Atteso da 12 anni è in vigore il Regolamento che impone l’etichettatura per la distinzione del pane fresco da quello che tale non è e che ora deve anche essere esposto in spazi appositamente riservati.
È in vigore il Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo e il Ministro della Salute, “Regolamento recante disciplina della denominazione di «panificio», di «pane fresco» e dell’adozione della dicitura «pane conservato»”.
Tale Decreto, previsto dall’Art.4 (Disposizioni urgenti per la liberalizzazione dell’attività di produzione di pane) della Legge 4 agosto 2006, avrebbe dovuto essere emanato “entro 12 mesi dall’entrata in vigore della Legge” !
Non ci sono sostanziali novità sulle denominazioni rispetto a quanto non fosse già previsto nella Legge stessa del 2006, ma finalmente il consumatore potrà acquistare pane realmente fresco e non semplicemente “caldo” spacciato per appena fatto.
Rimane tuttavia il “problema di prevedere anche per il pane l’etichettatura obbligatoria dell’origine delle farine utilizzate – ha osservato Coldiretti – Infatti, solo una etichettatura trasparente può consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli e alle imprese di far emergere il valore distintivo dei prodotti agricoli”.
Il testo del DM prevede che per “panificio” si intenda l’impresa che dispone di impianti di produzione di pane ed eventualmente altri prodotti da forno e assimilati o affini e svolge l’intero ciclo di produzione dalla lavorazione delle materie prime alla cottura finale.
Per “pane fresco” si precisa che è tale il pane preparato secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento o surgelazione, ad eccezione del rallentamento del processo di lievitazione, privo di additivi conservanti e di altri trattamenti aventi effetto conservante. Viene ritenuto continuo il processo di produzione per il quale non intercorra un intervallo di tempo superiore alle 72 ore dall’inizio della lavorazione fino al momento della messa in vendita del prodotto.
La dicitura “pane conservato o a durabilità prolungata” viene applicata al pane non preimballato ai sensi dell’articolo 44 del Regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, per il quale viene utilizzato, durante la sua preparazione o nell’arco del processo produttivo, un metodo di conservazione ulteriore rispetto ai metodi sottoposti agli obblighi informativi previsti dalla normativa nazionale e dell’Unione europea.
Quello del pane precotto che viene solo completato nella cottura sul punto vendita è il caso più diffuso, che ora deve essere esposto in scomparti appositamente riservati e deve avere la dicitura aggiuntiva che ne evidenzi il metodo di conservazione e di consumo utilizzato, secondo le disposizioni dell’Allegato VI, parte A, punto 1, del regolamento (UE) n. 1169/2011 (“La denominazione dell’alimento comprende o è accompagnata da un’indicazione dello stato fisico nel quale si trova il prodotto o dello specifico trattamento che esso ha subito (ad esempio «in polvere», «ricongelato», «liofilizzato», «surgelato», «concentrato», «affumicato»), nel caso in cui l’omissione di tale informazione potrebbe indurre in errore l’acquirente”).
Come hanno messo in evidenza anche inchieste televisive negli ultimi anni, l’importazione di pane precotto e congelato proveniente soprattutto dall’est Europa è aumentata con un fatturato passato da quattro a otto milioni di euro l’anno.
Se si vuole arrestare la tendenza, oltre ad attività di informazione per fare acquisire al consumatore la consapevolezza del prodotto acquistato, servono controlli per tutelarlo, anche a livello di polizia comunale.