Sostenibilità

Sviluppo inclusivo: ancora una bocciatura dal WEF per l’Italia

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L’“Indice di Sviluppo Inclusivo” del World Economic Forum, pubblicato alla vigilia dell’annuale Forum di Davos (23-26 gennaio 2018), che cerca di offrire un nuovo modello di crescita basato non solo su indicatori macroeconomici (PIL), ma soprattutto sugli standard di vita dei cittadini, colloca il nostro Paese al 27° posto all’interno del gruppo dei 29 Paesi dalle economie più avanzate.

Nel corso del World Economic Forum (Davos, 23-26 gennaio 2018) che quest’anno ha per focus tematico “Creating a Shared Future in a Fractured World”( Creare un futuro condiviso in un mondo frammentato), è stato presentato l’ “Inclusive Development Index 2018 (IDI).

Nonostante la crescita economica e produzione siano in ripresa in tutto il mondo, la stragrande maggioranza dei cittadini a livello globale è alle prese con un aumento di disparità di reddito e di ricchezza.

Siano in un momento cruciale della storia – ha dichiarato in un editoriale al WEF, Isabelle Kocher, Ceo di ENGIE e co-Presidente del Forum – In tutto il mondo, le persone fanno sempre più fatica ad accettare una narrativa di progresso sociale ed economico condiviso e continuo che ha prevalso per decenni”.

Sono fermamente convinta che siamo attualmente alla fine di un ciclo – ha proseguito la Kocher – È il momento di dar vita ad un futuro condiviso, più egualitario, inclusivo e rispettoso dell’ambiente, che alla fine offra maggiori possibilità di sviluppo personale e di controllo sulle nostre vite individuali. Questo parallelo desiderio di rinnovamento e di progresso armonioso riconcilia gli interessi in competizione tra ambiente, comunità e individuo”.

In questo quadro si inserisce il tentativo di approntare un nuovo strumento per misurare le performance dei vari Stati basato sugli standard di vita degli individui e sulle inuguaglianze economiche, in alternativa al PIL che “misura l’attuale produzione di beni e servizi, anziché misurare ciò che contribuisce ad un ampio progresso socio-economico, quale si concretizza nel reddito familiare medio, nelle opportunità di lavoro, nella sicurezza economica e nella qualità della vita”.

L’IDI si basa su 3 Pilastri e relativi indicatori:
Crescita e Sviluppo (PIL pro-capite; Occupazione; Produttività del lavoro; Aspettativa di vita sana);
Inclusione (Reddito familiare medio; Tasso di povertà; Indice di disuguaglianza nella crescita; Indice di disuguaglianza nella ricchezza);
Equità intergenerazionale e Sostenibilità (Tasso netto di risparmio; Debito pubblico in rapporto al PIL; Rapporto tra popolazione attiva e popolazione inattiva; Intensità del carbonio per unità di PIL).

L’IDI ha valutato la maggior parte dei Paesi, assegnando un punteggio per ogni indicatore. La somma dei punteggi conseguiti ha determinato una classifica o, meglio, 2 classifiche:
– una per i Paesi dalle economie più avanzate (29);
– l’altra, per i Paesi dalle economie in via di sviluppo (74).

La crescita del PIL è una condizione necessaria – ha affermato Richard Samans, Direttore esecutivo e a capo dell’Agenda Globale del WEF, presentando l’IDI 2018 – ma non sufficiente per il raggiungimento di ampi progressi nei livelli di vita in base ai quali i cittadini giudicano in ultima analisi il successo economico dei loro Paesi”.

Questo messaggio deve essere ben impresso nella mente in un momento in cui la crescita economica globale sta finalmente rimbalzando su un livello più solido – ha sottolineato Samans – I leader politici e imprenditoriali non dovrebbero aspettarsi che una maggiore crescita rappresenti una panacea per le frustrazioni sociali che hanno turbato la politica di molti Paesi negli ultimi anni”.

La classifica per il 2018 vede primeggiare i Paesi del nord-Europa, con in testa Norvegia, seguita da Islanda, Lussemburgo, Svizzera, Danimarca e Svezia. Tra i Paesi extra europei, l’Australia si piazza (9° posto) e la Nuova Zelanda (13° posto).

L’Italia è inserita nell’ultimo gruppo dei Paesi ad economia avanzata al 27° posto, con un trend negativo del 4,9%, sopravanzata dalla Spagna e seguita solo da Portogallo e Grecia, dal momento che Singapore non è stato incluso nella classifica finale per mancanza di dati disponibili sulla povertà e sul reddito medio.

Dalla scheda dedicata al nostro Paese, emerge che occupiamo la 23° posizione per Crescita e Sviluppo ( pur essendo al 5° posto per l’Aspettativa di vita sana, ma penalizzati per i posti di lavoro, per il quale indice siamo all’ultimo posto).

Per l’Inclusione, l’Italia si colloca al 21° posto, con un trend negativo del 7,1%.

Siamo al penultimo posto per l’Equità intergenerazionale, con trend del -5,7%, nonostante la discreta performance dell’indicatore Intensità di carbonio per unità di PIL (10ma posizione), ma appesantiti dall’enorme Debito pubblico (28ma).

Nel Report, il giudizio sintetico sull’Italia è assai severo e suona come una vera e propria bocciatura.
L’Italia si colloca al 27 ° posto tra le 29 economie valutate dall’ IDI con una tendenza al calo – si può leggere a pagina 6 del summary – Questa performance mostra un Paese caratterizzato da un basso livello di crescita e sviluppo e da poca equità intergenerazionale e sostenibilità. Di fatto, l’Italia sta invecchiando [cfr:Natalità in Italia: arginare una situazione drammatica” ], spostando il peso politico a favore delle coorti di anziani. Gli fa da risonanza la difficoltà di ridurre il debito pubblico, che mette in gioco un credito sulle risorse future dell’Italia, in cambio di attuali guadagni e un alto tasso di disoccupazione, soprattutto tra la popolazione più giovane.

Al contempo le disparità di reddito e la povertà sono più alte della maggior parte delle economie avanzate e sono in aumento – prosegue la nota del Report – Spinte da una crescita lenta, le prospettive economiche future d’Italia sono meno positivi rispetto a quelle di altri Paesi comparabili. Mentre l’Italia in passato è riuscita a creare ricchezza condivisa (come misurato dall’indice di ricchezza di Gini [ndr: uno degli indicatori del Pilastro Inclusione], l’aumento delle disuguaglianze di reddito e la bassa crescita hanno iniziato a erodere tale prosperità, richiedendo un’azione a favore di politiche di crescita più inclusive. L’Italia, tuttavia, ottiene una buona performance sulla intensità di carbonio e la salute, in quanto ha basse emissioni di carbonio e migliori condizioni di salute (una vita sana fino a 73 anni) rispetto maggior parte delle economie.

Il Rapporto prende in esame anche alcuni indicatori di Governance che hanno le potenzialità per guidare sia una forte crescita che una maggiore inclusione sociale.

Ebbene, l’Italia riporta punteggi assai bassi. Rispettivamente:
5,27 (27° posto) in Istruzione e sviluppo delle competenze (accesso; qualità; equità);
4,89 (29°) in Servizi di base e le infrastrutture (infrastrutture di base e digitali; servizi sanitari);
3,75 (28°) in Corruzione e rendite (etica negli affari e nella politici; concentrazione di rendite);
3,26 (29°) in Intermediazione finanziaria e investimenti nell’economia reale (l’inclusione del sistema finanziario; intermediazione di investimenti di imprese nell’economia reale);
3,78 (29°) in Costruzione di asset e Imprenditoria (piccola impresa di proprietà; beni e attività finanziarie di proprietà);
4,33 (23°) in Occupazione e retribuzione del lavoro (occupazione produttiva; compenso per lavori salariali e non salariali);
4,09 (24°) in Trasferimenti fiscali (sistema fiscale; protezione sociale).

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