Cambiamenti climatici Clima

Ben al di sotto di +2 °C per evitare i rischi catastrofici del clima

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Innovation. Jobs. Prosperity” è il tema della IX edizione della “Climate Week di New York City” (18-24 settembre 2017), evento entrato nel calendario internazionale dei più importanti appuntamenti mondiali sulle problematiche legate ai rapporti tra cambiamenti climatici e mondo della finanza e delle imprese, che viene organizzato ogni anno dal 2009 in concomitanza con l’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Nel corso della settimana a New York City e nei dintorni avranno luogo incontri di alto profilo cui partecipano un gruppo eterogeneo di imprese, capi di governo, attori della società civile, sindaci delle più grandi città del mondo, organizzati da “The Climate Group“, un’organizzazione no-profit indipendente che lavora per sollecitare le leadership mondiali verso una Clean Revolution, iniziativa a cui aderisce un network dei principali decision maker mondiali, che si propone di “presentare le opportunità di un’economia a basse emissioni di carbonio, in grado di garantire sviluppo, creare posti di lavoro, aumentare la sicurezza energetica, migliorare la qualità della vita delle comunità in tutto il mondo e scongiurare gli effetti paralizzanti dei cambiamenti climatici galoppanti“.

Nei giorni immediatamente precedenti, sulla prestigiosa PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) è stato pubblicato online lo Studio “Well below 2 °C: Mitigation strategies for avoiding dangerous to catastrophic climate changes” (“Ben al di sotto di 2 °C: Strategie di mitigazione per evitare cambiamenti climatici da pericolosi a catastrofici“), che, valutando i modelli di futuri scenari climatici, ha portato alla creazione di 2 nuove categorie di rischio “catastrofico” e “sconosciuto” per caratterizzare la gamma delle minacce provocate dal rapido riscaldamento globale. Queste categorie descrivono due scenari a bassa probabilità di manifestarsi, ma statisticamente significativi, che potrebbero verificarsi entro la fine del secolo. I ricercatori propongono che i “rischi sconosciuti” siano quelli che implicano minacce esistenziali alla sopravvivenza dell’umanità.

Il mondo ha emesso cumulativamente fino ad oggi circa 2.200 miliardi di tonnellate di CO2 e i responsabili politici hanno ritenuto che si possa emettere fino a 3.700 miliardi di tonnellate, rimanendo al di sotto dei livelli pericolosi – ha affermato Veerabhadra Ramanathan, Professore di Scienze dell’Atmosfera e del Clima presso la Scripps Institution of Oceanographydell’Università di California, San Diego e co-autore dello studio – Nel nostro documento dimostriamo, tuttavia, che esiste una probabilità su 20 che le emissioni oltre i 2.200 miliardi di tonnellate rappresentino un rischio catastrofico e forse anche esistenziale. Ciò potrebbe includere l’esposizione di circa 7 miliardi di persone a stress termico mortale; 2,5 miliardi di persone a virus come Zika e Chikungunya; al pericolo di estinzione per circa il 20% delle specie. Per comprendere le proporzioni, quanti di noi metterebbero su un sedile di aereo i propri nipoti, sapendo che sussiste una probabilità su 20 che l’aereo possa cadere? Eppure con i cambiamenti climatici che possono costituire minacce esistenziali, di fatto li abbiamo già messi su quell’aereo. La buona notizia dei nostri due studi è che c’è ancora tempo per evitare cambiamenti catastrofici“.

Il riferimento ultimo riguarda un altro Studio, complementare a questo, (“Well Under 2 Degrees Celsius: Fast Action Policies to Protect People and the Planet from Extreme Climate Change“) e sempre pubblicato questo mese dal Comitato per la prevenzione dei cambiamenti climatici estremi, presieduto dallo stesso Ramanathan, e condotto con Mario José Molina, Direttore del Centro per l’Energia e Ambiente presso l’Università di San Diego e Premio Nobel per la Chimica, assieme a Rowland e Crutzen per il loro lavoro sulla chimica dell’atmosfera, e in particolare sulla formazione e sulla decomposizione dell’ozono, e Durwood Zaelke, Fondatotore e Presidente dell’ Institute for Governance & Sustainable Development (IGSD), e con la collaborazione di oltre 30 esperti di ogni parte del mondo.

Peraltro, questo Rapporto viene presentato proprio oggi nel corso di un evento collaterale alle Nazioni Unite.

I ricercatori hanno definito le categorie di rischio sulla base delle linee guida stabilite dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) e su precedenti studi indipendenti, tenendo presente l’obiettivo stabilito nell’Accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici di mantenere le temperature medie globali alla fine del secolo “ben al di sotto” di un aumento di 2 °C. Anche se questo obiettivo fosse soddisfatto, un aumento globale della temperatura di 1,5 °C viene ancora classificato come “pericoloso”, il che significa che potrebbe causare danni sostanziali ai sistemi umani e naturali, come l’aumento di eventi meteorologici e climatici estremi che vanno da ondate di calore più intense, a uragani e alluvioni fino a siccità prolungate.

Un aumento della temperatura tra 3 °C e 5 °C potrebbe innescare effetti “catastrofici”, con “tipping points” come gli scienziati definiscono i livelli oltre i quali i cambiamenti divengono inarrestabili e senza la possibilità di ritornare allo stato iniziale, come il collasso della calotta glaciale dell’Antartide Occidentale, con conseguente aumento del livello del mare e la perdita della foresta amazzonica. Nei sistemi umani, i cambiamenti climatici catastrofici sono contrassegnati da ondate di calore mortali che diventano comuni e di diffusa carestia, troppo diffusi e rapidi per permettere all’umanità, soprattutto quella meno ricca, di adattarsi.
Infine, un aumento di temperatura superiore a 5 °C potrebbe provocare conseguenze “sconosciute”, ma sicuramente devastanti, che non sono state sperimentate sul Pianeta da almeno gli ultimi 20 milioni di anni. Lo spettro delle minacce “ultra catastrofiche” vengono evocate dai ricercatori, non previste dall’IPPC, per riflettere sui gravi rischi per la salute umana e l’estinzione delle specie.

Tenendo presente questi scenari, i ricercatori hanno individuato quali misure possono essere adottate per rallentare il tasso di riscaldamento globale, per evitare le conseguenze peggiori, in particolare gli eventi ad alto impatto e a bassa probabilità. Le misure aggressive per ridurre l’uso dei combustibili fossili e le emissioni dei cosiddetti inquinanti climatici a breve durata, come il particolato, metano e HFC, dovrebbero essere accompagnate da sforzi attivi per eliminare la CO2 dall’atmosfera e sequestrarla prima che possa essere emessa. Tutti e tre tali sforzi sarebbero necessari per raggiungere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi.
Gli autori sottolineano che l’obiettivo è raggiungibile. Le emissioni globali di CO2 erano cresciute ad un tasso del 2,9 % all’anno tra il 2000 e il 2011, ma hanno rallentato fino ad un tasso di crescita vicino allo zero al 2015, individuando negli USA e Cina di artefici principali di questa tendenza, con il notevole aumento della produzione di energia rinnovabile, in particolare di eolico e solare, che alcuni altri studi hanno calcolato in grado di soddisfare a quella data il 24% della domanda elettrica mondiale.

Gli autori osservano, inoltre, che la maggior parte delle tecnologie necessarie per ridurre drasticamente le emissioni di inquinanti climatici a breve durata esistono già e sono in uso in gran parte del mondo sviluppato, dai motori diesel più puliti alle infrastrutture per la cattura del metano. “Nonostante questi esempi incoraggianti – concludono gli autori – saranno ancora necessarie politiche aggressive per raggiungere la neutralità del carbonio e la stabilità del clima”.

Immagine di copertina: sinkingislands.com

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