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CCPI 2019: Italia perde sette posizioni

L’ultimo CCPI di Germanwatch , CAN Europe e NewClimate Institute, presentato il 10 dicembre 2018 alla COP24 mostra che dopo 3 anni dall’adozione dell’Accordo di Parigi, nessun Paese sta facendo abbastanza per raggiungere gli obiettivi sottoscritti.

 

Come da tradizione consolidata, anche quest’anno in occasione della Conferenza sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (UNFCCC-COP24) in corso di svolgimento a   Katowice (2-14 dicembre 2018), è stata presentata il 10 dicembre la nuova edizione del Climate Change Performance Index (CCPI), il Rapporto sulle prestazioni climatiche di 56 Paesi e dell’UE, sia industrializzati che in via di sviluppo, che sono responsabili di più del 90% della produzione globale di emissioni correlate alla produzione e consumo di energia, dal momento che, a causa della mancanza di dati affidabili su temi quali la deforestazione e l’uso dei suoli, l’Indice si concentra sulle emissioni del settore energetico.

Redatto da Germanwatch, ONG con sede a Bonn che si prefigge di promuovere l’equità globale e la salvaguardia dei mezzi di sussistenza) , Climate Action Network Europe (CAN Europe), Rete che riunisce 140 organizzazioni di 25 Paesi, con l’obiettivo di arrestare gli effetti più pericolosi dei cambiamenti climatici) e NewClimate Institute for Climate Policy e Global Sustainabilit, Istituto di ricerca sui cambiamenti climatici, per l’implementazione dell’Accordo di Parigi e per il sostegno allo sviluppo sostenibile.

Il CCPI viene calcolato attraverso un indice complessivo a cui concorrono 4 diversi parametri:
– i livelli di emissione, sulla base dei dati forniti dall’International Energy Agencyconcorrono al 40%del peso complessivo (20% per il livello di emissione dell’anno preso in considerazione e  20% per il trend nel corso degli anni);
– il 20% viene assegnato per lo sviluppo delle rinnovabili (10%) e dell’efficienza energetica (10%);
– il 20% per i consumi energetici;
– il 20% alle politiche climatiche (10% per quelle nazionali e 10% per quelle internazionali), basate su un sondaggio tra oltre 200 esperti climatici di ONG e think tank dei  rispettivi Paesi  interessati.

Il CCPI valuta anche fino a che punto i rispettivi Paesi stanno prendendo misure adeguate all’interno delle categorie emissioni, fonti rinnovabili e consumo di energia per essere in linea con l’obiettivo globale di Parigi.

Pertanto, il CCPI è uno strumento importante per contribuire a una comprensione più chiara delle politiche nazionali e internazionali.

Anche nell’edizione di quest’anno, i primi 3 posti della classifica non sono stati assegnati ad alcun Paese, perché nessuno è riuscito a mettere in campo le politiche in grado di contribuire seriamente a vincere la sfida climatica per mantenere il riscaldamento globale entro i +2 °C, figuriamoci per fare ogni sforzo di limitarlo a +1,5 °C, come prevede  l’Accordo di Parigi.

Guida la classifica, come l’anno scorso, la Svezia , seguita dal Marocco che continua la sua progressiva ascesa. Al seguire Lituania, Lettonia, Gran Bretagna, Svizzera e Malta. Da segnalare l’Inserimento all’11° posto dell’India che si inserisce, unico Paese insieme al Marocco, tra i prime 20 Paesi, tutti europei.. La Francia, pur svolgendo un ruolo costruttivo e di guida nella diplomazia climatica internazionale, tanto che lo scorso anno si era inserita nella top ten, viene tuttavia retrocessa al 21° posto per non aver condotto un’azione concreta per ridurre le emissioni, in particolare nei settori dei trasporti e dell’edilizia. La Germania (27 ° posto) si mantiene su  bassi livelli, poiché le emissioni non sono diminuite dal 2009 e mancano ancora le decisioni sull’eliminazione del carbone e una strategia per decarbonizzare il settore dei trasporti. La Polonia, il Paese ospitante la  COP 24, non dispone di strategie strategiche a lungo termine coordinate per ridurre l’elevata dipendenza dal carbone, le emissioni dei trasporti sono in rapido aumento e lo sviluppo delle energie rinnovabili è in stallo, tante che retrocede ulteriormente al 41° posto, precedendo altri Paesi dell’Est Europa (Ungheria, Slovenia ed Estonia). Chiude la classifica dei Paesi europei, l’Irlanda (48ma) che rimane il Paese membro dell’UE c le peggiori prestazioni nel CCPI.

L’Italia retrocede al 23° posto rispetto al 16° che aveva conquistato lo scorso anno, per effetto del rallentamento nello sviluppo delle fonti rinnovabili ( “I tagli agli incentivi e l’incertezza normativa”) e per l’assenza di una politica climatica, nonostante i buoni risultati nell’uso dell’energia.

L’UE nel complesso si colloca al 16° posto, in ascesa rispetto allo scorso anno, in virtù delle sue politiche climatiche, specie dopo la recente adozione della Strategia climatica a lungo termine che prevede il passaggio verso emissioni di gas a effetto serra zero entro il 2050. Tuttavia, le emissioni pro capite sono relativamente elevate e al momento non ancora sulla giusta traiettoria per raggiungere l’obiettivo di riduzione del 40% al 2030 e le prestazioni giudicate “medie” per quanto attiene allo sviluppo delle rinnovabili e al consumo elevato di energia , non le permettono di conquistare la leadership globale.

Non solo l’obiettivo 2030 dell’UE è ancora troppo debole per rispettare gli impegni dell’Accordo di Parigi, le emissioni dell’UE sono rimaste agli stessi livelli per tre anni consecutivi – ha dichiarato Wendel Trio, Direttore di  CAN Europe – Diversi Paesi dell’UE non sono sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi climatici ed energetici del 2020 e apportare cambiamenti reali domestici. Per ripristinare il suo ruolo di leader globale del clima in occasione della COP24, l’UE deve impegnarsi ad aumentare significativamente l’obiettivo per il clima 2030 ben oltre il 55% sostenuto dal Parlamento europeo e da alcuni Stati membri. Gli Stati membri dell’UE hanno inoltre urgente necessità di accelerare gli attuali tagli delle emissioni e dovrebbero mirare a superare gli obiettivi del 2020 attualmente deboli”.

I due più grandi inquinatori del Pianeta (38% delle emissioni globali), Cina  Stati Uniti si piazzano rispettivamente al 33°posto (risalendo ben 15 posizioni) e al 59° (perdendo 16 posizioni); dopo c’è solo l’Arabia Saudita.

 

 

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