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Variabilità clima, produzione agricola e insorgenza di conflitti sono correlati

Uno studio realizzato con il contributo della Fondazione CMCC mette in luce come l’effetto combinato di eventi climatici estremi e del concentrarsi della produzione agricola, aumenti del 14% la probabilità che s’inneschi un conflitto nei Paesi con un’economia ancora fortemente dipendente dall’agricoltura.

Esiste un sostanziale accordo fra gli esperti sul ruolo chiave di variabilità climatica e scarsità di cibo nell’innescare conflitti violenti, specialmente nei Paesi in via di sviluppo, che sono fortemente dipendenti dall’agricoltura, sopportano il peso maggiore degli impatti dei cambiamenti climatici, e hanno spesso una triste eredità di conflitti. Nonostante ciò, solo un numero piuttosto limitato di studi ha esaminato il modo in cui le risorse alimentari influenzino i conflitti violenti.

La nuova ricerca Climate variability, crop and conflict: Exploring the impacts of spatial concentration in agricultural production”, condotta da un gruppo di ricercatori dell’Università di Uppsala, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e del Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione UE e del Centro Euromediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), pubblicata su Journal of Peace Research, ha esplorato le relazioni complesse che intercorrono tra variabilità climatica, produzione agricola e insorgenza dei conflitti.

Gli autori hanno ipotizzato che la diversa distribuzione spaziale della produzione agricola all’interno dei Paesi sia un fattore rilevante nel determinare un impatto della variabilità climatica su guerre e conflitti in Paesi fortemente dipendenti dall’agricoltura.

La principale assunzione alla base di questo studio – ha spiegato Paola Vesco, ricercatrice all’Università di Uppsala e affiliata alla Divisione CMCC ‘Economic analysis of Climate Impacts and Policy’ (ECIP), principale autrice dello studio – si articola in tre passaggi, dagli eventi climatici ai conflitti. In primo luogo, gli impatti negativi della variabilità climatica aumentano la concentrazione spaziale della produzione agricola sul territorio. Secondo, la distribuzione spaziale della produzione agricola, una misura del modo in cui l’accesso al cibo e le condizioni di sussistenza varino nelle diverse aree, rappresenta un fattore rilevante nel determinare l’impatto dei cambiamenti climatici sui conflitti in Paesi fortemente dipendenti dall’agricoltura. Terzo, l’effetto combinato di eventi climatici estremi e la concentrazione spaziale della produzione agricola aumenta la probabilità d’insorgenza dei conflitti”.

Per saggiare questa ipotesi, gli autori hanno realizzato una stima della distribuzione spaziale delle colture ovvero una valutazione di quanto la produzione agricola si concentri o sia diffusa nelle diverse località, esaminando come la distribuzione spaziale delle risorse agricole modelli gli effetti del clima sui conflitti nel corso del tempo.

Il nostro metodo ci permette di esaminare direttamente gli effetti dei cambiamenti climatici estremi sulla distribuzione spaziale della produzione agricola, all’interno dei vari Paesi e nel corso del tempo, e quindi di esaminare come la distribuzione spaziale delle risorse agricole determini gli effetti del clima sui conflitti, nelle varie epoche – ha spiegato Malcolm Mistry, ricercatore e docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia e ricercatore affiliato della Fondazione CMCC e co-autore dello studio –  La nostra analisi riesce a catturare la dimensione spaziale della vulnerabilità legata alla produzione agricola, esplorando se l’effetto della distribuzione geografica della produzione agricola possa avere un peso nei conflitti. Abbiamo scoperto che gli effetti del clima sono particolarmente negativi in quei Paesi che dipendono dall’agricoltura e dove la produzione alimentare si concentra in poche aree

I risultati infatti mostrano come gli impatti negativi della variabilità climatica portino a un aumento della concentrazione spaziale della produzione agricola nei vari Paesi. Ciò, unito agli effetti degli eventi climatici estremi, aumenta la probabilità d’insorgenza di un conflitto fino al 14% nei Paesi dipendenti dall’agricoltura.

È probabile che gli shock climatici alla produzione agricola influenzino le condizioni di sussistenza sia direttamente, attraverso cambiamenti nella disponibilità e nell’accesso al cibo, sia indirettamente, attraverso cambiamenti correlati al reddito agricolo, alle fluttuazioni dei prezzi dei prodotti alimentari e alle variazioni del potere d’acquisto dei consumatori – ha aggiunto Mistry – Le perdite agricole causate dagli shock climatici, distribuite in modo non uniforme, porteranno pertanto a disuguaglianze in termini di diritti alimentari e condizioni di vita tra le diverse aree e le diverse comunità. Per questo motivo, i conflitti tenderanno a verificarsi in quelle aree dove si registrerà un’aumentata domanda e una minore offerta di risorse alimentari. La competizione per le risorse può portare anche a un aumento dei flussi migratori, e le migrazioni climatiche possono andare a peggiorare la competizione per le risorse nelle aree di destinazione, favorendo tensioni politiche o su base etnica tra i migranti e le comunità ospiti, aumentando la probabilità di conflitti. Questo è successo, per esempio, durante la guerra civile in Darfur: il relativo impoverimento e deteriorarsi delle risorse in alcune regioni rispetto ad altre, ha innescato dei movimenti migratori da parte dei gruppi più colpiti verso le regioni con una maggiore abbondanza di risorse, favorendo quindi l’insorgenza di reciproche accuse di sfruttare eccessivamente le risorse locali, e rinforzando preesistenti contrasti etnici e sociali, contribuendo così allo scatenarsi di conflitti nella regione”.

Più in generale, gli autori sottolineano come sia probabile che differenze nell’accesso al cibo nelle diverse regioni possano innescare proteste attorno a preesistenti motivi di contrasto, non necessariamente legati a questa problematica. All’opposto, istituzioni e governi più efficienti possono mediare le conseguenze negative dei cambiamenti climatici e attenuare le tensioni, assicurando una più equa gestione e distribuzione delle risorse.

In quest’ottica – ha concluso Vesco – l’analisi sarà estesa per esaminare anche come i fattori socio-economici e le caratteristiche istituzionali possano influenzare il nesso tra clima, distribuzione spaziale delle colture e insorgenza dei conflitti”.

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