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La dieta mediterranea: presidio per la salute, il suolo e l’ambiente

Dieta mediterranea presidio per salute suolo e ambiente

Uno studio sugli effetti ambientali della produzione e consumo di alimenti premia, anche dal punto della sostenibilità, la millenaria sapienza “distillata” nella dieta mediterranea.

Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Foods (Total Environmental Impact of Three Main Dietary Patterns in Relation to the Content of Animal and Plant Food), l’impatto ambientale di una dieta è legato soprattutto al consumo di cibi animali e questo è vero da ogni punto di vista: cambiamenti climaticiconsumo di energia, di acqua, di suolo, smaltimento delle deiezioni, deforestazione, uso di sostanze chimiche. Senza dimenticare le conseguenze sociali, vale a dire la possibilità di nutrire tutti gli abitanti della Terra. L’impatto ambientale è l’effetto che l’uomo produce sul pianeta legato ai processi di produzione e di consumo alimentare. Da alcuni studi effettuati, risulta che questo impatto è così suddiviso: il 3-4% dell’impatto totale è dovuto ai processi di acidificazione/eutrofizzazione. Questi impatti, normalmente correlati all’agricoltura chimico-intensiva, si verificano in maniera significativa anche nelle diete con produzione biologica. L’impatto delle deiezioni animali sull’ecosistema è paragonabile, se non maggiore, all’impatto di eventuali pesticidi e fertilizzanti chimici. Attualmente, lo smaltimento di questi liquami avviene per spargimento sul terreno, il che provoca un grave problema di inquinamento da sostanze azotate, che causa inquinamento nelle falde acquifere, nei corsi d’acqua di superficie, nonché eutrofizzazione nei mari. Circa il 5-13% è dovuto al consumo del territorio. Secondo quanto riportato dalla Commissione Europea, l’Europa è in grado di produrre abbastanza vegetali da nutrire tutti i suoi abitanti, ma non i suoi animali. Solo il 20% delle proteine destinate agli animali d’allevamento proviene dall’interno, il resto viene importato dai Paesi del Sud del mondo, impoverendoli ulteriormente, e sfruttando le loro risorse ambientali. Sei miliardi di umani, tanto onnivori quanto il cittadino medio occidentale, richiederebbero più del doppio delle terre emerse esistenti, perché sarebbe necessaria una quantità di cereali pari a più del doppio dell’attuale produzione. A questa mancanza di spazio si correla il discorso della deforestazione a fini zootecnici e il cambiamento di gestione delle foreste pluviali. Ogni anno scompaiono 17 milioni di ettari di foreste tropicali. Il 15-18% dell’impatto totale è dovuto ai danni alla respirazione da composti chimici inorganici mentre il 20-26% è dovuto al consumo dei combustibili fossili. Entrambi questi processi sono dovuti ai processi di lavorazione, produzione e trasporto degli alimenti. Rappresentano quindi la gestione dell’energia e l’inquinamento ad essa connesso e hanno un impatto ambientale complessivo pari al 35-44% del totale. Questo impatto elevato deriva principalmente dal fatto che, a differenza del cibo di origine vegetale che raggiunge quasi direttamente il consumatore, il cibo di origine animale, oltre a consumare tantissimi vegetali, deve essere sottoposto a vari trattamenti prima di essere consumabile. Dal punto di vista dell’uso di combustibile fossile, per ogni caloria di carne bovina servono 78 calorie di combustibile, per ogni caloria di latte ne servono 36, e per ogni caloria che proviene dalla soia sono necessarie solo 2 calorie di combustibile fossile. Il consumo di acqua da solo è in assoluto l’impatto maggiore e corrisponde al 41-46% dell’impatto totale. Il 70% dell’acqua utilizzata sul pianeta è consumato dalla zootecnia e dall’agricoltura (i cui prodotti servono per la maggior parte a nutrire gli animali d’allevamento), l’8% è usata nel consumo domestico, il 22% nell’industria. A titolo di esempio, il settimanale Newsweek ha calcolato che per produrre soli cinque chili di carne bovina serve tanta acqua quanta ne consuma una famiglia media in un anno. La dieta mediterranea, messa a confronto, mediante il metodo dell’impronta ecologica, con il modello di alimentazione statunitense, risulta comportare un minor uso di suolo agricolo ed una maggiore sostenibilità, implicando un guadagno in termini di ricadute sia locali (per esempio più foreste e feedback sui sistemi di partenza), sia globali (per esempio clima). In uno Studio condotto dal BCFN, è stato stimato come il 30% dell’impronta ecologica di una nazione come l’Italia sia connessa alla catena di produzione e al consumo di cibo. In sintesi, l’alimentazione ha un impatto rilevante sull’uso del territorio, oltre che sul consumo di risorse naturali. In quest’ottica, si è analizzato e stimato l’impatto ambientale delle due diete oggi prevalenti nel mondo occidentale: la dieta nordamericana e quella mediterranea. La prima, che qualifica con forza il modello alimentare degli USA, è caratterizzata da un consumo prevalente di carne e di dolci e alimenti con alte concentrazioni di zuccheri e grassi, quindi ad alto contenuto calorico. La dieta mediterranea, invece, che qualifica con forza il modello alimentare presente in Italia e in alcuni Paesi dell’area del Mediterraneo, si distingue per un maggiore consumo di carboidrati, frutta e verdura. Il vantaggio nell’adottare una dieta mediterranea si conferma anche sul versante economico; infatti, utilizzando i dati Istat, è stato calcolato il costo di entrambi i possibili menu: quello “mediterraneo” comporta una spesa giornaliera di circa 4 euro, mentre quello riconducibile allo “stile americano”, ha un costo di circa 6 euro.

di Prof. Alessandro Miani
Presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA – ONLUS)

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