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Spreco di cibo: una grande questione ambientale e socio-economica

spreco di cibo

Nell’UE quasi un quarto della popolazione (120 milioni di persone) è a rischio di povertà e di esclusione sociale ed oltre 40 milioni di persone non possono permettersi un pasto di qualità un giorno su due. Allo stesso tempo, si valuta che ogni anno nell’UE vengano prodotti circa 88 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, con conseguenti costi stimati a 143 miliardi di euro.

Oltre a generare un rilevante impatto economico e sociale, i rifiuti alimentari esercitano una pressione indebita sulle risorse naturali limitate e sull’ambiente.

Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), circa un terzo del cibo prodotto complessivamente a livello mondiale va perso o sprecato. Gli alimenti che, successivamente al raccolto, vengono persi o sprecati lungo la filiera consumano circa un quarto di tutta l’acqua impiegata dall’agricoltura ogni anno e necessitano di una superficie coltivata della grandezza della Cina. I rifiuti alimentari generano ogni anno circa l’8 % delle emissioni globali di gas a effetto serra.

Per prevenire gli sprechi si dovrebbe intervenire soprattutto alla fonte, limitando la produzione di eccedenze alimentari in ciascuna fase della filiera (produzione, trasformazione, distribuzione e consumo). In presenza di eccedenze, la migliore destinazione possibile, che garantisce il valore d’uso più elevato delle risorse alimentari idonee al consumo, è la loro ridistribuzione per l’alimentazione umana.

Sebbene una serie di politiche dell’UE abbia il potenziale per lottare contro gli sprechi alimentari, secondo la Relazione speciale della Corte dei Conti europea  “le azioni adottate finora e le modalità con le quali i vari strumenti d’intervento operano, rimangono sinora frammentate ed intermittenti”.

Ora, nell’ambito del Piano di azione per l’economia circolare, al fine di agevolare la donazione di prodotti alimentari, la Commissione UE ha recentemente adottato delle Linee guida per promuovere un’interpretazione comune delle norme dell’UE applicabili alle donazioni di alimenti e bevande, comprese quelle relative all’IVA, che dovrebbero aiutare i donatori e i riceventi di eccedenze alimentari e garantire il rispetto dei requisiti pertinenti, quali l’igiene dei prodotti donati e le informazioni ai consumatori, assicurando così pratiche di donazioni sicure.

Se è molto il cibo che viene buttato via dai produttori, dai venditori, la quantità maggiore è quella che viene destinata a spazzatura dal consumatore finale.
Il Rapporto “Estimating Quantities and Types of Food Waste at the City Level”, presentato il 26 ottobre 2017 dal Natural Resources Defense Council (NRDC) e condotto in partnership con la Fondazione Rockefeller, ha trovato che i due terzi dei rifiuti residenziali in 3 città degli Stati Uniti (Denver, Nashville e New York) sono ancora commestibili e potrebbero costituire 68 milioni di pasti ogni anno alle persone che sono in difficoltà.

Una quantità scandalosa di cibo viene sprecata nelle nostre città, mentre al contempo molti residenti ne hanno bisogno – ha affermato Dana Gunders, Ricercatrice senior di NRDC – Sfruttare al meglio la nostra disponibilità alimentare avrebbe notevoli vantaggi: contribuire a nutrire le persone, risparmiare denaro, acqua, energia e ridurre le emissioni in un sol colpo”.

La ricerca condotta ha rilevato che mediamente ogni persona getta nella spazzatura 1,5 Kg di cibo alla settimana, andato a male, ma soprattutto da residui avanzati che non vengono più mangiati. In tutte e tre le città, caffè, latte, mele, pane, patate e pasta erano tra i primi 10 cibi commestibili scartati.

Il modo migliore per evitare lo spreco alimentare è di prevenirlo fin dall’inizio – ha sottolineato Darby Hoover, Esperto senior di risorse del programma NRDC per l’alimentazione e l’agricoltura – Quando le città cercano di ridurre i rifiuti alimentari, spesso si concentrano esclusivamente sui metodi di riciclaggio, come il compostaggio, ma la prevenzione si attua là dove i benefici ambientali e di spesa sono più grandi. Valutando quanto, dove e perché il cibo si sta sprecando, possiamo aiutare le città ad intraprendere azioni più decise e più efficaci per sprecare meno cibo”.

Seppure dal Rapporto emerga che il settore residenziale è il principale contributore dello spreco alimentare, notevole è pure l’apporto dato dalla ristorazione, seguito dalla distribuzione, dalla produzione e trasformazione di alimenti, da negozi e mercati, e dagli ospedali.

Per la situazione in Italia, si segnala l’iniziativa dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) che il 16 novembre 2017 presso l’Auditorium del MATTM, presenterà il Rapporto “Spreco Alimentare: un approccio sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali”.

Il Rapporto, passa in rassegna la letteratura internazionale e sono analizzate le connessioni più rilevanti tra lo spreco alimentare e altri temi, così da costruire una visione d’insieme socio-ecologica: il consumo di suolo, di acqua, di energia e di altre risorse, il degrado dell’integrità biologica, i cambiamenti climatici, l’alterazione dei cicli dell’azoto e del fosforo, la sicurezza e la sovranità alimentare, la bioeconomia circolare.

Dall’esame dei quadri concettuali esistenti, si giunge ad una proposta di definizione sistemica che comprende elementi fondamentali di spreco finora poco considerati. Si indagano in dettaglio le cause e i condizionamenti strutturali lungo le filiere, da cui emergono differenti quantità di spreco associate a diversi modelli di sistema alimentare. Il rapporto poi analizza ed elabora a livello mondiale, europeo e italiano i dati disponibili, evidenziando dimensioni ed effetti critici dello spreco.

Viene individuata, infine, la necessità di spostare l’attenzione dal recupero e riciclo delle eccedenze alla indispensabile prevenzione strutturale per ridurne a monte la formazione e i conseguenti sprechi. Le proposte di prevenzione sono estesamente trattate e finalizzate ad una strategia che aumenti la resilienza ecologica e sociale trasformando strutturalmente i sistemi alimentari.

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