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CCPI 2018: la classifica delle prestazioni climatiche di 56 Paesi

CCPI 2018

CCPI 2018: come consuetudine alla COP23 è stato presentato il Rapporto di Germanwatch che conferma come la strada per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici e contribuire a mantenere e rendere concreti gli impegni presi con l’Accordo di Parigi sia ancora in salita, nonostante alcuni passi avanti.

Come da tradizione consolidata, anche quest’anno in occasione della Conferenza sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (COP23) che si è svolta a Bonn (7-16 novembre 2017), è stata presentata la nuova edizione del Climate Change Performance Index (CCPI), il Rapporto sulle prestazioni climatiche di 56 Paesi, sia industrializzati che in via di sviluppo, che sono responsabili di più del 90% della produzione globale di emissioni correlate alla produzione e consumo di energia, dal momento che, a causa della mancanza di dati affidabili su temi quali la deforestazione e l’uso dei suoli, l’Indice si concentra sulle emissioni del settore energetico.

Redatto da Germanwatch, Organizzazione non governativa con sede a Bonn che si prefigge di promuovere l’equità globale e la salvaguardia dei mezzi di sussistenza, con la collaborazione di Climate Action Network Europe (CAN Europe), la rete che riunisce 140 organizzazioni di 25 Paesi, con l’obiettivo di arrestare gli effetti più pericolosi dei cambiamenti climatici, e NewClimate Institute, Ong che si occupa di ricerca e di implementazione di azioni per la salvaguardia della diversità climatica, il CCPI 2018 è stato rivisto per tener conto degli sviluppi della politica climatica globale, in particolare dell’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi, e quindi, dei progressi e della coerenza delle politiche dei singoli Paesi nell’implementare azioni per mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei +2 °C o, possibilmente, di +1,5 °C.

Pertanto, rispetto alle precedenti edizioni, all’Indice complessivo concorrono 4 diversi parametri, anziché 3:

– il livello delle emissioni, sulla base dei dati forniti dall’International Energy Agency, concorrono al 40% del peso complessivo;

– allo sviluppo delle energie rinnovabili il 20%;

– al consumo di energia il 20%;

– infine, il 20% alla valutazione delle politiche climatiche, basate su un sondaggio tra oltre 200 esperti climatici dei Paesi interessati

La struttura dell’Indice è tale che la graduatoria che ne deriva premia soprattutto i Paesi che dimostrano l’effettiva volontà di cambiamento.

L’edizione 2018 conferma una spinta per l’energia rinnovabile e sviluppi positivi in termini di efficienza energetica, ma a queste tendenze incoraggianti su scala globale non fa seguito la velocità con cui si dovrebbe imporre una rivoluzione energetica.

Osserviamo un forte impegno verso gli obiettivi climatici globali dell’Accordo di Parigi nella diplomazia climatica internazionale – ha affermato Jan Burke, principale autore del CCPI 2018 – I Paesi ora devono fornire misure specifiche che sfondino i propri impegni a livello settoriale”.

Tuttavia, anche quest’anno, come negli anni precedenti, i primi 3 posti non sono stati assegnati ad alcun Paese, perché nessuno è riuscito a mettere in campo le politiche in grado di contribuire seriamente a vincere la sfida climatica per mantenere il riscaldamento globale entro i +2 °C, figuriamoci per limitarlo a +1,5 °C, come prevede l’Accordo di Parigi.

Il podio “virtuale” è costituito da:

Svezia , primo Paese della classifica per aver fatto un’ottima performance nella riduzione delle emissioni pro-capite nel periodo 2010-2015, incamminandolo sul giusto cammino per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi;

– quindi, la Lituania, con un livello di emissioni in linea con Parigi, anche se ha registrato nell’ultimo periodo un aumento delle stesse;

– 3° “virtuale” il Marocco che continua il suo trend positivo, consolidando la sua leadership in Africa grazie ai considerevoli investimenti nelle rinnovabili e agli ambiziosi impegni assunti (riduzione del 32% del trend attuale delle sue emissioni entro il 2030) nell’ambito dell’Accordo di Parigi.

Seguono, poi, Norvegia, Gran Bretagna, Finlandia e Lettonia. Sorprende la posizione dell’India che si inserisce nel gruppo dei Paesi più virtuosi, grazie alle basse emissioni pro-capite e al considerevole sviluppo delle rinnovabili.

L’Italia mantiene la 16° posizione (dietro la Francia che retrocede di molte posizioni con la fine della spinta propulsiva del ruolo svolto durante la Conferenza sul Clima di Parigi), posizione conquistata lo scorso anno, continuando ad usufruire dei riflessi degli investimenti nelle rinnovabili degli anni passati e del contributo dell’efficienza energetica.

Un risultato raggiunto – ha osservato Legambiente che ha collaborato al CCPI per quanto riguarda l’Italia – nonostante l’assenza di una politica climatica nazionale adeguata agli obiettivi di Parigi. Un’assenza che tuttavia si fa sentire sempre più: le emissioni in Italia sono continuate a crescere anche nel 2016 dello 0.4% rispetto all’anno precedente e dopo il 2% del 2015, invertendo la tendenza positiva degli anni scorsi che ha consentito alla Penisola una consistente riduzione delle emissioni attestatasi nel 2016 al 16.4% rispetto al 1990”.

Se alcuni Paesi europei hanno fatto progressi, molti altri hanno segnato il passo a causa della loro indisponibilità a politiche più ambiziose.
Tra questi, si distingue la Germania a cui il report dedica un Country-example. Dopo molti anni di leadership, si ritrova oggi al 22°posto, a seguito della quota ancora considerevole del carbone nel mix energetico nazionale, che non consente la necessaria riduzione delle emissioni, indispensabile al raggiungimento dell’ambizioso obiettivo che si era data del taglio del 40% delle emissioni entro il 2020 rispetto al 1990.

L’UE-28 occupa la posizione immediatamente precedente, a causa dei prestazioni divergenti dei singoli Stati membri. Se è vero che dal 2008 (data di entrata in vigore del Protocollo di Kyoto ) al 2015 le emissioni sono diminuite con una media del 2% all’anno, l’ultimo Rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, pubblicato il 7 novembre 2017, sull’andamento e sulle proiezioni delle emissioni di gas serra indicano che tale trend nel 2016 si è arrestato e che, pur non essendoci problemi per il conseguimento dell’obiettivo di riduzione prefissato al 2020, senza un cambio di passo è difficile centrare quello al 2030 e sarebbe impensabile raggiungere quello al 2050.

Il CCPI rivela che l’Unione europea promette di impegnarsi per gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, ma si tiene lontana dall’intraprendere reali azioni a favore del clima – ha dichiarato Wendel Trio, Direttore di Climate Action Network (CAN) EuropeL’UE deve tradurre le parole in fatti e impegnarsi a ridurre le emissioni più in profondità di quanto previsto attualmente. Le discussioni in corso sulle nuove politiche sull’energia pulita e il bilancio dell’UE offrono eccellenti opportunità per aumentare l’ambizione dell’azione climatico dell’unione”.

I due più grandi inquinatori del Pianeta (38% delle emissioni globali), Cina e Stati Uniti si piazzano rispettivamente al 41° e al 59° posto. Ma mentre la Cina ha scavalcato 7 posizioni, per effetto dei massicci investimenti nelle rinnovabili, gli USA ne hanno perse ben 16, a causa delle politiche climatiche, culminate con la decisione dell’Amministrazione Trump di uscire dall’Accordo di Parigi.

Gli altri grandi Paesi industrializzati sono tutti inseriti nel gruppo di quelli con politiche “assai deboli”: il Giappone al 50° posto, il Canada al 51°, la Russia al 53° posto, , l’Australia al 57°. L’ultimo posto è dell’Arabia Saudita.

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