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Secondo l’OCSE: l’Oceano è la nuova frontiera economica

OCSE Oceano nuova frontiera economica

Presentato all’ “Ocean Meeting” di Lisbona (2-3 giugno 2016) il Rapporto “The Ocean Economy in 2030” che analizza le prospettive di crescita per l’economia oceanica, la sua capacità, la creazione di occupazione, l’innovazione, e il suo ruolo nell’affrontare le sfide globali del futuro.

Durante l’International Conference che ha fatto seguito all’Incontro Internazionale dei Ministri del Mare, nell’ambito dell’annuale “Ocean Meeting” che si è svolto a Lisbona (2-3 giugno 2016), l’OCSE ha presentato per la sezione Ocean Science and Innovation il Rapporto “The Ocean Economy in 2030“, che analizza le prospettive di crescita per l’economia oceanica, la sua capacità, la creazione di occupazione e l’innovazione, e il suo ruolo nell’affrontare le sfide globali del futuro.

Per molti, l’oceano è la nuova frontiera economica. Esso rappresenta la promessa di un immenso patrimonio di risorse e di un grande potenziale volto a stimolare la crescita economica, l’occupazione e l’innovazione. L’oceano è considerato come indispensabile per fronteggiare gran parte delle sfide globali cui il pianeta dovrà misurarsi nei prossimi decenni, dalla sicurezza alimentare mondiale e dai cambiamenti climatici, all’approvvigionamento di risorse energetiche, naturali e alla fornitura di una migliore assistenza medica. Sebbene il potenziale delle risorse marine ed oceaniche per fronteggiare queste sfide sia grande, esso è già messo in pericolo da uno sfruttamento eccessivo di tali risorse, dall’inquinamento, dalla diminuzione della biodiversità e dal global warming. Di conseguenza, il pieno compimento del potenziale degli oceani richiederà approcci responsabili e sostenibili nei confronti del suo sviluppo economico.

L’Assemblea delle Nazioni Unite ha definito nello scorso settembre l’Agenda al 2030 che prevede il conseguimento di 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS), tra cui quello di “Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per lo sviluppo sostenibile” (OSS 14).
Come ha ricordato il Segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon nel suo messaggio inviato per l’Ocean Meeting, “Gli oceani sono i driver dello sviluppo sostenibile, della sicurezza alimentare e dei mezzi di sussistenza. Ma con gli oceani sotto forte pressione, la comunità internazionale deve adottare misure più efficaci per salvaguardare la loro salute e resilienza“. Quest’anno la “Giornata Mondiale degli Oceani” che si celebra come di consueto l’8 giugno ha come tema “Oceani sani, Pianeta sano” (Healthy Oceans, Healthy Planet), con un’attenzione particolare per fermare l’inquinamento delle plastiche (sono 8 milioni le tonnellate che ogni anno finiscono in mare!), considerata una delle minacce più gravi per gli ecosistemi marini, ma anche per la salute umana.

L’economia degli oceani, infatti, non comprende solo le industrie marittime (come i trasporti, la pesca, la produzione offshore di energia eolica, la biotecnologia marina), ma anche la fornitura di beni naturali e servizi ecosistemici (risorse ittiche, rotte di navigazione e trasporto marittimo, assorbimento dell’anidride carbonica e analoghe risorse). Poiché le due dimensioni sono inscindibili, il Rapporto dell’OCSE verte su molti aspetti dei servizi ecosistemici e della gestione basata sugli ecosistemi, concentrandosi allo stesso tempo sulla dimensione oceano‑industria.

La dimensione globale dell’economia degli oceani, misurata in termini di contributo delle industrie marittime e oceaniche all’output economico e all’occupazione, è significativa. I calcoli preliminari eseguiti secondo i dati OECD’s Ocean Economy Database, stimano che nel 2010, il prodotto economico dell’oceano sia stato pari a 1,5 miliardi di dollari statunitensi, ossia circa il 2,5% del PIL mondiale. L’estrazione di petrolio e di gas offshore rappresenta un terzo del valore aggiunto totale delle industrie marittime e oceaniche, seguiti dal turismo marittimo e costiero, dagli equipaggiamenti marittimi e dalle infrastrutture portuarie. Nel 2010, l’occupazione diretta a tempo pieno in questo settore dell’economia, si attestava a circa 31 milioni di posti di lavoro, principalmente tra le pescherie industriali, che superavano un terzo del totale dei posti di lavoro e nel turismo marittimo e costiero con quasi un quarto dei posti di lavoro.

L’attività economica basata sugli oceani è in rapida espansione, trainata essenzialmente dagli sviluppi della popolazione mondiale, dalla crescita economica, dagli scambi commerciali e dai migliori livelli di reddito, da clima e ambiente e dalla tecnologia. Tuttavia, afferma l’OCSE, un notevole freno allo sviluppo di tale economia è il deterioramento attuale della salute degli stessi oceani. Poiché le emissioni antropiche di carbonio sono aumentate nel tempo, gli oceani hanno assorbito molto carbonio, che ne ha determinato l’acidificazione. Inoltre, le temperature e i livelli del mare stanno aumentando e le correnti oceaniche si stanno modificando, provocando una perdita della biodiversità e dell’habitat naturale, cambiamenti nella composizione degli stock ittici e nei modelli di migrazione e una maggiore frequenza di eventi meteorologici violenti. Le prospettive per lo sviluppo futuro delle risorse oceaniche sono ulteriormente compromesse dalla pesca eccessiva e dall’esaurimento degli stock ittici in molte parti del mondo, così come dall’inquinamento terrestre, in particolare dagli scarichi delle acque reflue dell’agricoltura, dai prodotti chimici, e da micro e macro‑particelle di plastica inquinanti, provenienti dai corsi d’acqua terrestri, che si riversano negli oceani.

Guardando al 2030, molte industrie legate alle risorse oceaniche hanno il potenziale per superare i livelli di crescita dell’economia globale nel suo complesso, sia in termini di valore aggiunto che di occupazione. Le proiezioni indicano che tra il 2010 e il 2030 in uno scenario “conservativo” (business‑as‑usual) l’economia blu potrebbe più che raddoppiare il suo contributo al valore aggiunto globale, superando i 3 miliardi di dollari. Una crescita particolarmente forte è prevista nell’acquacoltura marina, nella produzione eolica offshore, nella lavorazione del pesce, nella cantieristica navale. Le industrie in questione sono anche potenzialmente in grado di fornire un importante contributo alla crescita dell’occupazione. Nel 2030, si prevede che saranno circa 40 milioni i posti di lavoro equivalenti a tempo pieno, in uno scenario conservativo. La crescita più rapida nell’occupazione dovrebbe riguardare la produzione di energia eolica offshore, l’acquacoltura marina, la lavorazione del pesce e le attività portuali.

Nei prossimi decenni, i progressi scientifici e tecnologici sono destinati a svolgere un ruolo cruciale sia per affrontare le già menzionate numerose sfide ambientali, collegate all’ecosistema marino e oceanico, sia nel successivo sviluppo delle relative attività economiche. Le innovazioni nei materiali avanzati, l’ingegneria e la tecnologia sottomarina, i sensori e la rappresentazione di immagini, le tecnologie satellitari, l’informatizzazione e le capacità analitiche basate sui big data, i sistemi autonomi, la biotecnologia e la nanotecnologia – ogni settore dell’economia legata agli oceani – sarà influenzato da questi progressi tecnologici.

In un ambito di rapidi cambiamenti, per la regolamentazione e la governance non sarà facile restare al passo. Il mondo è sempre più multi‑polare e sta attraversando un periodo di crescenti difficoltà per costruire un consenso internazionale sulle questioni globali e regionali, fondamentali per l’ambiente e le industrie che operano in questo ambito. Almeno per il prossimo futuro, si prevede che la regolamentazione delle attività in questione continui ad essere guidata principalmente dalle politiche settoriali, mentre gli sforzi saranno finalizzati ad integrare le industrie emergenti nell’economia degli oceani nell’ambito degli attuali, frammentati quadri regolamentari.

La futura crescita delle industrie marittime e oceaniche per raggiungere la scala suggerita dal Rapporto, evidenzia la possibilità di pressioni crescenti su risorse e spazi oceanici, già sottoposti a condizioni di notevole stress, anche nelle zone di esclusione economica (ZEE) dove si svolge la maggior parte delle attività. Finora l’incapacità di gestire tali pressioni in modo efficace e tempestivo è stata attribuita in gran parte alla gestione storicamente settoriale delle attività marine, settore per settore. Per rispondere alle maggiori pressioni, negli ultimi anni si è assistito a un aumento significativo del numero di Paesi e di regioni che stanno istituendo quadri di riferimento strategici per una migliore gestione degli oceani all’interno delle proprie zone di esclusione economica (ZEE). Tuttavia, molti ostacoli si frappongono a una gestione integrata, più efficace dell’oceano, che dovrà essere affrontata in un prossimo futuro.

Per incoraggiare le prospettive di sviluppo di lungo termine delle industrie emergenti, legate agli oceani e il loro contributo alla crescita e all’occupazione, gestendo nello stesso tempo lo sfruttamento delle relative risorse in modo responsabile e sostenibile, Il Rapporto presenta un certo numero di raccomandazioni per rafforzare lo sviluppo sostenibile dell’economia blu, degli oceani. Tra le diverse azioni considerate, occorre realizzare analisi e studi comparativi del ruolo dell’azione governativa in materia di cluster marittimi in tutto il mondo, che saranno in particolare destinati a essere esaminati in base alla loro efficacia a stimolare e sostenere le innovazioni tecnologiche intersettoriali nel campo marittimo, creando reti di scambio d’idee ed esperienze per istituire centri di eccellenza, incubatori delle innovazioni e altre infrastrutture dedite all’innovazione, nel campo delle tecnologie marittime intersettoriali, e a migliorare la condivisione della tecnologia e dell’innovazione tra i Paesi a diversi livelli di sviluppo.

In particolare, secondo l’OCSE, deve essere rafforzata la gestione integrata degli oceani, che dovrebbe comportare un maggior uso dell’analisi economica e degli strumenti dell’economia, creando, per esempio piattaforme internazionali per lo scambio di conoscenze, esperienze e delle cosiddette best practices e aumentando gli sforzi volti alla valutazione dell’efficacia economica degli investimenti pubblici nel settore della ricerca e dell’osservazione marina. Dovrebbe essere, altresì, promossa l’innovazione nelle strutture di governance, nelle procedure e nel coinvolgimento delle parti interessate, per far sì che la gestione integrata dell’oceano sia più efficace, più efficiente e più inclusiva.

Inoltre, deve essere migliorata la base statistica e metodologica a livello nazionale e internazionale per misurare la dimensione e la performance delle industrie marittime oceaniche e il loro contributo all’insieme dell’economia e per aumentare la capacità previsionale in materia di economia degli oceani, e in particolare la valutazione dei futuri cambiamenti nelle industrie marittime ed oceaniche e l’ulteriore sviluppo delle attuali capacità dell’OCSE, volte a costruire modelli relativi ai futuri trend dell’economia degli oceani su scala globale.

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