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Rapporto Censis 2021: l’irrazionalità ha infiltrato il tessuto sociale

L’annuale Rapporto Censis che fotografa la situazione socio-economica dell’Italia, mette in evidenza come la società italiana sia mutata e abbia attraversato crisi ed emergenze con il continuo intrecciarsi di realtà emerse e sommerse, cui trae alimento l’ondata di irrazionalità che vi si è insinuata. 

Accanto alla maggioranza ragionevole e saggia si leva un’onda di irrazionalità. È un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà”.

È l’incipit del Capitolo La societa italiana nel 2021” della 55ma edizione del Rapporto Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) che interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese nella fase che sta attraversando, presentato il 3 dicembre 2021 in diretta streaming a Roma presso il CNEL, come è consuetudine.

Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni di persone) il Covid semplicemente non esiste – prosegue il Comunicato del Censis – Per il 10,9% il vaccino è inutile e inefficace. Per il 31,4% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici. Si osserva una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste. Dalle tecno-fobie: il 19,9% degli italiani considera il 5G uno strumento molto sofisticato per controllare le menti delle persone. Al negazionismo storico-scientifico: il 5,8% è sicuro che la Terra sia piatta e il 10% è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna. La teoria cospirazionistica del ‘gran rimpiazzamento’ ha contagiato il 39,9% degli italiani, certi del pericolo della sostituzione etnica: identità e cultura nazionali spariranno a causa dell’arrivo degli immigrati, portatori di una demografia dinamica rispetto agli italiani che non fanno più figli, e tutto ciò accade per interesse e volontà di presunte opache élite globaliste. L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale, sia le posizioni scettiche individuali, sia i movimenti di protesta che quest’anno hanno infiammato le piazze, e si ritaglia uno spazio non modesto nel discorso pubblico, conquistando i vertici dei trending topic nei social network, scalando le classifiche di vendita dei libri, occupando le ribalte televisive”.

L’irrazionale che oggi si manifesta nella nostra società non è semplicemente una distorsione legata alla pandemia, ma ha radici socio-economiche profonde, seguendo una parabola che va dal rancore al sovranismo psichico, e che ora evolve diventando il gran rifiuto del discorso razionale, cioè degli strumenti con cui in passato abbiamo costruito il progresso e il nostro benessere: la scienza, la medicina, i farmaci, le innovazioni tecnologiche – prosegue il Censis – Ciò dipende dal fatto che siamo entrati nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali. Questo determina un circolo vizioso: bassa crescita economica, quindi ridotti ritorni in termini di gettito fiscale, conseguentemente l’innesco della spirale del debito pubblico, una diffusa insoddisfazione sociale e la ricusazione del paradigma razionale. La fuga nell’irrazionale è l’esito di aspettative soggettive insoddisfatte, pur essendo legittime in quanto alimentate dalle stesse promesse razionali. Infatti, l’81% degli italiani ritiene che oggi è molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l’investimento di tempo, energie e risorse profuso nello studio. Il 35,5% è convinto che non conviene impegnarsi per laurearsi, conseguire master e specializzazioni, per poi ritrovarsi invariabilmente con guadagni minimi e rari attestati di riconoscimento. Per due terzi (il 66,2%) nel nostro Paese si viveva meglio in passato: è il segno di una corsa percepita verso il basso. Per il 51,2%, malgrado il robusto rimbalzo del Pil di quest’anno, non torneremo più alla crescita economica e al benessere del passato. Il Pil dell’Italia era cresciuto complessivamente del 45,2% in termini reali nel decennio degli anni ’70, del 26,9% negli anni ’80, del 17,3% negli anni ’90, poi del 3,2% nel primo decennio del nuovo millennio e dello 0,9% nel decennio pre-pandemia, prima di crollare dell’8,9% nel 2020. Negli ultimi trent’anni di globalizzazione, tra il 1990 e oggi, l’Italia è l’unico Paese Ocse in cui le retribuzioni medie lorde annue sono diminuite: -2,9% in termini reali rispetto al +276,3% della Lituania, il primo Paese in graduatoria, al +33,7% in Germania e al +31,1% in Francia. L’82,3% degli italiani pensa di meritare di più nel lavoro e il 65,2% nella propria vita in generale. Il 69,6% si dichiara molto inquieto pensando al futuro, e il dato sale al 70,8% tra i giovani”.

La società italiana è mutata e ha attraversato crisi ed emergenze con il continuo intrecciarsi di realtà emerse e sommerse, quotidiane e di lungo periodo, particolari e generali – si legge nel Capitolo “Considerazioni generali” – Senza una coscienza collettiva, coscienza di coscienze, capace di guardare dall’alto e lontano quel che la società chiede o attua, senza un’unitarietà di approccio agli investimenti sociali, senza immaginare una politica di sviluppo, il Paese rimane prigioniero delle sue fragilità”.

Nel 2020 2 milioni di famiglie italiane vivono in povertà assoluta, con un aumento rilevante rispetto al 2010, quando erano 980.000: +104,8% – scrive il Censis nel Capitolo “Il sistema di welfare– L’aumento è sostenuto soprattutto al Nord (+131,4%), rispetto alle aree del Centro (+67,6%) e del Sud (+93,8%). Tra le famiglie cadute in povertà assoluta durante il primo anno di pandemia, il 65% risiede al Nord, il 21% nel Mezzogiorno, il 14% al Centro. Il disagio sociale ha assunto forme inedite, materializzandosi nel rapporto non sempre facile con il digitale sperimentato da quote significative della popolazione. Lo affermano il 35,2% degli studenti degli ultimi anni delle superiori e dell’università, che hanno avuto difficoltà nella formazione a distanza, e l’11% degli occupati alle prese con le proprie attività lavorative in versione digitale. Per il 60,7% degli italiani, in assenza di interventi adeguati, il digitale aumenterà le disuguaglianze tra le persone. L’86,3% ritiene la connettività a internet un diritto fondamentale, al pari della tutela della salute, della pensione per la vecchiaia o delle tutele sul lavoro”.

“Divari e disuguaglianze che la scuola non riesce a contrastare – si afferma nel Capitolo Processi formativi“- L’ultima rilevazione Invalsi ha evidenziato un peggioramento delle performance degli studenti italiani rispetto al 2019, ma sarebbe ingeneroso individuare la sola causa nella didattica a distanza. Il 75,6% degli oltre 1.700 dirigenti scolastici consultati dal Censis è molto (29,6%) o abbastanza (46,0%) d’accordo sul fatto che la Dad, anche nella forma mista della Didattica digitale integrata, abbia solo accentuato le difficoltà della scuola nel contrastare gli effetti negativi di bassi status socio-economici e culturali dello studente. È molto diffusa l’opinione che il peggioramento delle performance sia conseguente a un uso della Dad basato sulla mera trasposizione online della tradizionale lezione frontale, senza una reale innovazione didattica (il 65,4% è molto o abbastanza d’accordo), mentre il 62,0% lamenta un più generale deterioramento delle competenze, solo acuito dalla necessità di fare ricorso alla Dad. Una percentuale di presidi analoga (65,3%) rimarca che con la Dad non si è riusciti a instaurare una valida relazione educativa, mentre il 59,5% imputa una responsabilità non all’uso della Dad in sé, ma al suo utilizzo in un periodo come quello pandemico, con tutto il suo portato di disagio per studenti e docenti”.

Atteggiamenti e prospettive per il futuro dei giovani studenti al tempo della pandemia – si legge ancora Dal punto di vista psicologico, il prolungato periodo di pandemia ha provocato effetti collaterali non indifferenti. L’81,0% dei 572 dirigenti scolastici di scuola secondaria di secondo grado intervistati dal Censis segnala che tra gli studenti sono sempre più diffuse forme di depressione e disagio esistenziale. Il contraltare di questo scenario è l’affermazione dell’esigenza di relazionalità e di prossimità correlata alla rivalutazione dell’andare a scuola (89,6%). Il 76,8% dei dirigenti sottolinea che gli studenti vivono in una fase di sospensione, senza disporre di prospettive chiare per i loro progetti di vita. Per il 79,1% nella società è diffusa una immagine dei giovani troppo negativa, che non corrisponde alla realtà. Più che apatici, indifferenti a qualunque sollecitazione (opinione del 46,3% dei dirigenti), essi sono sottoposti a continui stimoli e informazioni, di cui non riescono a operare una selezione (78,3%). Dopo quasi due anni di pandemia, le certezze rispetto al proprio futuro hanno subito un duro colpo e per il 46,6% dei dirigenti scolastici l’atteggiamento prevalente tra i propri studenti è il disorientamento.

Il bello e il brutto di internet – ritornando al Capitolo “La Società italiana nel 2021 La battaglia individuale contro la pandemia è stata combattuta con le armi della disintermediazione digitale. Durante l’emergenza, a più di un italiano su due le tecnologie digitali hanno consentito di provvedere alle proprie necessità (58,6%), di mantenere le relazioni sociali (55,3%) e di continuare a lavorare o studiare (55,2%). Ma il livello di istruzione rappresenta ancora un fattore di filtro. Ad esempio, gli utenti di internet in possesso di un basso titolo di studio (fino alla licenza media) sono più restii a utilizzare online il proprio conto corrente: lo fa il 30,3% a fronte del 60,1% di diplomati e laureati

I risvolti sociali positivi: la riscoperta della solidarietà conclude il Censis – Un terzo degli italiani ha partecipato a iniziative di solidarietà legate all’emergenza sanitaria, aderendo alle raccolte di fondi per associazioni non profit, per la Protezione civile o a favore degli ospedali. Quasi un terzo di coloro che si sono attivati ha svolto in prima persona attività gratuita in associazioni di volontariato impegnate nella lotta al Covid. Il 20,7% degli italiani ritiene che la gestione dell’emergenza da parte delle istituzioni abbia prodotto buoni risultati, per il 56,3% è stata abbastanza adeguata, per il 23,0% inadeguata”.

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