Salute

Antimicrobici veterinari in ambiente europeo: approccio One Health

Un briefing dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) evidenzia come la continua presenza di residui antimicrobici nell’ambiente derivanti dall’uso di antimicrobici per gli allevamenti e l’acquacoltura pone rischi per gli ecosistemi e la salute umana, e che un monitoraggio esteso degli antimicrobici nelle acque europee potrebbe aiutare a comprendere meglio l’efficacia delle azioni volte a ridurne l’uso.

Sebbene nell’UE-27 si sia registrata una diminuzione del 28% nell’uso di antimicrobici per animali d’allevamento e acquacoltura tra il 2018 e il 2022 e la Strategia “Farm to Fork” e il Piano di azione “Azzerare l’inquinamento atmosferico, idrico e del suolo” abbiano posto l’obiettivo di ridurne le vendite del 50% entro il 2030, esistono lacune nelle conoscenze riguardanti i residui antimicrobici, i batteri resistenti e i geni della resistenza antimicrobica nell’ambiente europeo, che comportano rischi per gli ecosistemi e la salute umana.

A sottolinearlo è l’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) che ha pubblicato il Briefing Veterinary antimicrobials in Europe’s environment: a One Health perspective”, che esamina specificamente l’ uso di antimicrobici per gli animali destinati alla produzione alimentare e il loro impatto sull’ambiente.

Questi medicinali sono comunemente usati per prevenire o curare le infezioni nel bestiame e nell’acquacoltura e aiutano a curare le malattie negli esseri umani e negli animali domestici, tuttavia il loro utilizzo può anche avere un impatto negativo sull’ambiente e sulla salute umana. Le infezioni resistenti agli antimicrobici (AMR) causano oltre 35.000 decessi ogni anno nell’UE e un migliore monitoraggio degli antimicrobici nelle acque europee, secondo l’EEA, aiuterebbe a misurarne l’efficacia, a identificare i punti caldi dell’inquinamento e a valutare meglio i potenziali impatti sull’uomo, sugli animali e sull’ambiente.

A sinistra, vendite annuali di antimicrobici per animali d’allevamento e acquacoltura nell’UE-27 (2018-2022); a destra le vendite di antimicrobici per animali d’allevamento e in acquacoltura per Stato membro dell’UE nel 2018 e nel 2022 (Fonte EEA, sulla base dei dati ESVAC forniti dall’EMA, 2024).

Secondo l’OMS, che pone la resistenza agli antimicrobici tra le prime 10 minacce globali per la salute, “L’AMR è la capacità di batteri, virus, funghi e parassiti di resistere agli effetti dei farmaci antimicrobici che uccidono gli organismi sensibili o ne impediscono la crescita. La resistenza antimicrobica è un fenomeno che precede l’uso degli antimicrobici nella medicina umana in quanto molti batteri, virus, funghi e parassiti sono intrinsecamente resistenti ad alcuni antimicrobici. Tuttavia, i microrganismi possono diventare resistenti anche a seguito di esposizione ad antimicrobici. L’infezione da patogeni antimicrobico-resistenti rende le infezioni più difficili da trattare e aumenta il rischio di diffusione di malattie gravi e di morte”.

L’EEA evidenzia che molti antimicrobici vengono assorbiti solo parzialmente dal bestiame e i residui si disperdono nell’ambiente, anche come parte del letame e dei fanghi di depurazione che vengono sparsi sui terreni agricoli come fertilizzanti. Allo stesso modo, gli antimicrobici somministrati ai pesci d’allevamento possono finire nei sistemi acquatici. Una volta presenti nel suolo o nell’acqua, questi composti possono rappresentare un rischio per gli ecosistemi, alterando le comunità microbiche e influenzandone le funzioni. La presenza di residui antimicrobici e di batteri e geni resistenti agli antimicrobici nell’ambiente potrebbe anche contribuire alla comparsa e alla diffusione della resistenza antimicrobica (AMR).

Panoramica delle vie di trasporto ambientale degli antimicrobici per uso umano e veterinario (Fonte: sulla base di Sanseverino et al., 2019)

Il briefing sottolinea l’importanza di affrontare i rischi che insorgono all’interfaccia tra la salute umana, animale e dell’ecosistema secondo l’approccio One Health, riconoscendo che nessuna disciplina o settore della società può mitigare tali rischi da sola. L’attuazione di questo approccio è fondamentale per rendere l’UE e i suoi Stati membri più attrezzati per prevenire, prevedere, individuare e rispondere alle minacce sanitarie, riducendo al tempo stesso le pressioni umane sull’ambiente.

Un Rapporto dell’UNEP, pubblicato l’anno scorso, ha evidenziato che fino a 10 milioni di persone potrebbero morire ogni anno entro il 2050 senza contromisure efficaci in una logica One Health, causa della resistenza agli antimicrobici (AMR) del cui sviluppo anche l’ambiente gioca un ruolo chiave.

In particolare, il briefing dell’Agenzia europea dell’ambiente sostiene il lavoro più ampio delle Agenzie dell’UE su One Health, nonché la partecipazione dell’EEA alla task force One Health tra Agenzie dell’UE, che comprende il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e l’Agenzia europea per i medicinali (EMA), che ha pubblicato il 7 maggio 2024 un Quadro d’azione congiunto per l’attuazione di un Piano nei prossimi tre anni (2024-2026), concentrandosi su cinque obiettivi: coordinamento strategico, coordinamento della ricerca, rafforzamento delle capacità, comunicazione e coinvolgimento delle parti interessate e attività congiunte inter-agenziali. Ciò garantirà che la consulenza scientifica fornita dalle agenzie sia sempre più integrata, che la base di prove per One Health sia rafforzata e che le Agenzie siano in grado di contribuire con un’unica voce all’agenda One Health nell’UE.

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