’aria, della terra e dell’acqua; a
– l’aumento del numero e dell’impatto delle specie esotiche invasive;
– i cambiamenti climatici.

Africa
Le immense risorse naturali e il variegato patrimonio culturale dell’Africa sono tra i suoi più importanti asset strategici sia per lo sviluppo umano che per il benessere – ha sottolineato la Dott.ssa Emma Archer(Sudafrica), co-Presidente del Gruppo di valutazione del continente con il Dr. Kalemani Jo Mulongoy (RDC) e Dr. Luthando Dziba (Sudafrica) – L’Africa è l’ultimo posto sulla Terra con una vasta gamma di grandi mammiferi, ma mai in passato ci sono state così tante piante pesci, anfibi, rettili, uccelli e grandi mammiferi minacciati come oggi, a causa di una serie di cause umane e naturali”.

L’Africa è estremamente vulnerabile agli impatti dei cambiamenti climatici e questo avrà gravi conseguenze per le popolazioni economicamente emarginate – ha proseguito la Archer – Entro il 2100, i cambiamenti climatici potrebbero comportare anche la perdita di oltre la metà delle specie di uccelli e mammiferi africani, un calo del 20-30% della produttività dei laghi africani e una significativa perdita di specie di piante africane“.

Il rapporto stima che circa 500.000 Km2 di terra africana siano stati degradati dal sovrasfruttamento delle risorse naturali, dall’erosione, dalla salinizzazione e dall’inquinamento, con conseguente significativa perdita dei servizi ecosistemici per la popolazione. Ancora maggiore pressione sarà posta sulla biodiversità del continente, poiché l’attuale popolazione africana di 1,25 miliardi di persone raddoppierà fino a 2,5 miliardi entro il 2050.

Anche gli ambienti marini e costieri che forniscono significativi contributi economici, sociali e culturali al popolo africano, stanno subendo gravi danni, principalmente a causa dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici, con conseguenti implicazioni di vasta portata per la pesca, la sicurezza alimentare, il turismo e la biodiversità marina complessiva.

Asia-Pacifico
La biodiversità e i servizi ecosistemici hanno contribuito alla rapida crescita economica media annua del 7,6% dal 1990 al 2010 nella regione Asia-Pacifico, a beneficio dei suoi oltre 4,5 miliardi di persone – ha affermato il Dott. Madhav Karki (Nepal), co-Presidente del Gruppo di valutazione Asia-Pacifico, assieme al Dott. Sonali Senaratna Sellamuttu (Sri Lanka) – Questa crescita, a sua volta, ha avuto impatti diversi sulla biodiversità e sui servizi ecosistemici. La biodiversità della regione si trova di fronte a minacce senza precedenti, dagli eventi meteorologici estremi all’innalzamento del livello del mare, dalle specie aliene invasive all’intensificazione agricola, dal sovrasfruttamento ittico all’aumento dei rifiuti e dell’inquinamento“.

Malgrado qualche successo per proteggere questi ecosistemi vitali – le aree marine protette sono aumentate del 14% in 25 anni e la copertura delle foreste è cresciuta del 23% in Asia del Nord-Est – si teme tuttavia che non sia sufficiente per contenere il declino della biodiversità e dei servizi che coinvolgono 4,5 miliardi di umani che vivono nei Paesi di questa regione. Oggi, il 60% delle terreni dell’Asia è degradato, è minacciato il 25% delle specie endemiche e l’80% delle coste sono inquinate dalla plastica. Se le pratiche di pesca vanno avanti allo stesso ritmo, la regione non avrà più riserve di pesci utilizzabili entro il 2048. Fino al 90% dei coralli che rivestono una certa importanza ecologica, culturale ed economica, soffriranno di un grave degrado verso la metà del secolo, anche in condizione di cambiamenti climatici moderati.

Europa e Asia centrale
Non è meno preoccupante la condizione della biodiversità di questa area

Nell’Unione europea, la valutazione dello stato di conservazione delle specie e dei tipi di habitat di interesse conservazionistico indica che solo il 7% delle specie marine e il 9% dei tipi di habitat marino mostrano uno “stato di conservazione favorevole“. Il 42% degli animali terrestri e delle piante ha registrato un declino delle loro popolazioni nel corso dell’ultimo decennio, così come il 71% dei pesci e il 60% degli anfibi. Inoltre, il 27% delle specie e il 66% degli habitat censiti, sono in uno “stato di conservazione sfavorevole”, mentre le altre sono classificate come “sconosciute“.

La causa principale di questa perdita è dovuta all’intensificarsi dell’agricoltura e dello sfruttamento forestale, in modo particolare l’uso eccessivo di prodotti agrochimici (pesticidi, fertilizzanti).

La popolazione della regione consuma più risorse naturali rinnovabili di quanto non produca la regione – ha affermato il Prof. Markus Fischer (Svizzera), co-Presidente del Gruppo di valutazione per l’Europa e l’Asia centrale, assieme al Prof. Mark Rounsevell (Regno Unito) – anche se questa situazione è un po’ compensata dalla maggiore biocapacità nell’Europa orientale e nelle parti settentrionali dell’Europa occidentale e centrale“.

Gli autori ritengono che un’ulteriore crescita economica possa facilitare lo sviluppo sostenibile solo se è dissociato dal degrado della biodiversità e dalla capacità della natura di contribuire al benessere delle persone. Tale disaccoppiamento, tuttavia, non è ancora avvenuto e richiederebbe un profondo cambiamento nelle politiche e nelle riforme fiscali a livello globale e nazionale.

Anche l’abbandono dei sistemi tradizionali di uso del suolo e la perdita delle conoscenze e delle pratiche locali diffusi in Europa e Asia centrale, hanno contribuito al degrado. Secondo il rapporto, i sussidi basati sulla produzione che guidano la crescita nei settori dell’agricoltura, della silvicoltura e dell’estrazione di risorse naturali tendono ad esacerbare le questioni conflittuali sull’uso del territorio, spesso incidendo sul territorio ancora disponibile per gli utenti tradizionali. Il mantenimento dell’uso del territorio e degli stili di vita tradizionali in Europa e Asia centrale è strettamente correlato all’adeguatezza istituzionale e alla redditività economica.

Nel rapporto si sottolinea anche il ruolo dei cambiamenti climatici che costituiranno uno dei principali pesanti condizionamenti sulla biodiversità di Europa e Asia centrale nei prossimi decenni.

Americhe
Nelle Americhe, la ricca biodiversità fornisce un immenso contributo alla qualità della vita, contribuendo a ridurre la povertà e al contempo rafforzando le economie e i mezzi di sussistenza – ha sottolineato il Dott. Jake Rice (Canada), co-Presidente del Gruppo di valutazione delle Americhe assieme alla Dott.ssa Cristiana Simão Seixas (Brasile) e alla Prof.ssa Maria Elena Zaccagnini (Argentina).

Il valore economico dei contributi della natura terrestre delle Americhe al benessere delle persone è stimato in oltre 24.000 miliardi di dollari USA all’anno – equivalente ai due terzi del PIL della regione – ma sono in forte declino e il 21% di tali contributi. I cambiamenti climatici indotti dall’uomo, influiscono sulla temperatura, sulle precipitazioni e sugli eventi meteorologici estremi che costituiscono sempre più i driver più forti della perdita di biodiversità e della riduzione dei contributi della natura alle persone, peggiorando l’impatto del degrado dell’habitat, dell’inquinamento, delle specie invasive e dell’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali.

Secondo il rapporto, in uno scenario “business as usual”, i cambiamenti climatici in rapida espansione avranno un impatto negativo sulla biodiversità entro il 2050 nelle Americhe, diventando paragonabile alle pressioni conseguenti ai cambiamenti dell’uso del suolo. In media oggi le popolazioni delle specie di quest’area si sono ridotte di circa il 31% dal momento della colonizzazione europea. La foresta amazzonica si è ridotta del 17% sotto la pressione delle attività umane e le barriere coralline hanno perso più della metà della loro superficie rispetto al 1970. Con gli effetti crescenti dei cambiamenti climatici che si aggiungono agli altri driver, si prevede che questa perdita raggiunga il 40% entro il 2050.

La relazione sottolinea il fatto che le popolazioni indigene e le comunità locali hanno creato una varietà di sistemi policolturali e agroforestali, che hanno aumentato la biodiversità e modellato paesaggi. Tuttavia, il disaccoppiamento degli stili di vita dall’ambiente locale ha eroso, per molti, il senso di appartenenza, la lingua e le conoscenze indigene locali. Più del 60% delle lingue nelle Americhe e le culture ad esse associate hanno grossi problemi o si stanno estinguendo.

Secondo gli scienziati, questi 4 Rapporti confermano che la Terra sta per subire la sua sesta estinzione di massa: la scomparsa di specie si è moltiplicata per 100 a partire dal 1900, cioè un ritmo senza equivalenti dopo l’estinzione dei dinosauri di 66 milioni di anni fa.

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