Risorse e rifiuti Sostenibilità

TARI: le linee guida del MEF per i fabbisogni standard

TARI linee guida MEF

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) ha pubblicato l’8 febbraio 2018 le “Linee guida interpretative per l’applicazione del comma 653 dell’art. 1 della Legge n. 147 del 2013” per supportare gli Enti che nel 2018 vorranno misurarsi con la prima applicazione della nuova disposizione prevista dalla Legge di Bilancio 2018.

La succitata Legge non ha prorogato, infatti, l’entrata in vigore della disposizione, prevista dal comma 653 della Legge n. 147/2013, che impone di considerare “anche” i fabbisogni standard nella determinazione dei costi del servizio di smaltimento dei rifiuti e, quindi, nella definizione delle tariffe della tassa sui rifiuti (TARI).

In precedenza, lo stesso MEF era dovuto intervenire con la Circolare n. 1/DF del 20 novembre 2017 , recante “Chiarimenti sull’applicazione della tassa sui rifiuti (TARI). Calcolo della parte variabile”, dopo il pasticcio combinato da alcuni Comuni in merito alla tassa sui rifiuti pagata più del dovuto per un errore di calcolo da parte di alcuni Comuni che avevano computato la quota variabile (la parte della TARI rapportata alle quantità di rifiuti conferiti) sia in relazione alle abitazioni che alle pertinenze, determinando una tassa più elevata rispetto a quelle che risulterebbe dalla sua applicazione una sola volta in relazione alla superficie totale dell’utenza.

Nell’occasione il MEF riconosceva l’erroneo calcolo eventualmente effettuato dai Comuni e definiva le modalità per le richieste di rimborso da parte degli utenti, solo relativamente alle annualità a partire dal 2014 (anno in cui la TARI è stata istituita), escludendo, peraltro, la possibilità di chiedere il rimborso relativamente alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) che non prevedeva, tranne casi isolati, la ripartizione della stessa in quota fissa e variabile.

Nonostante la necessità di introdurre dei correttivi per chiarire e correggere la TARI, la Legge di Bilancio si è limitata a confermare ancora per un anno alcuni meccanismi tecnici (possibilità di derogare al metodo normalizzato di calcolo delle tariffe), considerando che alla vigilia delle elezioni non sarebbe stato opportuno addentrarsi in una questione che ha da sempre sollevato malumori e perplessità (vedi la ventennale mancata approvazione del Decreto per stabilire i criteri di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani che le imprese, artigiani e commercianti debbono pagare).

Ricordiamo che la TARI, introdotta nel 2014 in sostituzione della TARES, prevede la totale copertura dei costi (di investimento ed esercizio) relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, e, quindi, ridurre imposte ad una categoria, rischia di scaricarne il peso sulle altre.

Peraltro, la stessa Legge di Bilancio 2018 (commi 528-529) aveva trasformato l’AEEGSI (Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico) in ARERA (Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente), affidandole anche i compiti in materia di gestione dei rifiuti, tant’è che i suoi componenti passano da 3 a 5 membri e il vecchio collegio scade proprio in questi giorni.

La trasformazione era già prevista ed auspicata, vista la grande differenza tra le varie regioni italiane dei costi unitari per la gestione dei rifiuti e la necessità di una loro regolazione indipendente.

Lo scorso mese una nota di Confartigianato segnalava che negli ultimi 5 anni in Italia l’indice dei prezzi della raccolta dei rifiuti è cresciuta del 13,6%, un tasso più che doppio rispetto al 6,4% dell’UE, nel contesto di una produzione di rifiuti che nello stesso periodo è diminuita del 5,2%.

Per evitare le difficoltà interpretative per quei Comuni che dovessero cimentarsi con la “novità”, non avendo deliberato ancora il bilancio di previsione, prorogato al 31 marzo 2018, il MEF con le Linee guida in oggetto precisa che:

– spetta al Consiglio Comunale deliberare le tariffe della TARI;

– i Comuni delle Regioni a statuto speciale e gli enti che hanno già approvato i Piani finanziari, non sono tenuti a rivederli;

– i “fabbisogni standard” del servizio rifiuti possono rappresentare solo un paradigma di confronto per permettere all’ente locale di valutare l’andamento della gestione del servizio rifiuti;

– le risultanze dei fabbisogni standard sono quelle contenute nella Tabella 2.6 del DPCM del 29 dicembre 2016, riportata nell’Allegato 1, dove la componente più importante è costituita dalla stima del costo medio nazionale di riferimento per la gestione di una tonnellata di rifiuti (294,64 euro), rispetto alla quale il costo standard di riferimento di ogni comune può discostarsi, verso l’alto o verso il basso;

– per dare chiarezza alla procedura viene riportato un esempio di “Modalità di calcolo delle risultanze dei fabbisogni standard” (Allegato 2);

– le “risultanze dei fabbisogni tandard” non possono corrispondere al “fabbisogno standard” finale approvato per ogni comune (un solo numero per ogni ente) in quanto questo valore non fornisce un’informazione direttamente utile alla definizione di un costo standard di riferimento (si veda Allegato 3).

Sarà difficile che i Comuni vogliano addentrarsi in una procedura di tal difficile approccio, e solo l’introduzione generalizzata della “tariffa puntuale” per i rifiuti urbani e assimilati permetterà finalmente di veder applicato il principio equo del “paghi per quanto conferisci” (pay-as-you-throw), o quando entrerà in vigore la nuova Direttiva quadro sui rifiuti dopo l’accordo raggiunto tra Commissione UE, Consiglio e Parlamento UE sul “Pacchetto Circular economy” che ne prevede l’obbligatorietà.

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