Sostenibilità

Corporate Climate Responsibility Monitor: net zero o non zero?

La seconda edizione del Corporate Climate Responsibility Monitor di NewClimate Institute e Carbon Market Watch, che costituisce un osservatorio per monitorare che non si trasformino in greenwashing le dichiarazioni di 24 grandi multinazionali che hanno aderito alla Campagna ONU “Race to Zero” per conseguire la neutralità carbonica entro la metà del secolo, ribadisce quanto emerso nella precedente edizione, pur con un leggero miglioramento, ovvero che le aziende in questione ridurranno solo del 36% le loro emissioni invece del 90-95% richiesto, nascondendosi dietro la foglia di fico dei Piani net zero.

Gli obiettivi di decarbonizzazione di 24 aziende globali presentate come “leader climatici” sono “impantanati nell’ambiguità” e non riescono a sostenere né le aspirazioni net-zero a breve termine né quelle a lungo breve termine per ridurre le emissioni e limitare il riscaldamento a 1,5 °C come previsto dall’Accordo di Parigi, anche se è possibile individuare buone pratiche di una minoranza che possono essere replicate.

È quanto emerge dalla seconda edizione del Corporate Climate Responsibility Monitor di NewClimate Institute, think-tank tedesco sui cambiamenti climatici che si adopera per l’implementazione dell’Accordo di Parigi e per il sostegno allo sviluppo sostenibile, e Carbon Market Watch, una Ong belga specializzata sulla tariffazione del carbonio, che costituisce un  osservatorio per monitorare che le dichiarazioni di 24 grandi multinazionali non si trasformino in greenwashing, valutando 4 aree principali della loro azione climatica:
tracciamento e divulgazione delle emissioni;
– definizione di obiettivi di riduzione delle emissioni;
riduzione delle proprie emissioni;
assunzione di responsabilità per le emissioni persistenti attraverso contributi climatici o compensazioni.

Gli obiettivi del Corporate Climate Responsibility Monitor – ha dichiarato Silke Moldijk del NewClimate Institute e co-autrice del Rapporto sono tre: innanzitutto, vogliamo identificare ed evidenziare approcci di buone pratiche che possono essere replicati da altre aziende; In secondo luogo, vogliamo rivelare fino a che punto le affermazioni di leadership climatica delle principali aziende hanno integrità e sono trasparenti. In terzo luogo, miriamo a esaminare la credibilità dei piani delle aziende per compensare le loro emissioni attraverso la rimozione di anidride carbonica o crediti di riduzione delle emissioni, riconoscendo che i mercati volontari del carbonio sono altamente frammentati e rimane molta incertezza su buone pratiche credibili”.

Complessivamente, le società coperte dal rapporto, ridurrebbero complessivamente solo del 36% l’impronta di emissioni di gas a effetto serra al 2050, mentre l’obiettivo zero netto necessario per rimanere sulla traiettoria di 1,5 °C

imporrebbe un calo del 90-95%, e del 15% quelle al 2030, molto meno del 43% richiesto, nonostante abbiano aderito a Race to Zero, la Campagna lanciata dall’UNFCCC alla vigilia della COP26 di Glasgow, dedicata a tutti gli attori non governativi per conseguire la neutralità carbonica entro la metà del secolo.

Emissioni: Integrità degli impegni net zero aziendali.

Come nella scorsa edizione, nessuna azienda ha ottenuto il punteggio massimo:
– la danese Maersk ha conseguito una valutazione di “integrità ragionevole”;
Apple, ArcelorMittal, Google, H&M Group, Holcim, Microsoft, Stellantis e Thyssenkrupp hanno avuto un punteggio di “integrità moderata”;
– altre 15 aziende si trovano in fondo alla classifica, chiusa da American Airlines, Carrefour, JBS e Samsung Electronics.

Molti dei problemi di fondo che erano stati individuati un anno fa, secondo il Rapporto, rimangono irrisolti in quanto per gli obiettivi al 2030 le aziende nei loro piani continuano a focalizzarsi soprattutto sulle emissioni dirette o su quelle derivanti dall’energia acquistata, escludendo altre fonti di emissione, e i piani di compensazione sono controversi

Problemi di compensazione
Una delle principali preoccupazioni relative al conseguimento degli obiettivi è il modo in cui le società si stanno avvicinando alla compensazione. La metà delle aziende valutate afferma di essere carbon neutral, senza tener conto della catena del valore, per cui le compensazioni dichiarate coprono in media meno del 3% delle proprie emissioni effettive.

Inoltre, più del 75% delle aziende prevede di “fare molto affidamento sulla compensazione“, ma il rapporto mette in dubbio il progresso net zero effettivo  perché molti progetti di stoccaggio del carbonio (CCS) basati sulla natura non sono adatti a compensare le emissioni, come l’insetting controversa pratica promossa da alcune imprese collegate ai settori dell’agricoltura e dell’uso del suolo nelle loro filiere, volta all’implementazione di un progetto di riduzione delle emissioni all’interno della catena del valore dell’azienda, ma non all’esterno.

Anche l’entità della domanda di crediti di carbonio da parte delle 24 società analizzate richiederebbe risorse di 4 pianeti Terra, qualora le altre aziende implementassero visioni simili.

Al fine di garantire una verifica indipendente degli obiettivi climatici aziendali, ricorda il Rapporto, le aziende devono impegnarsi a garantire che almeno il 90% del loro obiettivo net zero sia raggiunto attraverso riduzioni effettive delle emissioni, secondo quanto prevede il Net Zero Standard della Science-Based Targets Initiative (SBTI),  la collaborazione tra Global Compact delle Nazioni Unite, CDP, World Resources Institute e WWF per aiutare le aziende a stabilire obiettivi di riduzione delle emissioni in linea con la scienza del clima e gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, che viene comunque sollecitata ad aumentare il controllo delle strategie aziendali al fine di contribuire ad aumentare l’ integrità e la fiducia nel net zero, e che ha risposto in merito alle asserzioni metodologiche contenute nel rapporto con una nota tecnica.

Facendo affermazioni così stravaganti sulla neutralità del carbonio, le società non solo fuorviano consumatori e investitori, ma si stanno aprendo a una crescente responsabilità legale e reputazionale – ha commentato Lindsay Otis, esperta di politiche sui mercati globali del carbonio presso Carbon Market Watch – I governi devono agire ora per impedire alle aziende di fare queste affermazioni false e dannose. Da parte loro, le aziende devono smetterla di affermare di poter inequivocabilmente annullare il loro impatto climatico dannoso semplicemente acquistando crediti di carbonio invece di ridurre le proprie emissioni. Quando acquistano crediti di carbonio, queste aziende devono comunicare accuratamente ai consumatori in cosa consiste veramente questa azione: un contributo, o una donazione, a un progetto di mitigazione e non una neutralizzazione delle emissioni.

Al riguardo si segnala che la Commissione UE ha adottato il 30 marzo 2022 una proposta di modifica della Direttiva sui diritti dei consumatori che prevede, tra altro, la tutela da dichiarazioni ambientali inattendibili e da pratiche di greenwashing. Tuttavia, secondo Carbon Market Watch e altre 36 Ong e Associazioni, non sono abbastanza ambiziose, e per questo motivo hanno indirizzato il 13 febbraio 2023 in occasione della riunione del Consiglio europeo una lettera aperta alle istituzioni comunitarie esortandole a mettere in atto un divieto assoluto sull’utilizzo di espressioni come “carbon neutral”, “CO2 neutral”, “CO2 compensation”, “climate positive”,  “scientificamente false, che spesso si basano sull’uso di crediti di carbonio spazzatura”, e di introdurre restrizioni più severe sulle dichiarazioni relative alle prestazioni ambientali future, come “Net zero by 2050” che dovrebbero “essere vietate quando basate su ‘compensazioni’ o ‘insetting’ o qualsiasi altro metodo che pretenda di ‘neutralizzare’ o controbilanciare le emissioni invece di ridurle”.

Infine, il Rapporto condivide buone pratiche replicabili che sono adottate dalle aziende: Maersk è stata elogiata per i carburanti alternativi utilizzati dalle sue navi, mentre Google si è segnalato per un monitoraggio “pioneristico”, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per abbinare la generazione di energia rinnovabile al consumo.

In questo decennio critico per l’azione climatica, gli attuali piani delle aziende non riflettono l’urgenza necessaria per la riduzione delle emissioni – ha affermato Thomas Day, analista delle politiche climatiche aziendali presso il NewClimate Institute – Le autorità di regolamentazione, le iniziative volontarie e le aziende devono porre una rinnovata e urgente attenzione all’integrità dei piani di riduzione delle emissioni delle aziende fino al 2030. Il discorso sullo zero netto a lungo termine non dovrebbe distrarre dal compito immediato a portata di mano”.

 

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