Energia Fonti rinnovabili

L’Italia al 1° posto nella produzione elettrica da fotovoltaico

Italia al 1 posto nella produzione elettrica da fotovoltaico

Senza la ricerca per tecnologie più efficienti non c’è possibilità di competere con la Cina.

L’Italia con 9 GW di produzione elettrica da solare fotovoltaico nel 2011 ha scalzato dal 1°posto mondiale la Germania (7,5 GW) che l’aveva occupato consecutivamente nei precedenti due anni, anche se si deve osservare, che il dato del nostro Paese è comprensivo dei 3,5 GW prodotti dagli impianti del cosiddetto Decreto “Salva Alcoa” connessi alla rete entro il 30 giugno 2011, ma che hanno beneficiato degli incentivi del 2010.

Tuttavia, anche con gli incentivi più restrittivi del IV Conto energia, in vigore dal 1° giugno 2011, il settore ha connesso in 7 mesi 4 GW, dimostrando una notevole vitalità.

Questi dati emergono dal “Market Report 2011” dell’EPIA, l’Associazione dell’Industria Fotovoltaica Europea, pubblicato il 24 gennaio 2012, dove si evidenzia pure che il 75% della nuova capacità globale è derivata dai Paesi europei. Dopo Italia e Germania che assieme hanno contribuito al 60% della nuova capacità aggiunta, si collocano rispettivamente, ma con potenze nettamente inferiori, Cina (2 GW), Stati Uniti (1,6 GW) e Giappone (1 GW); il dato della Francia (1,5 GW) non è rispondente (nel 2011 ha prodotto solo il 10% di tale potenza) in quanto trattasi di impianti commissionati nel 2010, prima cioè che venissero tagliati gli incentivi, azzerando quelle per gli impianti collocati a terra.

“L’industria fotovoltaica è ad una svolta – ha dichiarato il Presidente EPIA Ingmar Wilhelm – Mentre i mercati europei finora hanno sempre superato le produzioni nazionali, in futuro probabilmente non sarà più così. I nuovi mercati globali dovranno trainare lo sviluppo del fotovoltaico nel prossimo decennio, come ha fatto l’Europa nel decennio passato”.
Per avere il dato ufficiale della produzione fotovoltaica italiana bisognerà attendere i dati ufficiali del GSE, ma anche un altro Rapporto, “Market Brief”, condotto da IHS iSuppli, Società statunitense di consulenza alle imprese in vari settori, compreso quello energetico, conferma il sorpasso del nostro Paese sulla Germania.
“Spinta dal residenziale e dagli investitori istituzionali che hanno supportato sia le iniziative green che gli investimenti sulla sostenibilità, la Germania dal 2009 era divenuta il Paese leader mondiale per le installazioni fotovoltaiche – ha osservato Henning Wicht, Direttore della Ricerca – Comunque, a fronte di uno stallo nel 1° semestre del 2011, il mercato si è ripreso nel 2°, ma in modo insufficiente a recuperare il dato complessivo annuale. Mentre gli incentivi statali italiani si sono dimostrati attraenti, sostenendo una massiccia crescita delle nuove installazioni solari che hanno permesso all’Italia di conquistare il primato mondiale”.

Mentre la domanda del fotovoltaico in Europa è in aumento, i produttori europei stanno avendo difficoltà ad adeguarsi alle dinamiche di mercato, occupato prevalentemente da colossi cinesi e asiatici del settore: è quanto emerge dall’ultimo “Solar Supply Tracker”, condotto dalla Lux Research, Società indipendente di ricerca che fornisce consulenza strategica sulle tecnologie emergenti. Le prime 10 aziende, che assieme detengono il 44% della produzione globale, sono prevalentemente asiatiche (tra le non asiatiche solo la statunitense First Solar che riesce a mantenere il primato e la Canadian Solar), con le cinesi Suntech, Yingli e Trina su tutte, e la taiwanese Neo Solar Power ultima entrata nelle top ten, con il 3%.

Nel manifatturiero l’Europa non riesce a tener il passo, dimostrandosi debole e vulnerabile, tanto che i moduli europei hanno raggiunto nel 2011 un record negativo di vendite, si legge nel Report, bruciando gli inventari, con prezzi di acquisto insostenibili di 1 dollaro a Watt.
“La quota asiatica di celle fotovoltaiche continuerà a crescere ad oltre il 50% della produzione mondiale, con successivi rischi di controversie commerciali e di guerra spietata dei costi – ha affermato Fatima Toor, analista di Lux Research e principale autrice del Rapporto – La produzione di silicio policristallino si è spostata in Asia nell’ultimo trimestre, dove aveva già virato dalla fine del 2010 la produzione impiantistica”.
La “guerra del solare” è formalmente scoppiata il 19 ottobre 2011, anche se covava da tempo come avevamo anticipato (cfr: “China VS USA: la battaglia per l’energia pulita”, in Regioni&Ambiente, n. 11 novembre 2010, pagg. 10-11), quando la filiale americana della tedesca Solarworld, sostenuta dalla CASM (Coalition for American Solar Manufacturing), ha presentato una petizione al Dipartimento del Commercio (DOC) – International Trade Commission (ITC) degli USA per chiedere l’introduzione di dazi sull’importazione di moduli e celle cinesi le cui aziende produttrici che sono accusate di praticare dumping, grazie ai sussidi e alle sovvenzioni statali “senza precedenti”, inondando così il mercato statunitense di pannelli solari a prezzi non sostenibili dalle aziende locali, delle quali ben 7 sono state costrette a chiudere nell’ultimo anno.
Il Governo cinese ha subito risposto mettendo in guardia gli USA dal prendere misure protezionistiche.

Secondo gli analisti di HSBC, uno dei più grandi gruppi bancari mondiali, che hanno presentato una ricerca il 5 gennaio 2012, questo conflitto commerciale che si inserisce nella più ampia guerra tra USA e Cina per la supremazia energetica, costituisce, assieme alle incertezze politiche legate alle elezioni in molti Paesi chiave, un rischio per lo sviluppo della green economy nel corso del 2012 e una di “quelle controversie, importanti non solo per il relativo contenzioso, ma perché ne deriva il tono politico per la Conferenza UNFCCC in Qatar alla fine dell’anno”.
Che lo scontro non sia una scaramuccia e coinvolga in qualche modo la politica a livelli più alti (non è casuale che la petizione al DOC-ITC costituisce motivo di acceso dibattito tra i contendenti repubblicani alla corsa per la Casa Bianca) è evidente, come è altrettanto chiaro che anche l’Italia, oltre all’Europa intera, è sul campo di battaglia.

L’introduzione del premio del 10% sugli incentivi, introdotto con il IV Conto energia, per gli impianti che abbiano una componente made in Europe, oltre a costituire una norma “protezionistica” si è rivelata subito facilmente aggirabile, tant’è che il Comitato Industrie Fotovoltaiche Italiane (IFI) ha chiesto di rivederne la disciplina. “A fronte di un mercato europeo che ha assorbito una capacità produttiva di 14,3 GW – si leggeva in una nota stampa diffusa il 20 ottobre 2011- le industrie europee sono state in grado di produrre solo 2,6 GW, nonostante il potenziale produttivo sia di 7,5 GW. E questo perché il mercato europeo ha assorbito una gran parte della produzione cinese, stimata in una quota dell’82%”.
“Chiediamo che sia introdotta una legislazione anti dumping che fissi una tassazione alle importazioni nel caso non siano soddisfatti gli standard di produzione e qualità italiani o europei”, ha dichiarato il Presidente del Comitato IFI, Filippo Levati, ricordando la competenza e l’esperienza di un Paese come il nostro che può essere a pieno titolo un punto di riferimento in Europa per il solare.

Levati è intervenuto una settimana dopo per commentare le dichiarazioni, rese durante un’audizione al Senato, dell’Amministratore delegato ENEL, Fulvio Conti che aveva affermato che “Gli incentivi al fotovoltaico costituiscono degli oneri crescenti e insostenibili a vantaggio di una tecnologia non italiana, ma prevalentemente cinese”.
Il Presidente del Comitato IFI, dichiarandosi d’accordo che sia stata posta finalmente la questione di una corretta distribuzione dell’investimento in incentivi, si rammaricava, però, che finora ENEL non avesse fatto passi significativi nella scelta degli approvvigionamenti e dei materiali prodotti in Italia per le proprie installazioni fotovoltaiche, augurandosi che “questa dichiarazione sia un segno di cambiamento della politica di ENEL”.

Parlando il 24 gennaio 2012 ad un Convegno sulla Mobilità, organizzato da Asso Energie future e dall’Assessorato alla Mobilità e Ambiente del Comune di Milano, il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini, in merito alla possibilità di incentivare l’e.Mobility in Italia, ha messo in guardia circa i relativi pericoli e gli errori da evitare: “Bisogna fare in modo che non succeda quello che è successo con il fotovoltaico. Siamo diventati importatori di pannelli fotovoltaici, piuttosto che cogliere l’occasione degli incentivi per stimolare la produzione nazionale”.
Due giorni dopo, nel corso di un’Audizione alla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati in merito alle politiche per lo sviluppo delle energie rinnovabili, ha rincarato la dose, affermando che “Con un costo dei pannelli fotovoltaici attualmente inferiore del 75% rispetto al 2004, il sistema incentivante, (soprattutto per i grandi impianti), è diventato ‘generoso’, garantendo ai produttori un rendimento ‘non sano’ intorno al 20%, mentre normalmente altri tipi di investimento rendono il 7-8%”.
Ovviamente, nelle parole del Ministero c’è il riferimento al D.L. “Liberalizzazioni”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 21 gennaio 2012, dove è stato inserito all’art. 65, su proposta del Ministro delle Politiche Agricole, il divieto di accedere agli incentivi per gli impianti realizzati su terreni agricoli, che sta già alimentando aspre polemiche per i danni che provocherebbe alle imprese del fotovoltaico, che lamentano rischi per gli investimenti in corso.

C’è da osservare, però, che il boom di progetti a terra presentati al GSE rischia di compromettere lo sviluppo futuro delle rinnovabili.
Lo stesso Clini nel corso di un suo precedente Convegno a Padova, dove 7 importanti realtà del distretto per il crollo dei prezzi di celle e moduli hanno dovuto ricorrere alla cassa integrazione per 1.250 lavoratori ed altri 5.000 rischiano il posto nei prossimi mesi, ha colto nel segno, affermando che occorre puntare molto sulla ricerca e la produzione di tecnologie FV più efficienti: “L’utopia sarebbe quella di catturare l’88% di energia che non viene attualmente utilizzata, riducendo contestualmente le dimensioni degli impianti”.

In Francia il taglio al fotovoltaico a terra era intervenuto dopo la pubblicazione il 3 settembre 2010 del “Rapporto Charpin”, commissionato dal Ministero dell’Economia, Industria e Lavoro e da quello del Bilancio, Conti Pubblici e Riforma dello Stato, che aveva messo in luce come, nonostante gli incentivi per lo sviluppo del mercato, l’industria fotovoltaica francese non fosse decollata. La filiera, secondo il Rapporto, era rimasta bloccata su tecnologie poco efficienti (il silicio cristallino assorbiva l’85% del mercato), a causa della concorrenza della Cina, dove i prezzi sono più bassi ed enorme è la capacità di produzione.
Con una produzione industriale così poco sviluppata che aveva provocato solo nel 2009 un deficit alla bilancia commerciale di 800 milioni di euro, il Rapporto invitava il Governo a dirottare gli incentivi su tecnologie a più alta efficienza ed innovazione, offrendo la prospettiva di uno sviluppo industriale a breve e, soprattutto, la possibilità di veder emergere un attore nazionale nel medio termine.

Articoli simili

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da questo sito web.