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Infrastrutture idriche: gli investimenti pubblici non bastano

infrastrutture idriche

Sono 5.812 gli interventi nel settore idrico finanziati con risorse pubbliche, per un importo totale di 11,85 miliardi di euro:
– 4.039 interventi (70%) risultano conclusi, per un valore di 5,6 miliardi di euro;
– gli interventi avviati e non ancora conclusi sono 885 per un valore totale finanziato pari a 2,9 miliardi di euro;
– gli interventi non avviati risultano 888 e ammontano a un valore totale finanziato pari a 3,2 miliardi di euro.

È quanto contenuto in estrema sintesi nel Dossier “Sviluppo delle infrastrutture idriche. Investimenti pubblici nel servizio idrico integrato”, presentato dalla Struttura di Missione #italiasicura contro il dissesto Idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, voluta dal Governo, e che fotografa la situazione della spesa di risorse pubbliche per la gestione dell’acqua e le prospettive di questo settore.

Per elaborare il Dossier sono stati analizzati:
– lo stato di attuazione delle disposizioni del D. Lgs. 152/06 sulla governance del servizio idrico integrato;
– le necessità infrastrutturali nelle diverse aree del Paese;
– la distribuzione delle risorse a livello nazionale anche sulla base dei diversi livelli tariffari e del margine di crescita possibile in linea con la regolazione nazionale del settore;
– lo stato di attuazione degli interventi già finanziati con risorse pubbliche e i tempi di attuazione degli stessi.

Il quadro che emerge dall’analisi presentata non è confortante – ha esordito Mauro Grassi, Responsabile di #italiasicura – L’analisi dei tempi di attuazione, condotta ovviamente sugli interventi conclusi, mostra come mediamente siano necessari 5 anni e 6 mesi per realizzare un investimento pubblico nel settore idrico, ai quali si aggiungono altri anni, oltre 3, per le lungaggini burocratiche legate all’iter per il finanziamento, da quando si decide di finanziare l’opera a quando inizia la progettazione. Ovviamente il trend delle risorse che lo stato investirà per il settore idrico è decrescente ed è per questo fondamentale che si avvii un percorso condiviso fra operatori del settore, amministratori e soprattutto i cittadini che punti a riavvicinare le tariffe dell’acqua che paghiamo in Italia a quelle che gli altri cittadini dell’Unione pagano in Europa. Per poter così rilanciare il livello di investimenti necessari a fare un salto di qualità all’industria dell’acqua pubblica in Italia. Qualità che vuol dire qualità, quantità e regolarità dell’acqua, depurazione efficace, minor spreco della risorsa e capacità e tempestività nel ripristinare rotture e criticità del sistema infrastrutturale. Anche per evitare, come è successo recentemente a Messina, che la popolazione se ne stia 15 giorni senza acqua in attesa di una soluzione tecnica temporanea. E il basso livello degli investimenti in italia è palese: a fronte di una spesa media per investimenti per abitante di circa 80 euro l’anno  in Europa, in Italia si investono appena 35 euro per abitante“.

Le risorse pubbliche che saranno
disponibili per il settore idrico a valere sulla nuova
programmazione 2014-2020, tuttora in fase di definizione, ammontano a complessivi 2,367 miliardi di euro, in diminuzione rispetto alla precedente
programmazione e saranno allocate quasi esclusivamente nel
Mezzogiorno. Nella nuova programmazione 2014-2020 saranno presumibilmente
finanziati meno di 2,5 miliardi di euro contro i quasi 5 miliardi della
programmazione 2007-2013.
In particolare si stima una disponibilità di 1,85 miliardi di euro a
valere soprattutto sul Fondo di Sviluppo e Coesione (FSC) e sui Fondi Strutturali Europei (FSE) che saranno
destinati per l’80% al Sud. Per quanto riguarda la programmazione delle risorse europee, l’Accordo di Partenariato 
ha previsto 517 milioni per il miglioramento del
Servizio idrico integrato (Sii), sia per usi civili che per la riduzione delle
perdite di rete di acquedotto. Tali risorse saranno allocate
attraverso i Piani Operativi Regionali (POR) in Sicilia, Calabria, Campania, Basilicata e Puglia (Regioni Meno Sviluppate) e nella regione Sardegna (Regione in Transizione).

La diminuzione delle risorse pubbliche rese disponibili per il
settore risulta in linea con il principio di individuare le
risorse necessarie a soddisfare i fabbisogni espressi nei Piani
d’Ambito attraverso l’incremento graduale delle tariffe del Sii 
fino ad un completo azzeramento del contributo pubblico.
Accanto ai due strumenti fondamentali, cioè la tariffa e le risorse pubbliche, che sono complementari, sarebbe opportuno il ricorso alle obbligazioni, cioè al risparmio diffuso – ha indicato il Presidente dell’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas ed il Sistema Idrico (AEEGSI), Guido Bortoni, parlando di “project bond o hydrobond”, che sono ancora strumenti  ‘abbozzati’ – Per il periodo 2014-2017 gli interventi da finanziare con la tariffa sono pari a 5,5 miliardi e la regolazione tariffaria per il 2014-2015 e per il 2016-2019 ha dato enfasi al rilancio degli investimenti”.

Il tema delle risorse da sbloccare si correla a quello delle procedure di infrazione avviate dalla Commissione UE, dal momento che molte risorse stanziate negli anni 2011-2012 non possono essere de-finanziate perché legate principalmente alla necessità di risolvere le contestazioni per il mancato adempimento degli obblighi da parte dell’Italia dell’Art. 3 (sistemi fognari), 4 e 5 (sistemi di trattamento secondario e sistemi di trattamento più spinti del secondario per aree sensibili) e dell’Art. 10 (trattamento non sufficiente del carico) della Direttiva 91/271/CEE.

In Italia la situazione del settore idrico è più vicina a quella del Terzo mondo piuttosto che a quella dei Paesi del Nord Europa – ha osservato Giovanni Valotti, Presidente di Utilitalia, l’Associazione di oltre 500 aziende dell’acqua, energia e ambiente – Abbiamo un deficit del 30% negli impianti di depurazione che scaricano direttamente nei fiumi e nei laghi; le perdite idriche si attestano intorno a una media del 37%, con punte del 55% ad esempio in Sardegna e del 47% nel Lazio”.

Secondo Valotti , occorre superare la posizione ideologica sull’acqua “che è il bene pubblico per eccellenza e va rispettato” e “l’unico modo per salvaguardarlo è mettere in campo soggetti industriali efficienti” per cui serve un “riassetto industriale del settore che premi le aziende efficienti e allontani quelle inefficienti, indipendentemente dalla composizione societaria pubblica o privata”.

Un percorso che sembra essere condiviso anche dal Responsabile di #italiasicura.
Oltre alla riorganizzazione della governance del settore – ha concluso Grassi – il percorso include la necessità di affidare il servizio a gestori industriali capaci di garantire qualità del servizio ed economie di scala nel rispetto dell’importanza della risorsa acqua”: con buona pace della volontà popolare che con il referendum del 2011 si era espressa a favore della ripubblicizzazione dell’acqua!

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