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Frutta e verdure: lo scandalo dello spreco alimentare dei prodotti “deformi”

Frutta e verdura deformi

Una ricerca dell’Università di Edimburgo rivela che ogni anno in Gran Bretagna 4,5 milioni di tonnellate di frutta e verdure “deformi” non raggiungono gli scaffali dei supermercati e in tutta Europa circa 50 milioni di tonnellate di prodotti agricoli vengono scartati, con un impatto climatico correlato alla coltivazione di cibo che poi finisce sprecato, pari alle emissioni di 400.000 auto.

Oltre un terzo della frutta e verdure coltivate in Europa non riesce mai ad arrivare negli scaffali dei negozi perché troppo “brutta”, di forma o dimensioni sbagliate secondo gli standard di consumatori e supermercati.

È quanto emerge dallo Studio “Avoidable food losses and associated production-phase greenhouse gas emissions arising from application of cosmetic standards to fresh fruit and vegetables in Europe and the UK“, condotto dall’Università di Edimburgo che sarà pubblicato sul numero di novembre del Journal Cleaner Production, ma già disponibile on line, condotto dall’Università di Edimburgo.

L’utilizzo di canoni estetici per la classificazione e l’accettazione del cibo per la vendita e il consumo è incardinato all’interno degli standard e delle regole dell’UE. Inoltre, il settore della distribuzione alimentare è di natura oligopolistica: un piccolo numero di catene di supermercati controlla una grande quota di mercato, che impongono ulteriori criteri di “qualità”. Frutta e verdure che non soddisfano questi standard si perdono lungo la catena di approvvigionamento alimentare e non giungono mai sugli scaffali di un supermercato, non andando oltre il fornitore o addirittura non lasciando l’azienda agricola.

La perdita e lo spreco di cibo sono uno dei grandi flagelli del nostro tempo – ha commentato il Prof. David Reay della School of Geoscience dell’Università di Edimburgo e co-autore dello studio – Oltre il 10% della popolazione mondiale è cronicamente affamato, ma perdiamo o sprechiamo circa un terzo di tutto il cibo destinato al consumo umano a un certo punto della filiera alimentare”.

Dal Rapporto “Food in green light” dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) era emerso che circa 50 milioni di tonnellate di prodotti agricoli vengono scartati ogni anno in tutta Europa perché “troppo brutti per essere venduti“. Nel solo Regno Unito, secondo i ricercatori dell’Università di Edimburgo si arriva a 4,5 milioni di tonnellate.

La ricerca non punta il dito solo contro lo scandalo dello spreco del cibo, ma anche sull’impatto ambientale che ne deriva: i cambiamenti climatici correlati alla coltivazione del cibo che poi finisce sprecato è pari alle emissioni di 400.000 auto.
La produzione di alimenti rappresenta il 10-12% delle emissioni globali di gas serra, principalmente di protossido di azoto derivante dalla produzione agricola e di metano per la produzione di carne e latticini – ha osservato Reay – Da soli i rifiuti alimentari possono rappresentare fino al 16% dell’impatto ambientale del settore agroalimentare. Oltre alle sfide della sicurezza alimentare e della nutrizione a livello mondiale, la produzione di alimenti che non vengono utilizzati per nutrire la popolazione ha incorporati evitabili costi climatici per le emissioni prodotte”.

Secondo i ricercatori, gli agricoltori che hanno dei contratti con i supermercati generalmente coltivano più cibo di quello che sono obbligati a fornire, tenendo conto che una percentuale di frutta e verdure non sarà ritenuta adatta ad essere venduta. Al contempo, i consumatori sono più propensi ad acquistare qualcosa di “familiare e riconoscibile” e, a causa della scarsa conoscenza e informazione, ritengono che sia più rischioso acquistare frutta e verdure che non corrispondono a determinate caratteristiche.

Incoraggiare le persone ad essere meno schizzinose riguardo a come debba presentarsi la frutta e la verdura sprechi – ha spiegato Stephen Porter, autore principale della ricerca – potrebbe comportare una notevole riduzione degli sprechi e, al contempo, dell’impatto climatico, alleggerendo la catena di produzione e distribuzione del cibo”.

Oltre a sottolineare la necessità di una maggiore consapevolezza del problema tra i consumatori e una mobilitazione per acquisti sostenibili, i ricercatori suggeriscono anche un maggiore utilizzo di frutta e verdure “deformi”, ad esempio in prodotti trasformati o in vendita a scopo di beneficenza. 

Cambiare la mentalità dal punto di vista della sicurezza alimentare non sarà facile, ma non c’è dubbio che il sistema alimentare europeo attualmente non è sostenibile e occorre mettere in atto una politica alimentare comune, così come si è fatto per la politica agricola comune.

Eleonora Giovannini

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