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Uso delle lingue nelle istituzioni UE: avviata una pubblica consultazione

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Svolgendo indagini sulle politiche linguistiche di alcune istituzioni dell’UE prese singolarmente, Emily O’Reilly l’attuale Mediatore europeo (European Ombudsman) ovvero il Difensore civico degli europei, è giunta alla conclusione, fra le altre, che le istituzioni dell’UE hanno la facoltà di limitare legittimamente uso delle lingue nelle comunicazioni e nei documenti interni, con conseguente riduzione delle capacità dei cittadini di interagire con le istituzioni dell’UE.

È dunque importante garantire che eventuali limitazioni all’uso delle lingue siano proporzionate ed eque. Le istituzioni e gli organismi dell’UE dovrebbero, ad esempio, esaminare attentamente le situazioni in cui è accettabile comunicare o svolgere attività in una sola lingua o in un numero ristretto di lingue ufficiali.

Al fine di promuovere la discussione su come le istituzioni dell’Unione europea possano comunicare al meglio con il pubblico in modo da riflettere un equilibrio ragionevole tra la necessità di rispettare e favorire la diversità linguistica, da un lato, e i vincoli amministrativi e di bilancio (spese di traduzione), dall’altro, la O’ Riley ha indetto una consultazione pubblica sull’uso delle lingue nelle istituzioni, negli organismi, negli uffici e nelle agenzie dell’UE.

Il Mediatore europeo è un organo indipendente e imparziale che chiama le istituzioni e le agenzie dell’UE a rispondere del loro operato e promuove la buona amministrazione, indagando sulle denunce relative a casi di cattiva amministrazione da parte delle istituzioni e degli organismi dell’UE, ma anche esaminando in modo proattivo questioni strategiche di natura più generale.

Il Mediatore svolge, su propria iniziativa, come in questo caso, indagini strategiche che mirano a richiamare l’attenzione su aspetti di interesse pubblico e a esaminare più ampie problematiche di sistema, che riguardano le istituzioni dell’UE e il processo decisionale democratico.

Come si può ben comprendere la Consultazione in oggetto interessa tutti, dal momento che, pur essendo passate le lingue ufficiali da 4 (nel 1958) alle attuali 24, molti cittadini dell’UE parlano un’unica lingua ufficiale (o un numero ristretto di lingue ufficiali) e le restrizioni linguistiche legittimamente applicate nelle procedure amministrative con le parti interessate esterne, come nelle gare d’appalto pubbliche e negli inviti a presentare proposte, fa sì che l’UE interagisca con un gruppo limitato di parti interessate.

Inoltre, l’attuale Mediatore europeo ha rilevato che vi è una notevole incoerenza tra le istituzioni: attualmente le restrizioni linguistiche ed eventuali norme in materia variano da un’istituzione dell’UE all’altra, e che, in assenza di norme chiare e di giustificazioni adeguate sottostanti all’applicazione di regimi linguistici limitati, non c’è da stupirsi se il pubblico poi possa uscirne confuso.

Un ambito particolarmente problematico riguarda l’uso delle lingue sui siti web delle istituzioni, che sono fra le prime fonti di informazione per le persone interessate alle politiche e ai programmi dell’UE. A quanto pare ciascuna istituzione dell’UE decide autonomamente se tradurre (e, in caso affermativo, quali parti e in quali lingue) il proprio sito web. Se i siti web non sono disponibili in tutte le lingue ufficiali, potrebbe essere difficile o impossibile accedere alle informazioni per una parte considerevole di pubblico.

Un altro aspetto problematico riguarda per l’appunto le consultazioni pubbliche volte a raccogliere i pareri del pubblico sulle nuove politiche o su eventuali proposte legislative. Le restrizioni linguistiche in questo tipo di consultazioni rischiano di limitare in modo significativo la capacità dei comuni cittadini di contribuirvi.

La Consultazione, a cui tutti i cittadini europei possono partecipare e la cui scadenza è fissata al 30 settembre 2018, è costituita dalle risposte ad un questionario che comprende 19 domande.

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