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I rischi finanziari dell’estrazione dei combustibili fossili

I rischi finanziari dell’estrazione dei combustibili fossili

Due Rapporti tra loro correlati dedicati alle politiche di transizione energetica a basse emissioni di carbonio indicano che i costi operativi per l’estrazione e il trasporto di petrolio, gas e carbone superano quelli per finanziare un sistema energetico basato sulle fonti pulite, mettendo a disposizione dei Paesi un “tesoro” di 1.800 miliardi di dollari tra il 2015 e il 2035, che potrebbe essere investito nelle azioni per la crescita economica.
Ma in Italia si pensa che “sbloccare le trivelle” sia operazione strategica.

Fondata dal Prof. Thomas C. Heller di cui è Direttore esecutivo e sostenuta dal finanziere e filantropo George SorosClimate Policy Initiative (CPI) è una ONG indipendente che riunisce oltre 50 consulenti ed analisti che lavorano per migliorare le politiche mondiali relative alla produzione di energia e all’uso del territorio, aiutando i Paesi a crescere, pur affrontando le problematiche connesse alle risorse sempre più scarse e ai rischi dei cambiamenti climatici.

CPI ha fatto parte del gruppo di ricerca che ha condotto gli studi su cui si è basato il Rapporto “Better Climate, Better Growth”, presentato al Summit ONU sul Clima di New York nel settembre scorso, e commissionato da Global Commission on the Economy and Climate nell’ambito della sua iniziativa faro “The New Climate Economy”.

Sulla base degli studi e analisi compiute per l’occasione, CPI ha appena rilasciato due suoi autonomi Rapporti, tra loro correlati, che dimostrano in modo chiaro che con le giuste politiche un sistema energetico a basse emissioni di carbonio, coerente nel combattere i più pericolosi effetti dei cambiamenti climatici, libererebbero migliaia di miliardi di dollari nei prossimi 20 anni che potrebbero essere investiti per una migliore crescita economica.

La prima relazione, “Moving to a Low Carbon Economy: The Financial Impact of the Low-Carbon Transition”, mette a confronto i costi dei sistemi per la produzione di elettricità e trasporti a basse emissioni di carbonio con quelli attuali.

La seconda relazione, “Moving to a Low Carbon Economy: The Impacts of Policy Pathways on Fossil Fuel Asset”, si concentra sul rischio di perdite finanziarie legate alle attività di sfruttamento dei combustibili fossili esistenti (il cosiddetto “asset stranding”) che è elemento fondamentale perché limita la capacità di Governi e Imprese a prendere prestiti per finanziare la crescita e gli investimenti, inclusi quelli per una transizione economica a basso tenore di carbonio.

Dalle due relazioni emerge che:
*I Governi, piuttosto che gli investitori privati e le imprese, devono affrontare la maggior parte del rischio del declino del valore delle risorse, possedendo il 50-70% del petrolio, gas e carbone, oltre ai gettiti delle tasse e delle royalties per quella parte che non possiedono direttamente. Questo rischio si concentra sui Paesi che sono proprietari e produttori di tali risorse, in particolare quelli grandi produttori di petrolio. Tuttavia, i Governi controllano anche gran parte della politica che potrebbe portare sia allo “spiaggiamento” del bene sia ad un risparmio finanziario.

*Le giuste politiche possono massimizzare i benefici finanziari di una transizione economica a basso tenore di carbonio:
– per quanto attiene la produzione di energia elettrica, un sistema low carbon comporterebbe per l’economia globale risparmi per 1.800 miliardi dollari tra il 2015 e il 2030, perché la riduzione dei costi operativi connessi all’estrazione e al trasporto di petrolio, gas e carbone sarebbe superiore ai costi di finanziamento per le energie rinnovabili e alle perdite in valore delle risorse di combustibili fossili esistenti;
– per quel che riguarda i trasporti, il passaggio a combustibili puliti potrebbe far aumentare la capacità globale di investimento per migliaia di miliardi o comportare zero perdite e zero guadagni per gli altri, a seconda delle scelte politiche, perché le Regioni che importano più petrolio di quanto ne producono, compresi Stati Uniti, Europa, Cina e India, trarrebbero maggiori benefici dal ridurre tutte insieme il loro consumo di petrolio in favore di alternative a basso tenore di carbonio, indipendentemente dal fatto che i Paesi produttori di petrolio decidano o meno di agire.

L’abbandono del carbone (“il re canuto” come l’ha definito Carbon Tracker nel Rapporto lanciato lo scorso mese) offre le maggiori riduzioni delle emissioni per il più basso rischio finanziario, raggiungendo fino all’80% della riduzione necessaria delle emissioni globali, con un rischio finanziario di appena il 12%.

* Le priorità di intervento sono chiare:
 l’abbandono del carbone è un percorso conveniente per un’economia a basse emissioni di carbonio, tanto che le politiche di contrasto all’inquinamento atmosferico messe in atto da USA ed Europa hanno messo queste regioni su un percorso che limiterà il rischio di future perdite di valore delle centrali a carbone, mentre Cina e l’India debbono trovare alternative alla costruzione di centrali elettriche a carbone già pianificate;
– la riduzione dei costi di investimento per gli impianti di energia rinnovabile possono ridurre significativamente il costo della transizione in tutto il mondo, così che se negli USA ed Europa l’espansione, il miglioramento degli strumenti di finanziamento per infrastrutture energetiche a basso tenore di carbonio possono ridurre del 20% i costi per poter emettere, i Paesi in via di sviluppo, nel lungo periodo, per il basso costo dell’indebitamento possono ridurre i costi energetici della transizione del 30%;
 l’innovazione e le politiche basate sulla domanda e sulla fiscalità sono la migliore combinazione per limitare la perdita di valore patrimoniale e realizzare risparmi finanziari netti dalla transizione dal petrolio;
– il gas può essere un combustibile ponte per alcune regioni fino al 2030, soprattutto per Cina e India, ma per limitare la perdita di valore, dopo tale data l’utilizzo globale di gas dovrebbe diminuire.

Per i politici di tutto il mondo che si chiedono se la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio aiuti o danneggi la capacità dei loro Paesi di investire per la crescita, la nostra analisi dimostra chiaramente che, per molti di loro, la transizione a basse emissioni di carbonio è del tutto scontata – ha dichiarato Thomas C. Heller, Direttore esecutivo del CPI – Non solo riduce i rischi climatici, ma i suoi benefici sono chiari e significativi”.

Ci auguriamo che i Parlamentari italiani leggano questi rapporti, prima di far diventare Legge il Decreto “Sblocca Italia” che dichiara le trivellazioni e le concessioni di petrolio e gas di interesse strategico nazionale.

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