Lo Studio preliminare sull’Indice di Competitività Regionale 2013 dell’UE certifica l’arretramento economico delle nostre regioni rispetto alle più agguerrite aree geografiche europee, testimoniando, di fatto, che la colpa non è solo della crisi economica, ma che anche la governance ha responsabilità non secondarie.
Se si cercavano altri indicatori per avere un quadro della situazione socio-economica del nostro Paese, la pubblicazione dello Studio preliminare “Draft EU Regional Competitiveness Index: RCI 2013“, commissionato dalla Commissione UE nell’ambito dei lavori preparatori per il VI Rapporto sulla coesione economica e sociale, offre un quadro disarmante sul quadro di competitività regionale (RCI) che è stato sviluppato per misurare le diverse dimensioni della competitività a livello regionale.
Seppure la Commissione avverta che dai suoi contenuti, di cui sono responsabili gli autori, non ne consegue alcun impegno dell’esecutivo UE e che l’edizione definitiva sarà pubblicata in autunno dopo le osservazioni prodotte entro il mese di settembre, non c’è dubbio che il valore scientifico dello Studio è fuori discussione, tant’è che i media italiani ne hanno dato risalto, enfatizzando la fuoriuscita dalle 100 top ten regionali più competitive della Lombardia, l’unica italiana che compariva nella precedente edizione del 2010 e che ora occupa solo la 128a posizione, avendo persi in 3 anni ben 41 posti. Anche se gli autori spiegano nell’introduzione che il paragone con il precedente studio è parzialmente compromesso sia dall’ingresso dal 1° luglio 2013 della Croazia (con due regioni in più) nell’attuale classifica, sia dalle variazioni di natura tecnico-amministrativa intervenute, tra il 2010 e il 2013, nella definizione della geografia regionale europea (fusioni di regioni), il salto all’indietro è stato così forte che anche l’area economicamente più forte del nostro Paese non fa più parte nell’attuale mappa della cosiddetta dorsale “blue banana” che collegava nella precedente edizione la regione della grande Londra alla Lombardia passando per il Benelux e la Baviera, e che ora non compare più nella sua forma completa in quanto lascia fuori la parte settentrionale dell’Italia.
La competitività è definita come la capacità di un’economia di mantenere elevati gli standard di vita per coloro che vi partecipano, per attrarre e mantenere imprese con quote di mercato stabili o per aumentare le attività settoriali. L’importanza del concetto di competitività è ora saldamente incorporato all’interno delle politiche economiche nell’UE e, come tale, la misura, la comprensione e l’analisi della competitività in una serie di livelli geografici è diventato un fattore fondamentale per la creazione di un dialogo consapevole che può contribuire ad un ambiente in sintonia per migliorare la performance economica delle nazioni e delle regioni d’Europa. La dimensione regionale dell’Indice di competitività riesce a cogliere elementi e situazioni che gli indicatori nazionali non sono in grado di offrire, quali la capacità di anticipare le sfide economiche e sociali interne ed esterne e di adattarvisi con successo, offrendo nuove opportunità economiche, tra cui impieghi di qualità superiore.
L’Indice di Competitività Regionale mostra i punti di forza e di debolezza di ciascuna delle NUTS 2 (“Nomenclatura delle unità territoriali statistiche” Nomenclatura delle unità territoriali statistiche livello regionale) dell’UE, e fornisce, altresì, un resoconto degli aspetti su cui ogni regione dovrebbe concentrarsi, tenendo conto della sua specifica situazione e del suo livello generale di sviluppo. I Paesi che mostrano un ampio divario o un’alta variazione di competitività regionale dovrebbero esaminare in che misura queste lacune sono deleterie per la loro competitività nazionale e se queste debolezze possono essere ridotte. Ad esempio, il divario tra la regione della capitale e la seconda regione più competitiva, in Romania, Slovacchia e Francia è molto ampia, mentre la competitività regionale in Germania non presenta grandi differenze.
“Già nell’edizione 2010, era stata osservata la mancata ripercussione di competitività attorno alle capitali di alcuni dei Paesi membri meno sviluppati – ha commentato la Commissione UE – Anche se la crisi può aver limitato il potenziale di crescita in termini di ricadute regionali, nel medio termine tali influenze dovrebbero essere rafforzate. La competitività complessiva di un Paese dipende dalla performance di tutte le sue regioni e non solo della regione attorno alla Capitale”.
L’European Regional Competitiveness Index 2013 ha tenuto conto di diversi fattori, tra cui quelli che costituiscono i “Pilastri di base”, motori di tutte le economie e importanti particolarmente per le regioni meno sviluppate: 1. Qualità delle Istituzioni; 2. Stabilità macroeconomica; 3. Infrastrutture; 4. Sanità; 5. Qualità dell’Istruzione Primaria e Secondaria.
I “Pilastri di efficienza” poggiano su: 6. Istruzione di alto livello ed Educazione permanente; 7. Efficienza del Mercato del Lavoro; 8. Tipologia del Mercato.
I “Pilastri dell’Innovazione”, determinanti per le economie regionali più avanzate, includono:
9.Evoluzione tecnologica; 10. Ricercatezza Imprenditoriale; 11. Innovazione. Questo gruppo di fattori gioca un ruolo molto importante per quelle regioni che hanno una posizione intermedia e, in particolare, per quelle con un elevato livello di sviluppo.
Sulla base di tali criteri è stata stilata la “classifica” che conferma la regione di Utrecht (Paesi Bassi) la più competitiva d’Europa, seguita dalla Grande Londra, Berkshire-Buckinghamshire-Oxfordshire (GB), Stoccolma (Svezia) e Surrey (GB). Per trovare le Regioni italiane bisogna scorrere la parte bassa dell’elenco che ne annovera 262. Infatti, dopo la Lombardia, troviamo l’Emilia Romagna (141° posto), il Lazio (143°), la Provincia Autonoma di Trento (145°), la Liguria (146°), il Piemonte (152°), La Sicilia (235°), la Calabria (233°), la Puglia (232°), la Basilicata (232), la Sardegna (222°), la Campania (217°) e il Molise (201°), hanno ottenuto risultati paragonabili a quelli raggiunti dalle zone più depresse dell’Est europeo.
Se la crisi economica ha avuto un ruolo predominante nel cancellare l’Italia dalla cartina europea della competitività, la Governance ci ha messo del suo, dimostrandosi del tutto incapace di reggere il confronto con le altre più agguerrite dell’Europa.