Uno Studio condotto dall’Università canadese di Toronto che ha esaminato un totale di oltre 375.600 casi confermati di Covid-19 in 144 aree geopolitiche, mostra che non c’è correlazione tra minor diffusione del nuovo coronavirus e fattori quali temperatura e latitudine.
La teoria fatta propria dall’Amministrazione Trump lo scorso aprile per supportare l’allentamento delle misure di lockdown, secondo cui le elevate temperature estive, in associazione all’esposizione ai raggi ultravioletti (UV) sarebbero in grado di annientare il nuovo coronavirus in pochi minuti, non avrebbe alcuna base scientifica.
Lo Studio “Impact of climate and public health interventions on the COVID-19 pandemic: A prospective cohort study”, pubblicato l’8 maggio 2020 sul Canadian Medical Association Journal (CMAJ) e condotto da ricercatori dell’Università di Toronto ( Ontario) ha evidenziato, infatti, che il caldo non fermerà la pandemia di Covid-19 perché il nuovo coronavirus non risente di fattori come temperatura e latitudine.
“L’estate non lo farà andare via, è importante che la gente lo sappia – ha sottolineato la Prof.ssa Dionne Gesink, epidemiologa all’Università di Toronto e co-autrice dello Studio – Peraltro, più tempo durano le misure di sanità pubblica, maggiore è l’impatto sul rallentamento dell’epidemia. Questi interventi sono davvero importanti, perché sono l’unica cosa che funziona davvero al momento per la diffusione dell’epidemia”.
Per lo Studio i ricercatori hanno esaminato un totale di oltre 375.600 casi confermati di Covid-19, intervenuti tra il 20 e 27 marzo 2020 su 144 aree geopolitiche – Stati e province di Australia, Stati Uniti e Canada, nonché di vari Paesi di tutto il mondo. Cina, Italia, Iran e Corea del Sud sono state esclusi perché il virus era o in declino, come nel caso della Cina, o in piena epidemia al momento dell’analisi negli altri.
Inoltre, hanno valutato l’influenza della latitudine, temperatura, umidità, chiusura delle scuole, distanziamento sociale e divieto di assembramenti durante il periodo di esposizione al virus tra il 7 e il 13 marzo.
“Avevamo condotto uno studio preliminare che suggeriva che sia la latitudine che la temperatura potevano svolgere un ruolo – ha dichiarato il Professor Peter Jüni dell’Institute for Health Policy, Management and Assessment della Università di Toronto e Direttore del Centro di ricerca sulla salute applicata (AHRC) presso il locale St Michael’s Hospital, nonché principale autore della ricerca – ma quando abbiamo ripetuto lo studio usando condizioni più rigorose, abbiamo ottenuto il risultato opposto”.
L’unico debole rallentamento della virulenza è stato trovato nell’aumento dell’umidità, mentre le misure imposte dalle autorità sanitarie si sono dimostrate assai efficaci.
Gli autori non nascondono che il loro Studio ha diversi limiti, tra cui le differenti pratiche dei test, l’impossibilità di stimare i tassi effettivi di COVID-19, e il rispetto del distanziamento sociale, tuttavia osservano che nel decidere come revocare le restrizioni, i Governi e le Autorità sanitarie pubbliche dovrebbero valutare attentamente l’impatto di queste misure rispetto a potenziali danni e benefici per la salute mentale ed economica.
Immagine di copertina: Raphael Biscaldi/Unsplash