Territorio e paesaggio

Istat: preoccupazioni e comportamenti degli italiani in campo ambientale

Istat preoccupazioni e comportamenti Italiani in campo ambientale

Alla vigilia di natale 2015, l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) ha pubblicato il Rapporto “Popolazione e ambiente: preoccupazioni e comportamenti dei cittadini in campo ambientale” riferito all’anno 2014, da cui emerge che le maggiori preoccupazioni relative all’ambiente degli italiani, secondo il campione preso a riferimento, sono rivolte soprattutto verso l’inquinamento atmosferico (indicato dal 50% dei rispondenti), la produzione e lo smaltimento dei rifiuti (47%), i cambiamenti climatici (42%), l’inquinamento delle acque (38%), confermando i risultati segnalati anche dalle indagini di Eurostat.

La rappresentazione sociale del rischio ambientale assume notevole importanza, sia perché indicativa dell’interesse e della partecipazione della popolazione nei confronti delle tematiche ambientali, sia perché necessaria ai fini della gestione e, ancor più, della prevenzione dello stesso rischio ambientale. Il punto di vista dei cittadini sui problemi ambientali, infatti, costituisce uno snodo importante per le istituzioni, in vista dell’adozione di politiche di informazione, formazione ed orientamento mirate ad incidere su scelte e comportamenti sociali determinanti rispetto allo stato dei nostri ecosistemi.

Nel corso del tempo si registra una variabilità complessivamente modesta del livello di sensibilità della popolazione ai problemi ambientali, ad eccezione della contrazione di interesse nell’ultimo biennio, rispetto ai forti incrementi dei bienni precedenti, dei cambiamenti climatici e dell’esaurimento delle risorse naturali, mentre parallelamente cresce la preoccupazione per l’inquinamento dei suoli e il dissesto idrogeologico.

Nella percezione dei rischi, si osserva una certa polarizzazione di alcune preoccupazioni tra Nord e Sud del Paese, anche per effetto di fenomeni ambientali locali di grande impatto sulla popolazione e sul territorio stesso, che contribuiscono a caratterizzare la rappresentazione sociale del rischio in funzione di particolari criticità.

Il tema dei rifiuti, ad esempio, continua a rappresentare un’urgenza vera e propria per gli abitanti della Campania (62,5%) e della Calabria (60,4%), mentre l’attenzione alle catastrofi provocate dall’uomo è aumentata consistentemente nelle regioni colpite da fenomeni alluvionali e di dissesto idrogeologico, quali Liguria, Sicilia e Sardegna.

Se il genere non individua specificità negli andamenti delle preoccupazioni ambientali della popolazione, l’età rappresenta un’importante determinante della loro variabilità. Per molti dei rischi ambientali indagati, l’incidenza di persone che denunciano preoccupazione cresce all’aumentare dell’età, fino a raggiungere il suo massimo nelle fasce 35-44 anni (è il caso dell’effetto serra/buco nell’ozonodei cambiamenti climatici e dell’inquinamento dell’aria) o 45-54 (temi dei rifiutidell’inquinamento del suolo e inquinamento elettromagnetico), per poi calare nuovamente. L’inquinamento delle acque rientra in questo trend solo parzialmente, presentando dei picchi di “preoccupati” in corrispondenza dei 45-54enni (39,4 su 100), ma anche dei 14-24enni (39,6%).

Nel complesso, i cittadini che risiedono nella ripartizione Nord-orientale adottano comportamenti attenti all’ambiente più frequentemente della media; meno attenti i residenti nel Meridione.

Il livello di istruzione incide sulla consapevolezza ambientale: al crescere del titolo di studio aumenta la percentuale di individui che denunciano preoccupazioni legate all’ambiente, con differenziali relativi particolarmente elevati per le tematiche dell’inquinamento elettromagnetico (indicato da una quota di laureati quasi doppia rispetto ai cittadini a più basso livello di istruzione), della biodiversità, della produzione e dello smaltimento dei rifiuti, dell’esaurimento delle risorse naturali.

Le donne e le persone con istruzione superiore sono più attive nell’adozione di comportamenti in favore dell’ambiente, soprattutto alle scelte di consumo alimentare. L’incidenza di cittadini che dichiarano di privilegiare l’acquisto di prodotti biologici o di prestare attenzione alla lettura delle etichette alimentari è pari, nell’ordine, a 4,4% e 24,9% tra quanti posseggono la licenza elementare e sale, rispettivamente, a 15,5% e 48,6% tra i laureati. Un differenziale a vantaggio dei titoli di studio più elevati si riscontra, inoltre, nella scelta di prodotti a km zero, per restare nell’ambito delle scelte di consumo alimentare sostenibile, ma anche rispetto alle scelte di trasporto sostenibile (26% contro 18%) o all’attenzione a non produrre inquinamento acustico nella guida (59% contro 30%). All’opposto, l’incidenza di persone che fanno attenzione a non sprecare l’acqua e l’energia elettrica è maggiore tra le persone che hanno un’istruzione al massimo primaria (rispettivamente 72,3% e 76,8%).

Nel corso degli ultimi cinque anni, si stima che il 22% delle famiglie abbia effettuato investimenti in denaro per ridurre le spese energetiche (sostituendo apparecchi ed elettrodomestici con modelli più efficienti, isolando termicamente l’abitazione, ecc.), con il 54% per quel che riguarda le spese per l’energia elettrica, il 20% per le spese di riscaldamento dell’abitazione, il 15% per il riscaldamento dell’acqua e il 10% per il condizionamento.

La necessità di ridurre le spese energetiche, fa osservare l’Istat, è da porre in relazione con il recente complessivo peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie. Nondimeno, l’efficientamento energetico rappresenta un tema di grande attualità, strettamente correlato all’esigenza di riduzione dei consumi energetici, come strumento per garantire la sostenibilità energetica e per agire sul contenimento dell’inquinamento atmosferico e, di conseguenza, dei cambiamenti climatici.

Nel 2014, il 42% della popolazione ritiene che la creazione di aree naturali protette contribuisca “molto” alla salvaguardia delle specie animali e vegetali e il 45% “abbastanza”, tuttavia questa evidente fiducia negli strumenti a difesa degli ecosistemi non si traduce in una partecipazione attiva: ad essersi recati in visita in un’oasi naturale, negli ultimi dodici mesi, sono infatti solo 16 cittadini su 100.

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